Berlino senza i turchi?

In Germania tiene banco il libro choc di Sarrazin sull’immigrazione musulmana, fattore di declino nazionale in un futuro prossimo. La replica arriva dai mille volti della comunità turca nel Paese, ormai alla terza generazione e quanto mai diversi tra loro. Ma per lo più ancora lontani dall’integrazione

22/09/2010, Francisco Martinez - Berlino

Berlino-senza-i-turchi

(artie* / Flickr)

In Germania i turchi sono ormai alla terza generazione, ma l’integrazione effettiva di questa comunità è ancora di là da venire. A riaccendere le polveri sul tema è il nuovo libro di Thilo Sarrazin, membro del Partito socialdemocratico e del direttorio della Bundesbank, da poco obbligato alle dimissioni dal board dell’istituto centrale "per le sue posizioni razziste".

Nel suo “Deutschland schafft sich ab(“La Germania si distrugge da sola”), in cima alle classifiche di vendita tedesche, Sarrazin è tornato a lanciare l’allarme sul pericolo che la comunità musulmana rappresenta per il Paese, suscitando dure reazioni governative, politiche e tra i rappresentanti della comunità turca.

Nel vortice del "Sarrazin pensiero"

“E’ uno xenofobo e non gli va dato tutto questo spazio” spiega ad Osservatorio Balcani Caucaso Çinar Safter, presidente della Federazione dei turchi del Brandenburgo. Sarrazin era già noto per le sue prese di posizione estremiste e provocatorie, e un anno fa assicurò in un’intervista alla rivista “Lettre International” che “gli arabi e i turchi servono solo a vendere frutta e verdura”.

E ancora: "Sarei felice se fossero gli ebrei dell’Est Europa a emigrare da noi, perché hanno un’intelligenza del 15% superiore a quella dei tedeschi” aveva aggiunto Sarrazin persuaso che “gli ebrei, come pure i baschi, siano geneticamente diversi”, “al contrario dei musulmani che contribuiscono solo a rendere la popolazione tedesca sempre più stupida”.

Nell’intervista non mancavano altre perle come quella sul “70% dei turchi di Berlino e il 90% degli arabi che non si fanno carico dell’educazione dei loro figli e non fanno altro che produrre ragazzine col velo”. E anche “in nessuna città gli immigrati danno alcun apporto economico.

Il Carnevale delle culture, evento annuale nel quartiere berlinese di Kreutzberg

(Zeitfixierer / Flickr)

Solo il 33,9% dei migranti sul suolo tedesco guadagna la propria esistenza lavorando, il rimanente vive a spese dello Stato, grazie ai cui sussidi una famiglia con diversi figli porta a casa oltre 3mila euro al mese. (…) Non accettano di integrarsi e oltretutto ci costano denaro pubblico”. In più, “sul piano culturale e di civiltà, la visione della società ed i valori propri dei migranti costituiscono un regresso”.

Trent’anni di emigrazione

Negli anni ’60, migliaia di lavoratori arrivarono in Germania dalla Turchia con un contratto triennale, erano i Gastarbaiter. Ma in quei tre anni le cose andarono diversamente da come si pensava, e la gente restò. Contribuirono a costruire il Paese. Nel 1974 furono autorizzati a portare le proprie famiglie. Così quello che era un invito temporaneo si trasformò in fenomeno migratorio. Oggi i turchi sono la prima comunità straniera in Germania, Paese in cui oggi circa il 19% della popolazione non è di origine tedesca. Su circa 2.3 milioni di turchi appena 700 mila hanno passaporto tedesco.

 “Differenze generazionali esistono in tutte le comunità – spiega Çinar Safter – la seconda e la terza generazione, al contrario della prima, non sono nate in Turchia ma qui, ed hanno una prospettiva differente. Specie i più giovani e le ragazze, che vorrebbero vivere come i loro compagni di classe, anche se i genitori non lo accettano”.

