Kosovo: la Slovenia si mimetizza
Durante la presidenza dell’Ue aveva giocato un ruolo da primadonna. Poi lo scandalo dei dettami Usa al governo sloveno. E ora Lubiana teme che possano essere messi a repentaglio i suoi interessi economici in Serbia
Preoccupazione, imbarazzo, attesa di entrare nella mischia kosovara il più inosservati possibile, riconoscendo Priština solo al riparo dei grandi e della maggioranza dei membri UE. Basso profilo dunque, dopo lo show da primadonna delle settimane scorse, per cercare di riparare al danno causato da una presidenza europea particolarmente ingrata, forse persino una "trappola", e dalle istruzioni americane sul come portare a compimento l’indipendenza del Kosovo. Alla diligente Slovenia era stato semplicemente assegnato un po’ di lavoro sporco.
Sono questi i traumi che inducono Lubiana a muoversi con cautela. Forse è già troppo tardi, almeno nel complesso rapporto con la Serbia. Belgrado sa che Dimitrij Rupel ha fatto e fa esattamente quanto dettato da Washington ed è furiosa. La Slovenia è stata, in questi giorni, tra i bersagli favoriti degli hooligans nazionalisti serbi . Lo stesso giorno della proclamazione dell’indipendenza del Kosovo squadre violente dell’estrema destra serba hanno ferito tre poliziotti che proteggevano il grande e popolare centro commerciale Mercator di Belgrado. Proprietà slovena, naturalmente. Prima una bomba, poi dei falsi allarmi e poi ancora un passa parola, anzi un passa sms, per un boicottaggio capillare dei prodotti sloveni. Ma i belgradesi, per ora, ci badano poco, e continuano a comperare i prodotti di buona qualità, made in Slovenia, nel ben assortito mercatone.
Atto secondo; l’assalto alle ambasciate. Quella slovena viene fatta a pezzi e il presidente Danilo Türk protesta energicamente rivolgendosi a Boris Tadić e reclamando delle scuse e degli indennizzi per lo scempio.
Avevano avvertito gli imprenditori sloveni – e ce ne sono tanti a Belgrado – che un esporsi esagerato, un esibizionismo filo-americano come quello ostentato dal capo della diplomazia slovena, avrebbe messo a repentaglio gli importanti investimenti sloveni in Serbia. L’interscambio tra i paesi ex jugoslavi è di circa 500 milioni di euro all’anno, non è uno scherzo. E i piani in cantiere sono ancora più ambiziosi .
Ovvio, Lubiana si è ben guardata dall’essere la prima tra i membri UE a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, come suggerito nel famoso verbale, ormai pubblico, dall’americano Fried. Washington ha capito e non forza più. Piccolini e pasticcioni che non siete altro, lasciate fare ai grandi! E poi in coda, in fila per tre! I riconoscimenti arriveranno e la Slovenia sarà nel secondo gruppo europeo, quello più numeroso, sperando forse di essere così meno appariscente.
Rupel, infuriato, in questi giorni se la prende con i giornalisti, soprattutto con quelli di "Dnevnik" che hanno svelato senza alcun pudore l’affiatamento sloveno-americano nelle fasi precedenti l’indipendenza annunciata. Nel clima di paura imposto al proprio ministero colabrodo, Rupel ha mandato a sorpresa otto esperti di sicurezza a requisire e sigillare il computer dell’ambasciatore Marjan Šetinc, sospettato, insieme ad altri dieci diplomatici, di essere la "talpa". La prova? I tabulati telefonici del suo cellulare in cui figurano anche alcune conversazioni con una giornalista di "Dnevnik". Ovvio, Šetinc è rappresentante del sindacato dei diplomatici che settimane fa aveva minacciato uno sciopero se il ministro non avesse rimediato alle carenze organizzative e umane che affliggono il suo ministero. I giornali, tra cui "Dnevnik", ne avevano scritto.
L’opinione pubblica slovena sul Kosovo è divisa. Non regna l’entusiasmo invocato dal governo per un rapido riconoscimento di Priština. La comunità serba in Slovenia tace, e certo non applaude. Ma c’è chi ricorda il debito morale degli sloveni nei confronti degli albanesi dell’ex provincia serbo-jugoslava. Fu proprio l’autonomia del Kosovo, mortificata da Slobodan Milošević nel 1989, e la protesta con tanto di sciopero della fame dei minatori di Stari Trg, a offrire alla "primavera slovena" l’occasione di creare un fronte comune contro Belgrado e avviarsi verso la propria indipendenza. La manifestazione dell’ 89 al "Cankarjev dom" di Lubiana rimane negli annali e anche nella memoria collettiva di molti albanesi che oggi, assieme alla nuova bandiera kosovara e a quella a stelle e strisce, sventolano pure la bandierina slovena. Con quale diritto morale, ora, Lubiana non dovrebbe riconoscere tra i primi l’autodeterminazione dei kosovari?
Ci sono però anche le differenze, e non di poco conto. La Slovenia era una repubblica delle Federazione e – almeno in teoria – aveva il diritto all’autodeterminazione garantito dalla costituzione. Inoltre ci fu il plebiscito. Infine, la Slovenia dovette impegnarsi e lottare da sola, persino contro la volontà della "comunità internazionale". Venne riconosciuta solo quando dimostrò di aver instaurato uno stato democratico, rispettoso dei diritti umani e di quelli delle minoranze e di essere in grado di gestire da sola la propria statualità e di poter controllare i propri confini.
Quasi nulla di quanto elencato è attribuibile al Kosovo "indipendente". A mantenere e a far andare avanti lo stato ci penserà l’UE, con la sua missione civile e con i suoi euro, alla sicurezza dei confini, dai quali gruppi di dimostranti violenti serbi hanno scacciato in quattro e quattrotto i poliziotti albanesi istruiti dall’Unmik, ci pensa e ci penserà la Nato, vale a dire la Kfor.
Molti in Slovenia reputano che il Kosovo avrà e produrrà molti problemi – uno è quello di nuove e profonde spaccature nella stessa Unione europea su cui Rupel si limita didatticamente a spiegare che "ogni stato decide da solo chi riconoscre e chi no", alla faccia della politica estera e di sicurezza comune! – ma gli osservatori sono concordi nel valutare che ormai un passo indietro è impensabile.
L’indipendenza è un dato di fatto della realpolitik balcanica ed euroatlantica.