Serbia, il murales di Mladić divide il paese
A Belgrado un murales dedicato a Ratko Mladić, ex generale dell’esercito serbo-bosniaco condannato per genocidio dal Tribunale dell’Aja – e la relativa protesta degli attivisti per i diritti umani contro il graffito – ha dimostrato quanto sia divisa l’opinione pubblica serba su alcune questioni riguardanti il passato
Il principale motivo per cui la vicenda di un graffito dedicato a Ratko Mladić, disegnato sulla facciata di un edificio in via Njegoševa a Belgrado nel luglio di quest’anno, è rimasta a lungo lontano dai riflettori risiede nel fatto che in Serbia negli ultimi mesi si è assistito ad un fitto susseguirsi di incidenti orchestrati dall’estrema destra con l’intento di contribuire alla riabilitazione dei criminali di guerra, incidenti che hanno distolto l’attenzione dell’opinione pubblica da molte altre questioni, compresa appunto quella del murales dedicato a Mladić.
Nelle ultime settimane si è verificata tutta una serie di episodi controversi, da una petizione per la scarcerazione di Milorad Ulemek Legija, condannato per l’omicidio del premier serbo Zoran Đinđić, lanciata da Dragan Vasiljković, noto come Capitano Dragan, che è stato condannato in Croazia a 13 anni e mezzo di reclusione per crimini di guerra, alle minacce rivolte a Snežana Čongradin, giornalista del quotidiano Danas che si occupa di questioni legate ai crimini di guerra, passando per una marcia dell’estrema destra organizzata recentemente a Novi Sad dal Partito della destra serba (SD). In molte città della Serbia i graffiti contenenti messaggi e simboli nazionalisti e fascisti sono ormai diventati parte integrante della quotidianità. Alla fine di ottobre, la sede dell’organizzazione antimilitarista Donne in nero di Belgrado è stata imbrattata con alcune scritte, tra cui una riportante il nome di Ratko Mladić.
Nonostante l’intensificarsi di simili episodi, accompagnati dalla tendenza di alcune emittenti televisive a copertura nazionale a dedicare sempre più spazio agli esponenti della destra e ai criminali di guerra condannati, in molti sono rimasti sorpresi dalle reazioni scatenate dall’annuncio dell’organizzazione non governativa Iniziativa dei giovani per i diritti umani (YIHR) di voler organizzare una manifestazione nella Giornata internazionale contro il fascismo e l’antisemitismo, celebrata il 9 novembre, per rimuovere il controverso graffito dedicato a Ratko Mladić.
Il ministero dell’Interno ha reagito immediatamente vietando la manifestazione. “Nessuno otterrà l’autorizzazione per potersi radunare, né quelli che vogliono cancellare il graffito dedicato al generale Mladić né quelli che vogliono difendere il graffito. Invitare alcune organizzazioni non governative provenienti dalla Bosnia Erzegovina e dalla Croazia, le Donne in nero e [alcune organizzazioni] dal cosiddetto ‘Kosovo’ a venire a Belgrado per pitturare le facciate è un comportamento ipocrita, infame e malevolo. Il 9 novembre, nella Giornata internazionale contro il fascismo, non ci sarà alcuno scontro sulle strade di Belgrado, nessuno rovinerà la vita dei nostri cittadini e nessuno renderà felici i nemici della Serbia con le immagini delle teste insanguinate dei serbi. Belgrado è una città antifascista e nessuna malizia potrà mai cancellare questo fatto. La manifestazione è stata vietata”, ha dichiarato il ministro dell’Interno Aleksandar Vulin.
Pochi giorni dopo l’Iniziativa dei giovani per i diritti umani ha fatto sapere di aver rinunciato all’intenzione di rimuovere il graffito dedicato a Ratko Mladić. “Quel graffito, realizzato da ignoti nel luglio di quest’anno, ora è diventato un monumento a Ratko Mladić, messo sotto tutela dello stato lo scorso 5 novembre con la decisione del ministero dell’Interno e del ministro Aleksandar Vulin e con il silenzio del presidente Aleksandar Vučić e della premier Ana Brnabić”, si legge in un comunicato stampa diffuso lo scorso 8 novembre dall’Iniziativa dei giovani per i diritti umani.
Sembrava che fosse finita lì, ma il giorno dopo, martedì 9 novembre, la vicenda ha preso una svolta inaspettata quando due attiviste per i diritti umani, Aida Ćorović e Jelena Aćimović, hanno lanciato uova contro il graffito raffigurante Ratko Mladić. La reazione della polizia non si è fatta attendere. Alcuni agenti in borghese – che, come emerso successivamente, avevano il compito di sorvegliare l’area attorno all’edificio su cui è dipinto il graffito – hanno posto in stato di fermo Aida Ćorović.