Di recente, una scuola del quartiere berlinese di Wedding ha annunciato che formerà classi composte al 50% da tedeschi e 50% da stranieri, “perché non mi piacerebbe che mio figlio fosse l’unico tedesco in una classe di immigrati” ha detto la preside Karin Müller. Molti genitori tedeschi hanno preferito iscrivere i loro figli ad altri istituti nei vicini quartieri del Mitte o di Prenzlauer Berg, ha aggiunto, per timore che “fossero in ritardo col programma di studi o fossero emarginati”.

Niente pari opportunità

Una donna turca residente in Germania

(silviadinatale / Flickr)

“Noi continuiamo a non avere le stesse opportunità dei tedeschi” denuncia Murat Özel, consigliere dell’associazione KUB, pioniera nel lavoro con rifugiati e immigrati. “Nonostante molti passi avanti e nonostante ormai viviamo qui da parecchi anni, continuiamo ad essere considerati degli intrusi”.

“Ci fissiamo sempre troppo sulle difficoltà e non sui progressi. Che invece sono indubbi, basti pensare che la maggioranza dei turchi che arrivarono in Germania erano molto poco qualificati -evidenzia Çinar Safter- Se ci guardiamo attorno oggi invece, vediamo turchi che ormai vivono in diverse città e che non vendono solo verdura. A Berlino guidano grandi società e danno lavoro ad oltre 25 mila persone”.

La Turchia si allontana

Gli immigrati turchi in Germania restano una sfida politica, non solo per Berlino ma per la stessa Turchia, dal momento che molti conservano la speranza di rientrare e investono nel Paese euroasiatico i loro risparmi. Ciononostante, com’è facile immaginare, chi ritorna indietro non trova più la Turchia che aveva lasciato.

Derya Dündal ripete che le piacerebbe tornare a Istanbul, dove “la gente è più gentile e umana”. Nata a Berlino 26 anni fa, Derya lavora in un’edicola di Freidrichshain e lamenta che in Germania non ha trovato le opportunità che le avevano promesso: “mi sarebbe piaciuto studiare design, ma non potevo avere accesso al corso”.

Yilmaz, 50 anni, parrucchiere nel quartiere berlinese di Kreuzberg, invece non pensa che tornerà più in Turchia. Nessun dubbio anche per la diciassettenne  Emine, che vive a Neuköln: “la Turchia è divertente per tornarci in vacanza, ma voglio vivere qui”.

Dal 2000 chi nasce in Germania è cittadino tedesco

Maxischermo a Berlino per una partita di calcio della Turchia (Dr. Pat  / Flickr)

“Sebbene la prima generazione ripeta che vuole tornare in patria, poi trova sempre un motivo per non farlo.

Dopo 30 anni di lavoro qui, vedono la pensione come il momento della svolta, qualcuno prova a tornare, ma poco dopo rientra in Germania” spiega Safter Çinar.

Che si domanda: “Perché se ne vanno una seconda volta dalla Turchia? Perché i vecchi amici sono spariti e perché la famiglia è rimasta in Germania. Così parecchi si pentono di aver speso tutti i risparmi per preparare il ritorno in Turchia invece di comprare un appartamento qui”.

Dal 2000, i figli degli immigrati che nascono in Germania sono cittadini tedeschi. Nasli, 47 anni, commerciante di bibite a Warschauer Strasse, è orgogliosa che sua figlia studi all’università e vede il suo futuro in Germania: “tornare in Turchia? Sarei pazza, adoro Berlino, qui posso fare mille cose e c‘è un’offerta culturale eccellente”.

"La realtà è che abbiamo una cultura mista: in casa conserviamo le tradizioni turche, però fuori parliamo tedesco e siamo parte della cultura di questo Paese” conferma Murat Özel, esempio perfetto del fenomeno dei “tedeschi-turchi”.

Un modello che i politici preferiscono non capire.

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