Treni nei Balcani: i fantasmi della Belgrado-Bar

"I fantasmi sono una specie dichiarata estinta nel XX secolo", ha dichiarato Erri De Luca. "A Napoli ve ne erano in ogni casa”. Saranno forse estinti in Italia… ma vivi più che mai a Belgrado, dove hanno trovato rifugio nei depositi della compagnia ferroviaria nazionale

19/09/2022, Dimša Lovpar -

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© Dimša Lovpar / CdB

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 26 agosto 2022)

Per questo terzo viaggio ho scelto “LA” tratta, quella che collega Belgrado a Bar, passando per Valjevo, Užice e la (ex) Titograd. Almeno altrettanto "da cartolina" di Sarajevo-Ploče, questa linea ha una risonanza simbolica ancora maggiore. La sua storia è giovane ma straordinaria nella sua eccessività. Vediamola così: ci sono voluti 24 anni per costruire questa tratta, dal lancio del progetto alla sua messa in funzione. Non molto lunga, appena 476 km, copre 301 km in Serbia, 170 km in Montenegro e… 8 km in Bosnia Erzegovina, cosa di cui gli ingegneri si sono resi conto solo una volta terminati i lavori.

Nel 1951, il Consiglio economico della Jugoslavia approvò la costruzione, che iniziò solo nel 1966, a causa di attriti sulla suddivisione dei costi di costruzione tra serbi e montenegrini. Alla fine, i 449 milioni di dollari che la linea costò vennero così suddivisi: un terzo è stato pagato dalla Federazione e gli altri due terzi dalle Repubbliche di Serbia e Montenegro, anche se non è chiaro in quale proporzione… In ogni caso, si è trattato del più grande investimento infrastrutturale nella storia della Jugoslavia socialista.

254 gallerie, 250 ponti

Per una buona ragione: un terzo della tratta avviene in galleria. Sono 254, si estendono per 114 km e alcune sono lunghe più di 6 km… Ma se l’unica prodezza tecnica di questo cantiere fosse stata quella di far scavare buchi nelle montagne alla brigata omladinske, potremmo quasi condividere l’opinione di qualche denigratore che nell’opera vede solo il lavoro di un paio di martelli pneumatici… Se non fosse che si sono dovuti costruire anche 250 ponti, per attraversare montagne e fiumi: il più grande – e ancora oggi il più alto ponte d’Europa – si trova a 20 km a nord di Podgorica, il Most iznad Male Rijeke (il "Ponte sul Piccolo Fiume").

Per chiunque sia stato in Montenegro, soprattutto nel nord del paese, non è sorprendente imbattersi in strutture di questo tipo. Il Most iznad Male Rijeke rimane il terzo ponte più alto al mondo, superato solo dal ponte Beipan in Cina (2001) e dal ponte Chenab in India (2015). Con un’altezza di 200 metri, una lunghezza di 500 e un peso di 25.000 tonnellate, è il fiore all’occhiello dell’azienda Đuro Đaković, illustre stabilimento di Slavonski Brod, ora specializzato in trasporti, energia e… manutenzione di attrezzature militari (americane).

In breve, la costruzione di una simile infrastruttura sarebbe oggi impensabile. Senza la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, oggi solo la strada collegherebbe Montenegro e Serbia. I costi di realizzazione sarebbero stati l’ostacolo principale, ma l’ideale socialista dell’epoca era investire nei trasporti, nell’istruzione e nella sanità, spesso a spese della redditività.

Dopo questi pochi dettagli tecnico-storici, è arrivato il momento di mettersi in viaggio. Dal mio campo base di Zagabria, arrivo a Belgrado in… autobus. Infatti, i serbi si sono finalmente impegnati a rinnovare la loro rete ferroviaria che, secondo i forum dei ferrovieri, è in uno stato molto peggiore di quella croata. Per farlo, hanno dovuto chiudere tutte le linee internazionali.

A due anni dalla mia ultima visita, la Serbia post-covid sta impazzendo. Un grande Stefan Nemanja in ottone qui, un sacco di bandiere e stemmi serbi lì, sembra che i locali stiano gareggiando con i croati al gioco del maggior numero di simboli nazionali per metro quadro.

Dopo i consueti baci e rakija a parenti e amici, è il momento di fare sul serio. Direzione Zemun e la sua nuovissima stazione.

"Salve signora, un biglietto per il Belgrado-Bar di domani, per favore".

"Mi dispiace, è pieno".

"Eh, cosa, scusi?"

"Sì, è tutto esaurito. È molto richiesto, ma se vi presentate domani alle 11, possono esserci alcuni biglietti rimessi in vendita”.

Cerco di capire la logica. "Il giorno prima è tutto esaurito, ma potrebbero rimanere dei posti il giorno della partenza?”

"Sì, in effetti è quasi certo. È una misura precauzionale, quando arriva il treno del mattino ne controlliamo le condizioni, chiudiamo le cabine se necessario, ma in generale i passeggeri non danneggiano il treno. Tuttavia, siamo obbligati a tenere da parte una quota di biglietti per ogni evenienza…".

