Serbia: seduta su due sedie
Ad un mese esatto dalle elezioni politiche, presidenziali e amministrative, il presidente Aleksandar Vučić solo dopo pressione della comunità internazionale ha condannato l’attacco russo all’Ucraina. La Serbia però, almeno per ora, non si unirà alle sanzioni contro Mosca
In un discorso dai toni drammatici pronunciato mercoledì 2 marzo, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato che la Serbia, dopo essere stata sottoposta a forti pressioni, ha deciso di votare a favore della risoluzione dell’Onu che condanna l’invasione russa dell’Ucraina.
Altrettanto drammatici sono stati i giorni precedenti all’assemblea dell’Onu in cui l’opinione pubblica serba ha aspettato che Vučić esprimesse la sua posizione sulla crisi ucraina. Il presidente serbo si è rivolto alla nazione solo due giorni dopo lo scoppio del conflitto, quando ormai tutti i paesi avevano già espresso una chiara presa di posizione, affermando che la Serbia sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma che non intende introdurre sanzioni contro Mosca.
In quell’occasione Vučić non ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina, suscitando forti reazioni da parte dei paesi occidentali. L’Unione europea ha messo in chiaro che la Serbia non può stare “seduta su due sedie”, sottolineando che “i paesi candidati all’adesione all’UE devono allinearsi non solo all’acquis comunitario, ma anche alla politica estera e di sicurezza comune”.
La Russia e i Balcani
Legami storici, origine slava, fede ortodossa, sono solo alcuni dei fattori che contribuiscono al mantenimento del rapporto di vicinanza, ormai tradizionale, tra Serbia e Russia. Ciò che però conta di più nell’attuale contesto politico è il fatto che la Russia – che dispone del potere di veto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – viene percepita da Belgrado come una sorta di garante, un attore politico in grado di impedire che il Kosovo diventi membro dell’Onu.
Commentando l’approvazione della risoluzione dell’Onu che condanna l’aggressione russa all’Ucraina, Vučić ha spiegato che “la Russia potrebbe essere espulsa dall’Onu” e che i paesi che ad oggi non hanno riconosciuto il Kosovo come stato sovrano ora potrebbero decidere di farlo.
In attesa di vedere come evolverà la situazione, la Serbia ha assunto una ferma presa di posizione a sostegno dell’integrità territoriale dell’Ucraina, uno dei pochi paesi europei che non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. L’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e la rivolta dei separatisti filorussi nell’Ucraina orientale al confine con la Russia vengono spesso paragonate alle vicende che hanno portato alla ridefinizione dei confini tra i paesi dei Balcani, paragoni che suscitano sentimenti contrastanti e spesso confusi nei cittadini serbi.
Inoltre, la Russia è considerata un alleato chiave della Republika Srpska, mentre Belgrado, o meglio il presidente Vučić, viene percepito come un attore politico capace di tenere a bada Milorad Dodik che continua a minacciare la secessione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina, un atto che rappresenterebbe una clamorosa violazione dell’Accordo di Dayton del 1995 che pose fine alla guerra in BiH.
I cittadini della Serbia ricordano bene i bombardamenti della Nato del 1999 e questo è uno dei principali motivi per cui ad oggi nessun politico serbo ha mai osato esprimersi apertamente a favore dell’adesione della Serbia all’Alleanza atlantica. All’epoca dei bombardamenti della Nato Mosca aveva dichiaratamente sostenuto l’allora Federazione di Jugoslavia, limitandosi però ad un appoggio politico, senza fornire a Belgrado alcun sostegno militare. La propaganda russa è così forte che ancora oggi la maggior parte dei cittadini serbi crede che durante le guerre degli anni Novanta la Russia fosse sempre stata contraria alle sanzioni contro Belgrado. Alcuni documenti invece dimostrano che Mosca aveva votato a favore di tutta una serie di risoluzioni dell’Onu riguardanti le sanzioni contro la Serbia, utilizzando il suo potere di veto solo una volta.
Oggi l’Unione europea è il principale partner economico e commerciale della Serbia. Ciononostante, Mosca, grazie alla capacità di piazzare “i suoi uomini” in posizioni di potere a Belgrado, riesce a incidere notevolmente sulla politica serba, così da poter meglio soddisfare i propri interessi.
La dipendenza energetica
La Serbia dipende interamente dal gas russo. Nel 2008 Belgrado e Mosca conclusero un accordo energetico che prevedeva l’acquisto da parte del gigante russo Gazprom del 51% dell’Industria petrolifera della Serbia (NIS) al prezzo di 400 milioni di euro, una cifra – come già allora sostenevano alcuni esperti – quattro o cinque volte inferiore al valore di mercato.
