Una giornalista italiana nella Jugoslavia degli anni ’40

Irene Brin famosa giornalista italiana, collaboratrice di quotidiani come Il Corriere della Sera e di settimanali come l’Europeo, nei primi anni ’40 compie un lungo viaggio attraverso la Jugoslavia, da cui ricava un libro dal titolo "Olga a Belgrado" (Vallecchi editore, Firenze, 1943). Olga è uno dei tanti e misteriosi personaggi che la giornalista incontra nel suo lungo itinerario, da Lubiana a Zagabria, da Susak a Belgrado

31/03/2011, Luciano Panella -

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Irene Brin

"Lubiana (…) ci appariva così soffice di nebbie, tagliente di ghiaccio, interamente misteriosa, ritagliata in grandi particolari che non ammettevano fusioni né amicizie, anzi il nuovissimo grattacielo e il vecchio castello seguitavano per noi ad affrontarsi". La nebbia, i suoni ovattati, le atmosfere misteriose fatte di attesa e di silenzio, sono i primi elementi che Irene Brin riporta per descrivere il suo arrivo a Lubiana nei primi anni ’40.

Irene Brin è stata una famosa giornalista italiana, collaboratrice di quotidiani come Il Corriere della Sera e di settimanali come l’Europeo. Giornalista di costume, grande esperta di moda, è stata anche redattrice italiana di Harper’s Bazaar, contribuendo a far conoscere anche in America la moda italiana. Insieme al marito, Gaspero del Corso, ha gestito una delle più importanti gallerie d’arte contemporanea italiane, la galleria Obelisco a Roma. Donna colta e cosmopolita, ha vissuto da protagonista nel mondo della cultura italiana fino alla sua morte prematura, a soli 55 anni nel 1969.

"Olga a Belgrado"

Nei primi anni ’40, Irene Brin segue il marito in un lungo viaggio attraverso la Jugoslavia, da cui ricava un libro dal titolo "Olga a Belgrado" (Vallecchi editore, Firenze, 1943). Olga è uno dei tanti, misteriosi personaggi che la giornalista incontra nel suo lungo itinerario, da Lubiana a Zagabria, da Susak a Belgrado, un itinerario che è motivato dalla necessità di seguire gli spostamenti del marito, ufficiale dell’esercito italiano, e dal desiderio di Irene Brin di raccogliere materiale per le sue corrispondenze giornalistiche.

Non essendo iscritta al partito fascista, non è facile per Irene Brin ottenere delle collaborazioni, e man mano che l’Italia sprofonda nella guerra, Irene Brin lavora soprattutto come traduttrice. Per questo "Olga a Belgrado", più che una narrativa di viaggio, sembra essere un diario personale o l’elaborazione in forma narrativa di impressioni e avvenimenti. I riferimenti geografici e topografici, i nomi delle località, degli alberghi, delle vie nono sono sempre precisi, come se volutamente la giornalista volesse più evocare delle atmosfere che redigere una descrizione puntuale. I piccoli paesi della campagna slovena, e soprattutto Lubiana, hanno un ruolo da protagonisti nella prima parte del libro.

Il marito compare molto poco, sempre sullo sfondo; nei singoli racconti la protagonista è sempre lei, e sempre sola: "Ero sola, come nei sogni, fra pareti ostili, fra sguardi invisibili" e sempre con una grande attenzione agli altri: a Nada, per esempio, la sarta slovena che compare in uno dei capitoli iniziali, abilissima e dal gusto sicuro e Irene Brin, che diventerà una delle più famose giornaliste italiane di moda, stabilisce con lei un’intesa immediata senza bisogno di comunicare a parole. O la lavandaia di Lubiana, che la protagonista incontra ogni mattina camminando nella periferia della capitale, "una periferia contraddittoria, dove case basse brune avevano tetti immensi, vellutati di licheni e palazzotti dalla facciata neoclassica ospitavano fabbri ferrai". La lavandaia "afferrava al passaggio i libri che tenevo sotto il braccio, per lodarne o disapprovarne la scelta, con singolare competenza condensata in due aggettivi soli, dobro e zločest". Oppure Dessa, la ricca proprietaria di un negozio di paese, che finirà uccisa insieme al marito, in una oscura storia di vendette tra compaesani.

