Di Nikola Lazic* – BIRN (tit. Origiale: "Serbia’s South Remains Volatile", pubblicato il 17 agosto)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Antonia Pezzani
Nonostante un recente scontro tra la polizia e un gruppo armato nelle vicinanze del villaggio di Konculj, nel sud della Serbia, politici e funzionari a Belgrado sostengono che le forze dell’ordine hanno il pieno controllo della situazione sul territorio.
Konculj è vicino al Kosovo, ma Belgrado non sembra voler prestare ascolto agli avvertimenti secondo i quali lungo la delicata linea del confine potrebbero esserci altri incidenti violenti.
In ogni caso, gli esperti intervistati da Balkan Insight, avvertono che il terreno è fertile per una violenza più diffusa, e non sono esclusi possibili scontri armati, nel sud della Serbia, regione labile con una considerevole popolazione di etnia albanese.
L’incidente è avvenuto il 4 agosto scorso, quando un’unità della polizia che pattugliava la zona di confine nei pressi di Bujanovac, si è imbattuta in un gruppo di uomini armati mascherati e in uniforme nera.
Stando alla polizia, i banditi attaccavano le automobili su una strada locale che conduce in Kosovo. Nello scontro a fuoco che ne è seguito, Enver Dalipi, un uomo di 22 anni di Konculj, è stato ucciso e il resto del gruppo – che la polizia ha descritto come criminali comuni – è fuggito.
Konculj è un villaggio a maggioranza albanese, e durante la rivolta del 2000-2001 nella Serbia del sud, fu la roccaforte dei ribelli di etnia albanese. Dopo diversi mesi di stato di guerriglia, un accordo di pace, intermediato dalla NATO, pose fine al conflitto.
L’incidente di Konculj è stato condannato da tutti i leader di etnia albanese della regione, anche da Jonuz Musliu, ex leader politico ribelle e ora vice-sindaco di Bujanovac.
Musliu, residente anch’egli a Konculj, ha detto di essere finito lui stesso in un’imboscata di uomini armati il giorno dell’incidente.
"Hanno puntato i loro fucili contro la mia auto. Avevo paura non sapendo chi fossero, ma non ho perduto la calma, ho schiacciato l’acceleratore e me la sono battuta," ha affermato a Balkan Insight.
Musliu in passato aveva richiesto il ritiro delle truppe di sicurezza serbe dall’area, e ora le accusa dell’ultimo incidente, in quanto incapaci di mantenere l’ordine nonostante la massiccia presenza sul territorio.
"I pattugliamenti delle unità speciali di polizia e dell’esercito sono quotidiani, per cui affermerei che sono chiaramente loro i responsabili dei problemi di sicurezza," ha affermato Musliu.
Appena oltre il confine, un albanese della città di Gnjilane in Kosovo, ha detto che la popolazione locale aveva denunciato la presenza del gruppo armato alla polizia.
"Mentre stavamo viaggiando da Konculj verso Gnjilane, anche noi siamo stati minacciati dal gruppo vestito di nero, e ce la siamo dovuta filare. Un mio cugino ha detto di averli denunciati immediatamente alla polizia," ha affermato quest’uomo, a patto dell’anonimato.
Durante una recente visita nella zona, Rasim Ljajic, respondabile del Centro di coordinamento del governo per il sud della Serbia, ha dichiarato che la schermaglia del 4 agosto non porterà allo schieramento di ulteriori forze di sicurezza, e ha detto che l’attuale livello di sicurezza lo lascia soddisfatto.
"Il numero delle truppe di sicurezza rimarrà invariato, ma aumenterà il grado di allerta," ha dichiarato.
Dusan Janjic, responsabile del Forum per le relazioni etniche di Belgrado, ha respinto la valutazione positiva della situazione di Ljajic.
Al contrario, ha detto, al sud "le ansie sono alle stelle".
"Questa regione ha sempre goduto di uno scarso stato di sicurezza, per cui non si può certo escludere la possibilità di incidenti armati," ha dichiarato Janjic a Balkan Insight.
