Troppo tardi, troppo presto

Dopo 13 ore di acceso dibattito il parlamento serbo approva con 127 voti a favore su 250 una dichiarazione di condanna per il massacro di Srebrenica. Scuse alle famiglie delle vittime, non vi compare la parola genocidio. Un commento

02/04/2010, Petra Tadić - Belgrado

Troppo-tardi-troppo-presto

Una delle madri di Srebrenica, foto Gughi Fassino

 

“Il Parlamento della Repubblica della Serbia condanna nel modo più severo il crimine commesso contro la popolazione bosgnacca di Srebrenica avvenuto nel luglio 1995 nel modo stabilito con la condanna del Tribunale di giustizia internazionale dell’Aja e si aspetta che gli altri stati della ex Jugoslavia condannino allo stesso modo anche i crimini commessi contro i serbi”, si legge nel preambolo della Dichiarazione su Srebrenica che il Parlamento serbo ha votato lo scorso 31 marzo.

Nella Dichiarazione si condannano nel modo più risoluto tutti i processi sociali e politici e tutti quei fenomeni che hanno portato a credere che la realizzazione dei propri scopi nazionali si potesse ottenere con l’uso delle forze armate e con l’aggressione fisica contro i membri di altri popoli e religioni. Nella Dichiarazione inoltre vengono espresse “condoglianze e scuse” alle famiglie delle vittime, perché non è stato fatto tutto quelle che si sarebbe potuto fare per impedire questa tragedia.

La Serbia, dice la Dichiarazione, fa di tutto per ottemperare sino in fondo la collaborazione con il Tribunale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia, per farlo la cattura di Ratko Mladić è di importanza cruciale. Con la Dichiarazione gli stati della ex Jugoslavia sono stati invitati a dar seguito al processo di riconciliazione e della creazione di condizioni per lo sviluppo di una convivenza basata sull’uguaglianza delle nazioni, il pieno rispetto dei diritti umani, dei diritti delle minoranze e delle libertà per far sì che crimini non vengano mai più ripetuti.

Troppo tardi o troppo presto. Sufficiente o scarso. Espressione di un bisogno interno oppure un ordine esterno. Vantaggio politico per il potere di Belgrado o autogol. Proseguimento dell’integrazione europea o base per una futura richiesta di risarcimento. Espressione dell’unità del governo o annuncio di nuove elezioni. Ecco alcuni dei dilemmi che accompagnano l’adozione della Dichiarazione su Srebrenica.

La Dichiarazione su Srebrenica è stata approvata da una risicata maggioranza parlamentare: hanno votato a favore solo i 127 deputati (il parlamento serbo è composto da 250 deputati) della coalizione di governo. “Il Parlamento della Serbia, i cittadini della Serbia e il popolo serbo hanno mostrato chiaramente di prendere le distanze da questo crimine mostruoso e di non esserne responsabili. È un fatto storico importante e un grande giorno per la Serbia e per i suoi cittadini”, ha precisato in un comunicato il presidente serbo Tadić. Nonostante non sia del tutto chiaro perché la dichiarazione sia stata approvata così sbrigativamente, e se ci siano state pressioni esterne alla base di questa fretta, essa rappresenta l’atto istituzionale più rilevante di riconoscimento del crimine di Srebrenica. Finora, nell’arco della vita politica serba seguita alle guerre nella ex Jugoslavia, erano state pronunciate solo scuse verbali per i crimini, ma mai nessuna istituzione aveva preso l’iniziativa di distanziarsi dal male commesso durante gli anni Novanta.

Certo, non si nomina il termine “genocidio”, e di questo non sono certo soddisfatte le famiglie di Srebrenica, ma anche altri che ritengono che solo con un esplicito riferimento alla parola genocidio, la Serbia possa fare giustizia o “distanziarsi moralmente” da quanto avvenuto. Certo, l’élite politica attuale non ha avuto “coraggio” e non ha ritenuto necessario oltrepassare il limite posto dal Tribunale internazionale. Certo, la Dichiarazione in alcune sue parti è generica e chiede anche scuse e riconoscimento dei crimini commessi contro la popolazione serba.

La verità è comunque che la Dichiarazione è diretta espressione del compromesso politico dei partiti al potere, alcuni dei quali erano al governo nell’ormai relativamente lontano 1995 quando fu commesso il crimine di Srebrenica. In essa sono stati conciliati gli interessi dei democratici, del G17 plus, dei “nuovi socialisti”, della Lega della Vojvodina e dei deputati bosgnacchi del partito di Rasim Ljajić. E se è stato difficile raggiungere un compromesso nella coalizione di governo, a tutti in Serbia, ed anche alla comunità internazionale, era chiaro come fosse impossibile ottenere un consenso tale da mettere d’accordo tutto l’arco parlamentare.

Per alcuni, l’estrema sinistra, la dichiarazione è insufficiente perché non include la parola genocidio. Per altri la dichiarazione rappresenta un “tradimento della Serbia”, base per ulteriori accuse, per l’umiliazione delle vittime serbe ed anche per la destabilizzazione della Republika Srpska. Per molti è un atto che arriva troppo presto. Per altri troppo tardi. A molti duole il fatto che simili condanne e scuse non siano arrivate anche dalla Croazia, dalla Bosnia o dal Kosovo. Altri ancora sostengono che la società serba non sia ancora pronta per un atto del genere e che la coalizione di governo verrà punita per questo alle prossime elezioni.

Tuttavia, il fatto è che la Dichiarazione su Srebrenica non ha innescato scossoni in Serbia. Non ci sono state proteste organizzate, non è stata distrutta Belgrado, proprio come non c’è stato alcun aperto sostegno alla dichiarazione. È troppo presto per giudicare se la società serba è finalmente pronta per affrontare il passato, ma forse è possibile concludere che i cittadini serbi hanno accettato silenziosamente un’altra, per la maggioranza, spiacevole pagina del passato.

È chiaro che la maggior parte dei serbi preferirebbe continuare a dimenticare le guerre, è chiaro anche che chiuderebbe questa pagina di storia serba e ritiene che la dichiarazione sia dolorosa e per molti versi incomprensibile. Ma credo che in Serbia essa sarà accettata come una cosa necessaria, come pegno del passato che qualcuno, in un dato momento, ha dovuto togliere dalle spalle dei cittadini. Allo stesso tempo credo che la dichiarazione non sia esclusiva espressione del coraggio dell’attuale élite politica o il bisogno di una purificazione morale. Purtroppo in Serbia continuano ad essere in pochi a pensarla così. La Dichiarazione certamente è una necessità riconosciuta da alcuni politici, e quanto siano stati “aiutati” in questo dai partner internazionali lo si capirà nei prossimi anni.

La Dichiarazione non lenirà le ferite. Né quelle dei cittadini della Serbia né quelle delle madri e delle famiglie di Srebrenica, né quelle dei vicini che hanno sentito sulla propria pelle la guerra. Quello che farà questa dichiarazione, lo spero, è l’apertura di nuovi capitoli nel rapporto con i vicini. E un nuovo piccolo passo nella giusta direzione per i cittadini della Serbia.

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