Stato di emergenza, repressione e indifferenza: una storia vera

Un commento del sociologo Paul Stubbs, sulla scorta di quanto gli è capitato nei giorni scorsi a seguito dell’introduzione dello stato di emergenza in Serbia per il coronavirus

20/03/2020, Paul Stubbs -

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Paul Stubbs

(Originariamente pubblicato sul profilo FaceBook dell’autore)

Avvertenza per gli scienziati sociali: questo articolo è scritto da uno scienziato sociale, ma cerca soprattutto di descrivere gli eventi che mi sono accaduti e alcune impressioni iniziali – non sto cercando di fissare precisi punti analitici o politici.

I fatti:

9-10 marzo 2020. Sono trascorse circa cinque settimane della mia aspettativa per motivi di studio che sto trascorrendo a Belgrado, dove lavoro principalmente con la Fondazione Rosa Luxemburg ad un workshop sul movimento dei non allineati, programmato ormai da mesi. La mia sede è all’Istituto di Filosofia e Teoria Sociale (già sotto attacco da parte dello Stato prima del mio arrivo); tengo conferenze pubbliche e lezioni agli studenti della Facoltà di Filosofia; e continuo la collaborazione con il Centro per le politiche sociali. In questi due giorni ritorno a Belgrado in autobus e mi trasferisco in un nuovo appartamento di fronte alla Facoltà di Economia. Il giorno seguente insisto per andare con il proprietario dell’appartamento a registrarmi temporaneamente alla polizia come straniero in Serbia.

11-13 marzo. Un lungo incontro con i compagni della RLS si conclude con la decisione di rinviare il workshop sui non allineati almeno fino ad ottobre 2020. Nel tardo pomeriggio mi imbarco su un aereo per Berlino, per partecipare a una conferenza sulla storia della Jugoslavia che, letteralmente, viene cancellata quando vengo chiamato per l’imbarco. Esito, non so se salire sull’aereo e poi decido che, visto che gli occhiali da vista che mi servono per guidare sono a Berlino, e ho dei vecchi amici che voglio vedere, ci andrò comunque.

13-14 marzo. Torno a Belgrado e in tarda serata passo il controllo passaporti, solo un solo timbro sul passaporto senza domande su dove sono stato o se sono registrato. Al ritorno, vedo che la Croazia ha imposto dei limiti ai viaggiatori provenienti dalla Germania l’autoisolamento di 14 giorni. Decido di rimanere a Belgrado almeno fino al 27 marzo (il mio ritorno a Zagabria è pianificato per il 3 aprile) e di trascorrere una bella giornata bevendo e mangiando con gli amici.

15 marzo. Osservo, non poco stupito, il presidente Vučić che annuncia lo stato d’emergenza e il divieto di ingresso in Serbia per tutti gli stranieri. All’improvviso, tornare in Croazia mi sembra la soluzione migliore e prenoto un volo per il 17 marzo, visto che tutti i voli del 16 marzo sono stati cancellati.

16-17 marzo. Air Serbia cancella il volo su cui mi trovo e mi sposta su un altro volo il giorno dopo che, alla fine, viene cancellato. Nel frattempo, e qui inizia il divertimento, cerco di chiarire grazie ad amici qual è il mio status in Serbia e cosa dovrei fare. Frasi come "Come ha fatto a rientrare?" e "Cosa ci faceva in Germania?" si affiancano a consigli molto poco chiari su cosa posso e non posso fare. Contatti nella polizia mi fanno arrivare il messaggio che dovrei davvero cercare di tornare a Zagabria prima che tutte le frontiere vengano chiuse.

18 marzo. La fuga prevista, con un’auto sino al confine serbo, e un’auto in attesa dall’altra parte, si concretizza. Camminare davanti a un carro armato serbo dislocato al posto di frontiera è un po’ snervante. Il poliziotto risponde alle mie domande in modo abbastanza chiaro: "Vi lasceremo andare, ma se tornate, non vi faremo rientrare". Non se ne lava le mani però, perché dice che la parte croata deve farmi entrare perché ho lì la residenza permanente. Cammino, valigia e borsa del computer in mano, per circa 500 metri, fino alla polizia di confine croata, mi destreggio tra un cellulare serbo a buon mercato e il mio cellulare croato e cerco di ricevere segnali di vario tipo. Ci sono due auto davanti a me e, dopo poco tempo, arrivo al punto di confine. Mostro il mio passaporto e il permesso di residenza/soggiorno.

Il poliziotto mi chiede se sono stato da qualche altra parte negli ultimi 14 giorni e io gli racconto del viaggio a Berlino. Gli do il mio numero di cellulare e lui mi dice di aspettare perché mi dovrà consegnare un ordine di autoisolamento e di controllo medico e amministrativo. Attendo, aspettandomi un’infinità di scartoffie, anche un colloquio, magari una visita medica, ma, in meno di tre minuti, mi viene data una nota sull’autoisolamento e il numero da comporre al ritorno a casa (sempre occupato, tra l’altro!). Posso andare. L’autista che mi aspetta è a circa 50 metri e in poco tempo siamo in viaggio. Sto scrivendo queste righe dalla mia scrivania, a casa a Zagabria. Il gatto mi ignora ma è bello essere tornato.

Che dire di tutto ciò? Certamente ho preso delle decisioni piuttosto stupide, ma questa crisi fa questo effetto alle persone. Ha rafforzato la sensazione che ho avuto per qualche tempo che i soggetti (una categoria tutt’altro che omogenea, ovviamente) tendano a fare i conti con due differenti stati: uno stato indifferente che se ne frega degli altri soggetti, e uno stato repressivo desideroso di disciplinarli, punirli e stigmatizzarli. A volte mi sono sentito come se non sapessi quale stato si sarebbe presentato, e ho avuto un’apparizione, parola che scelgo con molta attenzione, sulla vita di tutti i giorni di chi ha meno potere e molte meno risorse di me, sia materiali che in termini di contatti. Ho scritto qualche giorno fa che ora sarebbe un buon momento per fidarsi delle istituzioni, per chi ha la fortuna di vivere in un luogo dove ci si può fidare delle istituzioni.

Ho imparato che lo stato di emergenza non risolve i problemi dell’amministrazione statale, ma li aggrava.

E infine, per ora, un pensiero sui confini sanguinosi. Le frontiere non sono mai state fuori moda per alcuni; ma ora sembrano essere invocate da molti. Chiudete le frontiere – badate ai nostri. È l’unico modo per rallentare questa cosa. Ma lo è? Quali frontiere? Dove? Perché? Per tenere fuori chi o cosa esattamente? Su quali prove? Ho intravisto la paura dell’ignoto e il panico dell’incertezza. Ma non ho mai esaurito le opzioni, i soldi, i contatti (veze, naravno). Amici e amici di amici mi sono rimasti accanto (non vi taggerò qui – sapete già chi siete) – si sono interessati in un modo che gli stati non hanno mai fatto. Ed è bello essere a casa.

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