"Bene, d’accordo, grazie e a domani".

Mi decido e spero che l’icona che ho visto nella sala, sopra l’interruttore, mi porti fortuna per il giorno successivo.

Domenica, ore  11, arrivo alla "nuova" stazione centrale. Non è ancora terminata, ma sembra già vecchia. È angusta e permeata da un forte odore di tabacco misto a grasso di treno. È scomparsa la vecchia stazione centrale costruita nel 1884, sostituita da quella chiamata “Prokop”, inaugurata nel 2016, 39 anni dopo l’inizio dei lavori.

Alle 11.07 ottengo facilmente un biglietto per il treno serale. Sollievo.

È tornato il treno blu   

Domenica ore 20.00. Folla compatta a Prokop. Il treno da Zemun arriva in orario. Al centro dei carri con i colori delle compagnie ferroviarie montenegrina e serba appare una macchia blu, familiare, almeno in foto. Un ricordo del passato, accoppiato tra due vagoni francesi degli anni ’80 ridipinti con i colori del Montenegro: un vagone del Treno Blu. Ho difficoltà a capire cosa sta succedendo, come mai un pezzo da museo è accoppiato alla Belgrado-Bar?

Estraggo freneticamente il biglietto, sperando segretamente che mi sia stato assegnato un posto a sedere proprio lì. Ma sono nella carrozza di fianco. Nessun problema, ci farò una capatina in serata.

76, uno dei vagoni che trasportarono Tito nel viaggio inaugurale della linea è davanti a me, in servizio. Fiammeggiante, ancora marcata JZ con un imponente stemma SFRJ in metallo tra i finestrini e il sottoscocca. Incredibile.

© Dimša Lovpar / CdB

Mi riprendo, i passeggeri chiacchierano, il controllore urla, spettinato, con la camicia fino alle ginocchia, quattro bottoni aperti, mal pettinato, non si rivolge a nessuno in modo educato, tranne che a una nonna che sta aiutando a salire a bordo. Fa comunque una buona impressione, è imponente, sa quello che fa e lo fa quasi con grazia. Mi fissa per qualche secondo.

"In quale carrozza sei?

"In questa”

"Sali, cosa stai aspettando?

"Niente, sto solo prendendo un po’ d’aria".

Ride e poi rimprovera subito sei o sette giovani vagamente rumorosi, entusiasti del viaggio. Non sono lontani da me nella carrozza, sento che il viaggio sarà burrascoso… Non lo sarà, non per colpa loro, comunque.

Prendo posto nel mio scompartimento: tre letti, oltre al mio. Sono tutti occupati. I miei compagni di serata sono silenziosi, quello di sotto si addormenta molto rapidamente, quello di sopra legge i tabloid. Non è poi così male. Come per lo Spalato-Zagabria la cuccetta è decente e pulita, sa di vissuto ma non è sgradevole. E soprattutto ho tutto lo spazio del mondo per la mia carcassa. Un lusso straordinario viste le 9 ore di viaggio tra Belgrado e la costa montenegrina.       

Il treno attraversa una serie di tunnel. Il corridoio si svuota, è il momento o mai più di visitare la carrozza blu. Impossibile, il controllore ha chiuso la porta. Arriviamo a Užice, andiamo, ci provo… Esco dalla mia carrozza, cerco di entrare nell’altra, il controllore sarà poi costretto ad aprire la porta per farmi tornare alla mia cabina. Ma il bastardo vegliava su di me. Appena mi vede uscire mi chiama: "Heeee, torna da dove sei venuto".

Gli spiego la manovra e le mie motivazioni, pensavo di ammorbidirlo, ma no, non serve a nulla. Vuole passare la notte tranquillamente e probabilmente ha di meglio da fare, come pensare all’aumento del 20% che gli 11.000 iscritti al sindacato ferroviario serbo hanno recentemente richiesto ad Ana Brnabić… Mi rassegno. Torno alla mia carrozza, mi aggiro per un po’ nell’atmosfera giallastra di un film di France3 degli anni ’90, prima di tornare alla mia cuccetta. Accendo un podcast (su Georges Carpentier, il più grande pugile francese della storia, originario di Lens, nel Pas-de-Calais) e mi addormento.

Sveglia messa sulle 7 del mattino, non posso perdere le immagini del Most iznad male rijeke. Ma non avevo fatto i conti con la dogana montenegrina che alle 3 del mattino sveglia rumorosamente l’intero treno. In modo sgradevole. Proprio come i poliziotti. Dopo domande inutili e sguardi falsamente indagatori, il treno riparte. Purtroppo non riuscirò a fare una foto del viadotto. Non importa, siamo in Montenegro, non sono certo i paesaggi idilliaci a mancare.

Infine, abbiamo percorso i 400 km in 14 ore, tempi lenti ma non troppo. Lascio scendere tutti i passeggeri e mi infilo nel vagone blu. È un po’ kitsch, in velluto viola e senza alcun fantasma…

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