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La Slovenia alla difesa del Carso
Aveva rappresentato il braccio di ferro tra Italia e Slovenia durante il percorso di quest’ultima verso l’integrazione europea. Una clausola che impediva agli stranieri di acquistare immobili su territorio sloveno, poi abrogata. Ora la questione è riemersa con prepotenza, in particolare nell’area del Carso. Con tutte le sue ambiguità
Non appena i rapporti tra Slovenia ed Italia sembrano volgere al bello nascono come per incanto nuove polemiche. L’ultima parte da Sesana, dove due ben organizzate iniziative civiche per il Carso e per il Litorale stanno ventilando gli spettri di una nuova colonizzazione italiana.
La storia è sempre la stessa ed è legata all’apertura del mercato immobiliare sloveno, che Lubiana ha dovuto subire per poter entrare nell’Unione europea. La Slovenia, del resto, è ossessionata dall’idea che il proprio “territorio nazionale” possa essere eroso dalle mire degli stranieri. Proprio per questo nella sua prima costituzione democratica aveva inserito una clausola che impediva ai cittadini di Paesi terzi di entrare in possesso di beni immobili.
Negli anni ’90
La questione negli anni Novanta causò molte polemiche e diede origine ad un lungo braccio di ferro tra Roma e Lubiana. L’Italia, per concedere luce verde all’ingresso della Slovenia nell’Unione europea, avrebbe voluto che il mercato immobiliare sloveno fosse aperto agli esuli ed avrebbe visto di buon grado la restituzione di qualche edificio abbandonato dai profughi italiani.
La Slovenia non volle nemmeno sentirne parlare, ma fu comunque costretta a pagar dazio aprendo il proprio mercato immobiliare a tutti i cittadini dell’Unione europea. All’epoca ci fu chi gridò alla catastrofe. La tesi era che i ricchi cittadini italiani avrebbero comprato in fretta e furia il patrimonio immobiliare lungo la fascia confinaria seguendo una ben orchestrata strategia dell’Italia. Secondo alcuni, infatti, Roma da sempre starebbe a tramare furbescamente nell’ombra per impossessarsi nuovamente dei territori perduti dopo la Seconda guerra mondiale.
Ben presto ci si rese conto che quelli che erano considerati “scenari apocalittici” non erano destinati a realizzarsi. I cittadini italiani, e gli stranieri in genere, non si dimostrarono troppo interessati ad acquistare case in Slovenia. Del resto i prezzi erano tutt’altro che convenienti, almeno sulla costa e nelle grandi città.
Nel Paese comunque l’edilizia era un comparto che tirava moltissimo. Con l’allargamento dello spazio Schengen alla Slovenia e con la relativa dissoluzione del confine, il Carso, ovvero il territorio a ridosso di Trieste, timidamente ricominciò ad essere il naturale entroterra della città. Qualche triestino, così, iniziò a ipotizzare di poter acquistare casa al di là della frontiera.
Sulle barricate
Alla fine qualcuno lo fece ed oggi c’è chi vorrebbe fermare quello che alcuni presentano come un grave pericolo per le sorti del popolo sloveno. L’allarme, del resto, era stato lanciato già anni fa da quello che oggi è considerato un guru della cultura nazionale, il centenario scrittore triestino Boris Pahor.
Pahor anche in questi giorni è salito metaforicamente sulle barricate per porre in rilievo la questione. Ovviamente si è nuovamente scagliato contro il multiculturalismo, supportato dalla sinistra slovena ed ha lanciato una stoccata anche contro il capo dello stato Danilo Türk che avrebbe avuto addirittura l’ardire di parlare degli esuli non chiamandoli “optanti”, ma profughi.
Quello che appare certo è che la recente politica di distensione voluta dai presidenti di Slovenia ed Italia non a tutti piace. In fondo per molti la dura contrapposizione era un rifugio sicuro in cui coltivare le proprie certezze nazionali e politiche. Del resto oramai nemmeno il Giorno del ricordo è più quello che era . Quest’anno, infatti, al Quirinale, nelle vesti di esule spalatino, ha parlato il giornalista e scrittore Enzo Bettiza. Ha fatto un discorso illuminante ed ha usato parole durissime per descrivere il periodo fascista, mettendo in correlazione il prima ed il dopo delle tristi vicende che hanno caratterizzato la storia recente di quelle terre.
Di quel discorso poco si è parlato. A Trieste si è preferito soffermarsi sull’ultimo numero dell’edizione slovena di Palyboy, che ha provocatoriamente titolato “Trieste è nostra” il servizio fotografico dedicato ad una modella triestina di origine slovena, mentre in Slovenia molta più importanza è stata data alla locandina che il comune di Bastia Umbra aveva preparato in occasione della Giornata del ricordo. Con una buona dose di pressapochismo gli autori hanno pensato bene di corredarlo con una foto in cui un gruppo di militari italiani fucilava dei civili sloveni.
A tutto questo trambusto ovviamente va aggiunto quello scatenato dalle iniziative civiche che hanno cominciato a far breccia in televisione e sui giornali. Del resto la situazione “è grave”. Nel Carso oramai ci sarebbe chi nei negozi chiede del pane in italiano o chi mette un cartello davanti a casa in italiano. Una petizione, supportata dalle firme di 5000 persone, vorrebbe che il governo sloveno chiedesse all’Unione europea di poter adottare una clausola di salvaguardia che negherebbe agli stranieri il diritto di poter acquistare immobili in Slovenia.
Modello Danimarca?
Il modello che si vorrebbe seguire è quello applicato dalla Danimarca, ma da Bruxelles, già a suo tempo, avevano dato chiaramente ad intendere che i privilegi concessi a Copenaghen non sarebbero stati estesi ad altri Paesi e della cosa si rendono perfettamente conto anche i più seri esperti ed i più accorti commentatori sloveni.
La richiesta avviene proprio sul filo di lana. Lubiana, infatti, potrà inoltrarla solo entro il primo maggio 2011, cioè prima dello scadere dei sette anni dal suo ingresso nell’Unione europea. Il governo, intanto, ha istituito in fretta e furia una commissione interministeriale incaricata di analizzare quanto sta accadendo nelle fasce di confine con Italia ed Austria.
La sensazione quindi è che il problema sia proprio “serio”. Il premier Borut Pahor, non insensibile ai richiami patriottici, ha spiegato in parlamento che, al di là delle richieste all’Unione europea, ci sono anche altre misure e provvedimenti di tutela che possono essere presi. Sta di fatto che nessuno sa al momento con precisione quanti immobili siano stati venduti a cittadini di Paesi terzi. Per i promotori dell’iniziativa il numero sarebbe elevato, ma stando alle informazioni fornite dalle agenzie immobiliari non sarebbe proprio così.
La vicenda presenta anche qualche risvolto di grande comicità. A quanto pare, infatti, molti degli italiani che avrebbero acquistato casa sul Carso sarebbero sì cittadini italiani, ma della comunità slovena. Non pare chiaro quindi se la protesta sia rivolta anche contro di loro.
Non mancherebbero poi nemmeno i cittadini sloveni che acquistano immobili oltreconfine. A questo punto ci si potrebbe chiedere se anche l’Italia dovrebbe pensare a tutelare il proprio territorio nazionale dalla “slovenizzazione”. Ancora più accorti, invece, dovrebbero essere i croati, considerato che soprattutto in Istria ed in particolare nella zona di Salvore, le proprietà immobiliari slovene sono numerosissime ed anche ubicate in maniera compatta.