Portorose, l’appuntamento della Slovenia con il cinema
“Orkester” di Matevž Luzar si è imposto come miglior film alla 25ma edizione del Film festival di Portorose. Una rassegna sui principali premi e sui film che vale la pena vedersi
Anche se le sue date slittano spesso durante l’autunno, il Festival del film sloveno di Portorose resta l’appuntamento centrale per il cinema della Slovenia. Un momento per fare il punto sulla produzione annuale, per incontrarsi, mettere in cantiere nuovi progetti e tessere rapporti con i rappresentanti delle regioni confinanti. L’edizione 2022, tenutasi a fine ottobre, è stata segnata anche dall’omaggio a František Čap, il regista cecoslovacco naturalizzato sloveno morto 50 anni fa nella vicina Pirano: dopo il Grand Prix di Cannes vinto con “Uomini senz’ali” (1946), si stabilì in Jugoslavia dove girò tra gli altri “La ragazza della salina” (1957) con Marcello Mastroianni e “Vesna” (1953), presentato in apertura del Festival in edizione restaurata.
I riconoscimenti principali sono andati a pellicole già circolate in altri festival, come “Orkester” di Matevž Luzar vincitore quale miglior film, sceneggiatura e fotografia (quest’ultima di Simon Tanšek). Per la regia premiata l’esordiente Sara Kern con “Moja Vesna”, che ha visto Loti Kovačič nominata miglior attrice. Come miglior coproduzione di minoranza, oltre che migliori costumi (Monika Lorber) e trucco (Mojca Gorogranc Petrushevska), premio al bel “The Happiest Man in The World” della macedone Teona Strugar Mitevska ambientato a Sarajevo, già presentato alla Mostra di Venezia e del quale sarebbe auspicabile una distribuzione italiana.
Come miglior documentario è stato premiato il curioso “Tekmüvanje – Competition” di Miha Mohorič, dal significativo risvolto sociale e politico che si chiarifica nel finale. Un lavoro che all’inizio fa pensare a “I dimenticati” (1959) di Vittorio De Seta o alla più recente installazione “Alberi” di Michelangelo Frammartino, con il tradizionale taglio di un albero e il trasporto per farne un palo della cuccagna e il perno di una festa popolare. Siamo nella zona di Murska Sobota, nel nordest della Slovenia, e a occuparsene sono i vigili del fuoco volontari e tra loro è presente anche un rom. Il gruppo ha attivato una sottoscrizione per l’acquisto di un nuovo camion. Mentre ci si prepara, anche con scherzi goliardici, c’è però l’imprevisto l’intervento per l’allagamento. Il regista segue l’attività dei pompieri volontari, con la musica che ha scarti giocosi (e fa tornare in mente i primi film cechi di Milos Forman), con uno stile un po’ da reportage che però ha una svolta curiosa e importante.
Premio per il miglior cortometraggio a “Tako se je končalo poletje” di Matjaž Ivanišin, ormai affermatosi come uno degli autori di punta del cinema sloveno con i suoi film che non seguono sempre un chiaro filo narrativo, che mescolano finzione e osservazione con uno stile straniante caratterizzato da tocchi assurdi. Un uomo in campagna, un aereo in cielo, una serie di incontri e di fatti imprevedibili. Un cinema che suggerisce, mostra, non spiega, lascia immaginare.
È un corto meritevole e sorprendente pure “Za vogalom – Around the Corner” di Martin Turk, triestino che sa esprimersi molto bene nella forma breve. Tornando da scuola, Nejc, assiste alla scena di un ragazzino bullizzato da altri due e resta turbato. Il giorno dopo vede il coetaneo rubare in un negozio e lo protegge distraendo il commesso. I due fanno amicizia e Nejc scoprirà che l’altro non è come credeva. Il preadolescente, che prima parlava con i genitori e si confidava con loro, va in crisi, si chiude in sé stesso e non sa più che fare.
Tra i documentari spicca “Sarajevo Safari” di Miran Zupanić, un lavoro che ricostruisce fatti legati al lungo assedio della capitale bosniaca e riannoda fili che sfuggono ai più. Una storia che coinvolge anche l’Italia e che sarebbe importante avesse una circolazione da noi per non rimuovere dalla memoria pagine vergognose. Il regista parte dalla testimonianza di un ex agente dei servizi segreti sloveno, che nel 1991 fu contattato dagli americani e venne inviato varie volte in Bosnia. L’uomo, dall’identità sotto copertura, racconta degli stranieri che giungevano a Sarajevo tra il 1992 e il 1994, passando prevalentemente dalla Serbia, per i “safari”, ovvero tirare sui civili affiancandosi ai cecchini locali. Ai ricordi del testimone si alternano, oltre a tante immagini di repertorio, altre tre interviste ancora più forti e sconvolgenti. Una coppia di genitori perse nel 1993 la figlia di un anno e 4 giorni mentre erano tranquillamente per strada, colpita all’improvviso “in una giornata senza spari”, quando niente faceva presagire pericoli. I due hanno vissuto nel dolore di quella tragedia senza spiegazioni. C’è poi uno studente colpito sempre per strada il 3 marzo 1995 e l’episodio fu ripreso casualmente da una videocamera. L’uomo, rimasto in sedia a rotelle per i danni subiti, ricorda quella giornata di primavera, l’essersi soffermato ad ammirare il tramonto prima degli spari fatali e riflette acutamente sull’assedio e sul portarne addosso le conseguenze. Infine ci sono le parole di un militare del servizio informazioni bosniaco che intercettò notizie su un gruppo di ricchi italiani che avevano pagato per sparare ai civili di Sarajevo. Un documentario che non può lasciare indifferenti.
