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Serbia: un eco-museo nella valle del fiume Ibar
Un museo realizzato in osmosi con il territorio che lo circonda. E’ un nuovo progetto nella valle del fiume Ibar, Serbia meridionale. Tra piste da sci, fortezze medioevali ed eredità ottomane. Lo racconta al sito www.viaggiareibalcani.it Lazar Nišavić, direttore dell’associazione Sodalis di Kraljevo
Tratto da www.viaggiareibalcani.it
Gli eco-musei nascono in Francia alla fine degli anni settanta grazie al lavoro di museologi come George-Henri Rivière e Hugues de Varine. Definiti “centri di interpretazione del territorio”, grazie all’ausilio di documentazione storica sia visiva che sonora, multimediale e fotografica narrano la memoria depositata nel tempo in un determinato luogo, nonché i cambiamenti e le trasformazioni delle comunità che questi luoghi abitano.
Dall’epicentro francese si sono diffusi un po’ in tutta Europa – in Italia se ne contano oggi ben 140 – andando ad affiancarsi a musei etnografici e musei diffusi: una nuova modalità di concepire il rapporto tra museo e territorio che fa perno sul radicamento delle comunità locali attraverso il loro coinvolgimento diretto nell’ideazione e gestione del museo, da entità fredda e staccata dall’ambiente circostante a soggetto vivo in costante dialogo con l’esterno.
L’apertura ai membri delle comunità locali segna così anche un passo in avanti nelle politiche di valorizzazione e tutela dei territori, non più sotto il controllo esclusivo dell’azione pubblica ma stimolate e rafforzate da singoli cittadini o gruppi associativi che di quel territorio sono in primis i custodi.
Proprio l’ecomuseo è stato scelto a Kraljevo, città del sud della Serbia, come strumento principale per l’implementazione del progetto "Valorizzazione del turismo ambientale nei territori di Scutari, Niš, Kraljevo, Nikšić, Peć/Peja". Un’ampia rete di soggetti istituzionali, associativi e privati – dalle amministrazioni locali ai parchi nazionali passando per monasteri, ristoranti ed agriturismi – andrà a comporre l’eco-museo della valle del Fiume Ibar, che connetterà le città di Kraljevo, Raška e Novi Pazar (situate nella Serbia sud-occidentale) intrecciando memorie materiali e immateriali di questa valle: il patrimonio monastico, le fortezze medievali e i lasciti ottomani si uniranno agli antichi saperi legati ad usi e costumi, dall’enorgastronomia alla musica. Per giungere infine ad uno studio sugli antichi impianti urbanistici delle città di Kraljevo (di matrice austro-ungarica) e Novi Pazar (di stampo ottomano) attraverso cui svelare e riscoprire la memoria urbana depositata in centri storici, palazzi e vicoli così come le relazioni tra questi spazi e l’immaginario collettivo ad essi legato.
Ci presenta brevemente l’associazione di cui fai parte?
L’associazione Sodalis è nata a Kraljevo nel 2005 impegnandosi sin dal principio nel campo dello sviluppo locale. A partire dal 2007 Sodalis è diventata il principale partner locale del progetto Put Vode, promosso in collaborazione con il Tavolo Trentino con Kraljevo. I membri dell’associazione provengono dalle zone rurali attorno a Kraljevo: piccoli ristoratori, proprietari di B&B, agriturismi… tutti uniti dalla condivisione dei medesimi principi di turismo responsabile nell’attuazione delle rispettive attività. Io sono il direttore dell’associazione nonché responsabile del progetto Put Vode.
Dal 2008 l’associazione Sodalis collabora anche con l’Agenzia della Democrazia Locale della Serbia centrale e meridionale in alcuni progetti sempre legati allo sviluppo locale.
Oltre a Kraljevo, gli altri due centri nevralgici del progetto saranno Raška e Novi Pazar. Quali soggetti sono stati coinvolti in questo caso?
A differenza di Kraljevo, per Raška e Novi Pazar i soggetti attuatori sono direttamente le municipalità. Già nel corso della prima annualità del progetto sono stati coinvolti altri attori, per lo più non istituzionali: dai monasteri ortodossi di Kraljevo e Raška alla comunità islamica di Novi Pazar, o l’istituto per la protezione dei beni culturali della Serbia. Va sottolineato tuttavia che non esiste una cooperazione formale sull’intero progetto ma contratti di collaborazione stipulati su specifiche attività.
La valle del fiume Ibar è sicuramente ricca di storia. Dovessi racchiuderla in tre immagini, sceglierei la Fortezza di Mlagič, il monastero di Studenica, la ćarsija di Novi Pazar.
Per quanto riguarda le fortezze medievali, oltre a Mlagič ne esiste un’altra nelle vicinanze di Novi Pazar, dove nel medioevo sorgeva la città di Ras. Il patrimonio monastico, oltre a Studenica (del dodicesimo secolo) comprende anche i monasteri di Zica, Gradac o Sopocani, tutti di epoca medievale. Venendo infine ai lasciti ottomani – concentrati a Novi Pazar dove il 70% della popolazione è di religione musulmana –, si possono visitare alcune moschee del quindicesimo e sedicesimo secolo; due hamam oltre all’affascinante carsija del centro cittadino.
Inoltre verrà fatto uno studio sugli antichi impianti urbanistici dei centri storici di Kraljevo (diciannovesimo secolo) e Novi Pazar (sedicesimo secolo) rimasti pressoché intatti sino ai giorni nostri. L’obiettivo è di riportare alla luce strade, palazzi e scorci semi-dimenticati quantunque custodi della memoria storica di queste città.