Ha aggiunto che le attuali trattative tra Belgrado, Pristina e la comunità internazionale sul futuro del Kosovo, sono uno dei fattori che contribuiscono all’instabilità. Questo, ha detto, ora si è "riflesso" nella situazione della Serbia del sud.
"È per questo che ritengo che il confine tra crimine comune e conflitti armati più estesi, sia molto sottile," ha aggiunto.
Il Kosovo dal 1999 è un protettorato internazionale, in seguito ai bombardamenti NATO che hanno messo fine alla repressione dell’allora presidente jugoslavo Slobodan Milošević sui ribelli di etnia albanese. Le posizioni restano divergenti nelle trattative intermediate internazionalmente – gli albanesi kossovari chiedono l’indipendenza completa, mentre l’offerta della Serbia è un’ampia autonomia.
La Serbia del sud, in particolar modo le municipalità di Presevo e Bujanovac a maggioranza albanese, sono tra le regioni più povere del paese. Gli sforzi di Belgrado e della comunità internazionale di portare investimenti e occupazione nell’area sono stati pressoché infruttuosi. Con una sfiducia profonda che serpeggia tra i serbi e gli albanesi del luogo, la zona è altamente infiammabile.
Janjic incolpa il governo di Belgrado per questa situazione: lo accusa di non essere stato in grado di elaborare una strategia chiara per lo sviluppo regionale e di rafforzare le relazioni interetniche.
Aleksandar Radic, esperto di difesa di stanza a Belgrado, fa notare che con l’entrata delle trattative nella fase finale, né Belgrado né Pristina sembrano volere ammorbidirsi rispetto alle loro posizioni iniziali. Questo complica la situazione nel sud della Serbia, ha affermato.
"A Pristina tutto è in mano agli albanesi," ha detto Radic a Balkan Insight. "E ora tutto dipenderà da quanto saranno soddisfatti dalle negoziazioni in corso."
Allo stesso tempo, ha aggiunto, i politici e le forze di sicurezza serbe stanno assumendo un atteggiamento preoccupantemente passivo in un periodo in cui, secondo lui, dovrebbero intraprendere "azioni preventive" contro "le bande armate criminali albanesi" nel sud.
"Considerate le asperità del terreno del confine tra la Serbia del sud e il Kosovo, direi che il numero attuale di forze dell’ordine serbe è insufficiente a prevenire possibili provocazioni armate e incidenti," ha detto Radic.
Una cosa mette però d’accordo dirigenti governativi ed esperti indipendenti: la Serbia del sud affoga nelle armi rimaste dopo i precedenti conflitti armati.
Branko Delibasic, ex ufficiale dei servizi segreti dell’esercito, membro dell’ente di coordinamento per la Serbia del sud, ha avvertito che l’esistenza di banditi armati in uniforme come quelli coinvolti nel recente scontro, dovrebbe essere fonte di gravi preoccupazioni.
"Il giovane albanese ucciso non aveva prestato servizio nell’esercito serbo eppure maneggiava la sua arma come un professionista, e questo vale anche per gli altri membri del gruppo," ha detto Delibasic. "Dobbiamo scoprire come e dove hanno acquisito tali abilità."
Per prevenire qualsiasi scoppio di violenza armata, l’esercito serbo ha incrementato la cooperazione con i peacekeepers della NATO e con la polizia in Kosovo, diretta dalle Nazioni Unite. Il generale Roland Kather, comandante nella provincia della NATO, ha visitato recentemente la Serbia dove si è incontrato con la sua controparte, il tenente-generale Zdravko Ponos.
Il vice Ministro della difesa serbo Dusan Spasojevic ha dichiarato di non ritenere che la schermaglia di Konculj abbia compromesso la sicurezza regionale.
"L’incidente è stato l’opera di una banda locale, ma potrebbero esserci delle ripercussioni politiche dovute alla delicata situazione della regione," ha dichiarato Spasojevic a Balkan Insight.
* Nikola Lazic è un giornalista di Vranjske Novine, a Vranje