Lubiana, 1953

Irene Brin resta pur sempre una straniera, in un periodo di occupazione straniera, per cui tanti personaggi e tanti episodi, spesso cruenti, complotti, lotte partigiane, atti di collaborazionismo e di rappresaglia, restano misteriosi alla protagonista, che spesso intuisce i retroscena, più che conoscerli. Pur essendo antifascista, nei racconti Irene Brin non prende apertamente posizione, non dà giudizi, il suo interesse è sempre per la persona che incontra.

Irene Brin a Lubiana

Lubiana è protagonista di uno dei racconti più belli e misteriosi, "Il padrone di casa". Qui Irene Brin descrive il suo soggiorno a Lubiana, in un appartamento nella Slomskova Ulica, ospite di un invisibile padrone di casa, Hugo, che di giorno in giorno aspetta di conoscere e che non conoscerà mai perché scoprirà che Hugo è stato arrestato, presumibilmente per essersi unito ai partigiani. La giornalista si trasferisce allora all’albergo Belvedere, all’interno del Tivoli. "Il Belvedere sarebbe, veramente, un albergo estivo; difatti l’atmosfera restava, a metà aprile, quella delle villeggiature fuori tempo". La sua solitudine si riflette nell’atmosfera silenziosa e affascinante del parco "chiuso in un durevole inverno, con i prati spogli, i viali deserti, e i campi da tennis, rossi e lustri, solitari."(…) "A mezzogiorno, tuttavia, bellissimi bambini biondi, felici di gioco tra le vegetali ombre, mi rendevano Tivoli familiare e caro: il tramonto, invece, sotto il fluire delle nebbie, era difficile come una prova, che affrontavo camminando in fretta".

L’incontro con una giovane donna sulla sedia a rotelle, che la protagonista vede ogni sera al tramonto al Tivoli, sembra incarnare tutte le sue paure, ma poi Irene Brin capisce che "forse la città stessa mi aveva offerto un altro frammento, un’altra possibilità, forse Lubiana giocava, con me, a nascondersi". Dopo questo incontro, l’atmosfera cambia in meglio: "Mi pareva di aver finalmente compreso il giusto valore delle pietre e delle persone, di essere libera ed accettata. Scoprivo di possedere degli amici, la direttrice della libreria Kleinmayer, le due bibliotecarie, il giornalaio, il fiorista, il cameriere del Belvedere; lavoravo molto, restavo a scrivere sul balcone."

La guerra però è sempre più presente e sempre più drammatica: "Si perquisirono le case. Si isolarono i quartieri. Lubiana fu chiusa in una cinta vigilatissima, era impossibile uscirne come entrarvi. In pieno giorno, dalle finestre si guardavano, ansiosamente, le vie deserte, dove i passi delle ronde erano ritmati, sonori."

Poi, senza spiegazioni, il soggiorno sloveno si interrompe. I racconti successivi, ambientati sulla costa croata, hanno protagonisti fittizi, non udiamo più chiaramente la voce di Irene Brin protagonista, l’impronta narrativa è più marcata, l’atmosfera è surreale, quasi a voler allontanare la realtà cupa e tragica della guerra, di una guerra che non si accetta più.

Da lì a poco infatti, dopo il rientro in Italia, il marito di Irene Brin diserterà e sarà costretto a fuggire, ricercato dalla polizia fascista. Qualche tempo dopo, con la liberazione di Roma da parte degli americani, si aprirà per entrambi un nuovo capitolo nella loro vita personale e professionale.

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