Nel marzo 2019 in Serbia era iniziata la costruzione di una parte del gasdotto “Balkan Stream”, lungo 403 chilometri, che trasporta gas russo in Serbia e in Ungheria attraverso la Turchia e la Bulgaria. Con l’inaugurazione della sezione serba del gasdotto “Balkan Stream” nel gennaio 2021, la Serbia si è collegata al gasdotto “Turkish Stream” [che porta gas russo in Turchia attraverso il Mar Nero]. In questo modo – come ha sottolineato anche la Comunità dell’energia – il gigante Gazprom ha rafforzato la sua posizione in modo da poter mantenere il monopolio sul mercato energetico serbo “per almeno altri vent’anni” e, di conseguenza, la Serbia oggi dipende ancora di più dalle forniture di gas russo.
Una delle principali preoccupazioni espresse in questi giorni è il rischio che la Russia interrompa le forniture di gas alla Serbia. Il fatto che Mosca non abbia ancora interrotto le forniture di gas ai paesi vicini collegati al gasdotto “Turkish Stream” né tanto meno ai paesi europei dove il gas russo arriva attraverso l’Ucraina, viene completamente ignorato dalla leadership serba e dai media filogovernativi che continuano a tirare in ballo la questione della dipendenza energetica dalla Russia come uno dei motivi per cui la Serbia non dovrebbe scontrarsi con Mosca.
Vučić, salvatore della Serbia?
Alla vigilia dell’invasione russa dell’Ucraina i media serbi allineati al potere hanno tifato apertamente per Mosca. Così lo scorso 22 febbraio il tabloid Informer ha titolato in prima pagina: “L’Ucraina ha attaccato la Russia”. Un altro tabloid, Srpski telegraf, ha affermato, sempre in prima pagina, che la Gran Bretagna è “in grande panico” perché “Putin intende inviare l’esercito per unire la Serbia e la Republika Srpska”. In Serbia i media filogovernativi presentano la guerra in Ucraina come conseguenza di uno scontro tra Mosca, da una parte, e Ucraina, Stati Uniti e Nato dall’altra.
Tale retorica è parte integrante della campagna elettorale dell’attuale leadership di Belgrado per le elezioni che si terranno il prossimo 3 aprile. Sarà interessante vedere come nei prossimi giorni i media allineati interpreteranno l’ultima svolta della leadership serba, ossia il voto a favore della risoluzione dell’Onu che condanna l’invasione russa. È già possibile intuire in quale direzione si muoveranno i media filogovernativi leggendo un articolo, pubblicato subito dopo il discorso di Vučić sulla risoluzione dell’Onu, dal titolo “Il mondo sull’orlo della fame. Prezzo del grano alle stelle, benzina più cara che mai. Vučić ha intrapreso misure cruciali per salvare la Serbia”.
Intanto, il presidente Vučić quotidianamente, anche più volte al giorno, è ospite delle trasmissioni televisive mandate in onda dalle principali emittenti del paese, dove spiega “la difficile posizione” della Serbia, rassicurando però i cittadini sul fatto che il paese dispone di sufficienti quantità di gas e petrolio, ma anche di farina, riso, sardine e piselli, mostrando le immagini dei magazzini stracolmi di merce. Così facendo, Vučić suscita timore nei cittadini che ricordano gli anni di carestia, al contempo però riuscendo a convincere gran parte della popolazione di essere in grado di tenere la situazione sotto controllo.
Ed effettivamente, Vučić controlla tutto, dai principali mezzi di informazione alla magistratura, dai servizi segreti ai grandi investimenti. Nel parlamento serbo non c’è alcuna opposizione, perché la maggior parte delle forze di opposizione ha boicottato la tornata elettorale del 2020, sostenendo che non ci fossero condizioni per lo svolgimento di elezioni eque e libere. Il prossimo 3 aprile, contemporaneamente alle elezioni amministrative e presidenziali, si terranno anche le elezioni politiche anticipate.
Ormai da giorni le notizie che arrivano dall’Ucraina attirano l’attenzione dell’opinione pubblica serba, facendo passare in secondo piano temi quali corruzione, criminalità organizzata, problematiche ambientali, indebolimento delle istituzioni, soppressione della libertà dei media, demonizzazione delle voci critiche e degli oppositori del governo. Proprio su questi temi è focalizzata la campagna elettorale dell’opposizione, una campagna che però vede le forze di opposizione divise in più raggruppamenti e relegate ad una posizione di svantaggio rispetto alla compagine di governo.
Finora Vučić è riuscito a non far arrabbiare troppo i suoi partner occidentali, pur evitando di introdurre sanzioni contro Mosca. L’unica cosa che importa a Vučić è rimanere al potere ed è per questo che continua a ripetere che, sacrificandosi personalmente e prendendo decisioni difficili, sta salvando la Serbia dai nemici interni ed esterni. Alle elezioni presidenziali del 2017 circa due milioni di cittadini serbi, ossia il 55,08% degli aventi diritto ha votato per Vučić. Esattamente tra un mese sapremo se Vučić riuscirà a conquistare nuovamente una percentuale così alta di voti, e se rispetterà gli impegni politici presi.