“Sanno che alla fine ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Hanno visto in me un’incarnazione simbolica del loro persecutore, si sono sentiti minacciati. Quell’immagine è una vergogna che grava sul governo di Belgrado. Quei due giovani che mi hanno assalita non sono poliziotti, dai loro occhi emanava un odio palese. Per loro Mladić è un’icona. Mi avrebbero uccisa se avessero potuto. Ho chiesto loro di identificarsi – si sente nelle registrazioni – ma hanno continuato a nascondersi sotto al cappuccio tirato sulla testa”, ha dichiarato Aida Ćorović dopo essere stata messa in stato di fermo. Ćorović è stata rilasciata poche ore dopo l’incidente.
Nel pomeriggio di martedì 9 novembre alcuni cittadini e attivisti per i diritti umani si sono radunati davanti all’edificio su cui è disegnato il controverso graffito in segno di protesta contro il fermo di Aida Ćorović. Ad un certo punto sono arrivati alcuni attivisti di estrema destra, ma gli agenti di polizia hanno impedito uno scontro tra i due gruppi. La polizia ha poi fatto sapere che sei persone sono state poste in stato di fermo, tra cui tre attivisti e tre hooligan muniti di coltelli e spray al peperoncino.
Il giorno dopo, mercoledì 10 novembre, Đorđo Žujović, membro del Partito socialdemocratico della Serbia (SDPS), ha lanciato un secchio di vernice bianca contro il graffito raffigurante Ratko Mladić, dopodiché alcuni estremisti di destra hanno cercato di riportare il murales allo stato originario. Nel frattempo, Miša Vacić, leader del Partito della destra serba (SD), ha annunciato che il graffito verrà rifatto a breve “dalle stesse persone che lo hanno disegnato”.
L’intera vicenda ha suscitato forti reazioni.
Bojan Pajtić, ex presidente del Partito democratico (DS), ha affermato che l’intera polemica “è creata artificiosamente dal regime” e che il graffito dedicato a Ratko Mladić simboleggia la principale tendenza politica e culturale perseguita dall’attuale leadership di Belgrado. “Si parla di Mladić come di un generale che ha difeso il popolo serbo, la verità però è che quanto accaduto a Srebrenica è la più grande vergogna della storia dell’esercito serbo. Un vero generale serbo avrebbe affrontato le conseguenze [delle proprie azioni], non si sarebbe nascosto, esponendo così il suo popolo alle minacce di sanzioni. Anche Vučić e Nikolić si erano comportati [come Mladić], prima avevano dato alle fiamme la Krajina, per poi impedire alle persone fuggite durante l’operazione Oluja di venire a Belgrado”, ha dichiarato Pajtić.
Le organizzazioni della società civile riunite nella rete “Tri slobode” [Tre libertà] hanno espresso forte disappunto per la decisione di porre in stato di fermo l’attivista Aida Ćorović, sottolineando che tale decisione “riflette il vero carattere della leadership serba” che ha scelto di schierarsi dalla parte dei criminali di guerra.
Il presidente Aleksandar Vučić, dal canto suo, ha dichiarato che il fatto che il graffito raffigurante Ratko Mladić sia stato coperto da vernice bianca dimostra che la polizia non ha avuto il compito di difendere il murales, bensì di impedire qualsiasi scontro, proteggendo così i cittadini.
“Il compito della polizia non è quello di rimuovere targhe, murales e graffiti, bensì di tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica. È facile puntare il dito contro gli altri; mi rendo conto che tutti pensano che io sia colpevole di tutto ciò che accade”, ha dichiarato Vučić, ricordando che in Croazia ci sono alcuni graffiti dedicati al generale Slobodan Praljak, suicidatosi dopo la lettura della sentenza di condanna per crimini di guerra emessa nei suoi confronti dal Tribunale dell’Aja. Vučić ha anche aggiunto che “qualcuno voleva creare disordini per poi accusare lo stato serbo di aver picchiato [i cittadini]”.
La protesta degli attivisti per i diritti umani contro il graffito raffigurante Ratko Mladić, ex generale dell’esercito serbo-bosniaco condannato per genocidio, ha dimostrato, per l’ennesima volta, quanto sia divisa l’opinione pubblica serba su alcune questioni riguardanti il confronto con il passato, soprattutto sui crimini commessi durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia. La polemica creatasi attorno al murales dedicato a Mladić ha fatto riemergere anche alcune questioni più ampie che riguardano l’atteggiamento dell’attuale leadership di Belgrado nei confronti del processo di riconciliazione tra i popoli ex jugoslavi che costituisce uno dei principali presupposti per instaurare un’effettiva cooperazione tra i paesi dei Balcani occidentali e garantire la stabilità della regione.