I tre luoghi che hai citato sono colmi di fascino e rappresentano un sicuro richiamo per qualsiasi turista. Abbiamo tuttavia deciso di non concentrarci unicamente su ciò che è materiale e visibile, ma sviluppare un percorso parallelo di valorizzazione dell’eredità culturale di questa zona che passa anche attraverso aspetti “minori” della valle: il cibo o gli abiti tradizionali, la musica e la letteratura.
Valorizzare il territorio quindi attraverso un approccio multidisciplinare e flessibile, prestando attenzione in egual misura al materiale e all’immateriale.
Lo strumento principale scelto per l’implementazione del progetto è l’eco-museo. Ci racconti in che modo lo avete concepito e calibrato sulla vostra realtà? Quali soggetti ne faranno parte? In che modo collegherà le tre città?
L’ecomuseo della valle del fiume Ibar è stato pensato come una partnership pubblico-privata di diversi soggetti: dalle amministrazioni pubbliche alle comunità religiose, parchi nazionali, per arrivare al settore privato con ristoranti o alberghi. Tale nuovo soggetto avrà due anime: la prima di preservazione e tutela delle caratteristiche storico-culturali; la seconda per sviluppare e promuovere forme di turismo responsabile lungo l’eco-museo. Questi due grandi obiettivi viaggeranno in sinergia attraverso il partenariato dei diversi soggetti che hanno deciso di appartenere all’eco-museo, i quali contribuiranno anche finanziariamente alla sua crescita. Il punto centrale è che entrambi gli obiettivi sono legati da un approccio non-profit: ogni utile verrà reinvestito nell’eco-museo stesso.
Questa zona della Serbia conosce da decenni un notevole sviluppo turistico, sia interno che straniero. Di che tipo di turismo si tratta? Come legarlo al vostro progetto?
Nella Serbia sud-occidentale si trovano due grandi centri legati al turismo invernale: le montagne di Kopaonik e Zlator. Date le loro dimensioni e i flussi di turisti che le attraversano, non si può certo dire che queste località seguano principi di turismo responsabile. La vera sfida è quindi trovare modalità intelligenti attraverso le quali connetterle con le nostre proposte, in apparenza agli antipodi. La nostra idea è di proporre ad agenzie e strutture ricettive la possibilità per i turisti che vi soggiornano di trascorrere una giornata anche all’interno dell’ecomuseo attraverso escursioni giornaliere. Spesso le persone che si recano per una “settimana bianca” in queste località non sono nemmeno a conoscenza dell’esistenza di monumenti storici a pochi chilometri dal proprio hotel. Kopaonik per esempio è molto vicino a Novi Pazar: con un’adeguata promozione, accanto allo sci si offrirebbe l’opportunità ai turisti di visitare un hamam o sorseggiare un thé turco, arricchendo in tal modo la loro vacanza.
Ci può raccontare una leggenda legata a questa valle che potrebbe essere inclusa tra le narrazioni dell’ecomuseo?
Esistono diverse storie provenienti da un passato più o meno lontano e tramandate di generazione in generazione, soprattutto oralmente.
La prima e più famosa avvolge la fortezza di Maglič e una delle sue padrone, Jekaterina, principessa bizantina sposa di uno degli ultimi signori della Serbia medievale. Tutte le notti che il marito era impegnato altrove in affari di stato, la nobildonna trascinava nel suo letto un giovane popolano dei dintorni per poi, soddisfatte le sue voglie, gettarlo senza pietà dalle mura del castello eliminando così le prove del tradimento. Non si sa quante vittime abbia fatto questa femme fatale o quanto di storicamente documentabile vi sia nella vicenda, ma tanto basta perché il nome di Jekaterina suoni come il proverbiale “uomo nero” nei racconti per i bambini della valle.
Un’altra affascinante storia è legata ad una piccola chiesa ortodossa costruita tra la fine del dodicesimo e l’inizio del tredicesimo secolo e conosciuta come l’eremo di San Sava, non lontano dal monastero di Studenica. La posizione in cui si trova è piuttosto particolare: incastonato tra le ruvide rocce che sovrastano l’intera valle, sembra sospeso nello spazio e avvolge il visitatore con la sua aurea mistica. Molti si sono chiesti come mai l’arcivescovo di quei tempi, Sava (fondatore nel 1219 dell’autocefalia ortodossa serba), decise di costruire una chiesa in un luogo così impervio e difficile da raggiungere. Leggenda vuole che la cava dove fu costruita la chiesa fosse abitata da una colonia di api, che attraverso gli alveari facevano fluire dalle pareti fiumi di miele illuminandole di riflessi d’oro: per questa ragione l’arcivescovo, considerandolo un luogo caro a Dio, scelse questo pertugio come sede della futura chiesa.
Un’ultima storia legata sempre al periodo medievale riguarda il matrimonio tra una principessa francese – Elena – e l’erede al trono di Serbia, il principe Uroš. Saputo della paura della sua futura sposa a trasferirsi in un paese lontano e sconosciuto, il principe, un anno prima delle nozze, fece arrivare dalla Francia migliaia di semi di lillà, che furono poi piantati all’interno della gola del fiume Ibar. Quando la primavera successiva la principessa arrivò nella valle, rimase talmente affascinata dal paesaggio “familiare” che si convinse a sposare il principe. Nella nostra lingua tale fiore si chiama jorgovan, e jorgovana dolina (la valle dei lillà), come è comunemente chiamata questa valle, deriva probabilmente da questa antica storia.