Molto interessante è pure la coproduzione austro-slovena “Izginjanje – Verschwinden (Disappearing)” di Andrina Mračnikar, austriaca appartenente alla storica minoranza slavofona del sud della Carinzia. Dopo un film sul nonno partigiano la regista torna a raccontare le vicende della sua comunità, che fino alla Prima guerra mondiale era largamente maggioritaria della regione. Va indietro al referendum del 10 ottobre 1920, quando con un plebiscito gli sloveni di Carinzia votarono per restare nella neonata Repubblica austriaca anziché passare nel Regno dei serbi, croati e sloveni. Una scelta di fiducia e di speranza della quale gli elettori e i loro discendenti si sono più volte pentiti, per le discriminazioni e le deportazioni subite durante il nazismo e il secondo conflitto mondiale. Nel 1955 fu firmato un trattato internazionale per garantire parità di diritti alla minoranza, ma fu più volte disatteso fino ad arrivare alle rivolte del 1972: i germanofoni distrussero i cartelli con le indicazioni dei nomi in sloveno e compirono numerosi atti di vandalismo, che provocarono la reazione degli sloveni. Nel corso degli anni Settanta si susseguirono manifestazioni e proteste, dei quali Mračnikar usa le immagini, televisive e amatoriali, con l’aggiunta delle voci di tanti testimoni, familiari, vicini di casa, politici e studiosi. La regista si muove sul doppio binario della storia pubblica e familiare con efficacia, pur con qualche ripetizione di troppo, fino ad arrivare al recente discorso di scuse del presidente Alexander van der Bellen.
Tornando alla finzione, da segnalare i quattro premi – premio del pubblico, miglior attore Petja Labović (per il ruolo di Antona), miglior montaggio di Andrej Nagode e Matic Drakulić e miglior suono di Samo Jurca – per “Riders – Jezdeca” di Dominik Mencej, esordio nel lungometraggio del regista segnalatosi con il corto “Prespana pomlad” del 2014. Siamo nel 1999 e due ragazzi, ispirati dalla visione di “Easy Rider”, partono per un viaggio in moto verso un villaggio sulla costa croata. Un road-movie, che ha nel cast anche Nikola Kojo, Timon Sturbej e Anja Novak, fatto di incontri e svolte, all’insegna dell’amicizia, della scoperta e della nostalgia.
I premi per i migliori interpreti non protagonisti evidenziano l’attenzione dei giurati anche per i nomi meno noti o i ruoli più piccoli. Tra gli attori premiato Jonas Žnidaršič in “Dedek gre na jug – Grandpa Goes South” di Vinci Vogue Anzlovar, dove ha la parte del capo del dipartimento di criminologia. Questo è un altro road-movie, stavolta un po’ più sgangherato e formalmente meno ambizioso, con due anziani musicisti in fuga, inseguiti da una coppia di delinquenti filosofi che su imbattono in una ragazza sopravvissuta a una sparatoria. Il regista vorrebbe fare incontrare Kusturica con Tarantino con qualche luogo comune e un lato sentimentale che cerca spazio.
Tra le attrici premio per Alenka Kraigher per il non indimenticabile “Vesolje med nami – The Space around Us” di Jahela Jagrić Pirc. Kristina (Manca Dorrer) è un’artista che torna dal Canada al paesello per allestire una mostra in compagnia del figlio adolescente mulatto Tobi. Tra adolescenti un po’ razzisti e adulti troppo preoccupati delle apparenze, il ragazzo fa amicizia con la coetanea Tjasa e scopre l’osservatorio celeste sulla collina del vecchio, cieco e misantropo, Joze (Ivo Barišič). Un film di stampo televisivo, con qualche momento più significativo, nel quale la Kraigher è Jana, la vicina di casa un po’ invadente della protagonista.
Infine curioso “The Apparition of Trieste. Words and Wind in the Life of Dusan Jelincić” di Dusan Moravec, ritratto del giornalista, scrittore e alpinista (ha scalato il Broad Peak e preso parte a varie spedizioni himalayane) triestino Dušan Jelinčič senza la presenza del protagonista. Un documentario per la tv con la partecipazione di Romano Benet, Nives Meroi e Paolo Rumiz.