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La strada della Serbia è l’UE
A prescindere da chi formerà il governo, la Serbia non potrà fare a meno dell’UE. La collaborazione con il TPI dell’Aja? I tempi sono cambiati. Intervista a Goran Svilanovic, ex ministro degli Esteri della Serbia, già funzionario del Patto di stabilità per il sud est Europa
Signor Svilanovic, le elezioni sono state vinte dalla coalizione guidata da Boris Tadic, tuttavia la Serbia sembra rimanere spaccata in due. Le consultazioni per la formazione del nuovo governo sono già iniziate. E’ possibile un accordo tra la coalizione "Per una Serbia europea" (ZES) e i socialisti? Nel caso in cui la ZES dovesse raggiungere un accordo coi socialisti, che a quanto pare sono il vero ago della bilancia, l’ LDP (Partito liberal democratico) si escluderebbe automaticamente dalla formazione del nuovo governo?
Il risultato elettorale, così come i rapporti personali tra gli attori in campo, sono tali che, credo, l’unica possibilità sia che LDP appoggi un governo democratico. Al tempo stesso, però, non vedo la possibilità che il partito partecipi ad un tale governo. All’LDP ne sono consapevoli: ne ha parlato anche il presidente del partito, Cedomir Jovanovic, quando ha detto che l’LDP è pronto ad appoggiare la scelta europea guidata dal DS (Partito democratico), ma non è pronto a prendere parte ad un governo insieme con l’SPS (Partito socialista della Serbia). Inoltre, ha annunciato un atteggiamento costruttivo in parlamento, cioè il sostegno a quelle leggi che contribuiranno ad accelerare il processo di avvicinamento della Serbia all’Unione europea. Ritengo che per l’LDP questa posizione sia la più realistica.
D’altra parte in parlamento sono necessari i voti di 126 deputati, per poter scegliere il governo. Se qualcuno dovesse mettere in questione la fiducia all’esecutivo, per poterlo buttare giù dovrebbe contare, anche in questo caso, sull’appoggio di 126 deputati. A parte questo, tutte le leggi e tutte le decisioni del parlamento si prendono con la maggioranza relativa dei voti.
Se invece dovesse nascere un governo tra radicali, DSS-NS (Partito democratico della Serbia-Nuova Serbia) e socialisti, che corso prenderà la Serbia? Ci sarà un raffreddamento nei rapporti con l’UE, oppure la distanza espressa dai radicali e dal DSS rispetto all’UE fa solo parte della retorica della campagna elettorale?
Il risultato elettorale in Serbia, subito dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, subito dopo l’inspiegabile assoluzione di Haradinaj e dopo tutto ciò che è accaduto, mostra che i processi in Serbia sono andati così lontano da rendere impossibile qualsiasi ipotesi di poter tornare indietro. Qualunque cosa dicano i politici, non è più possibile portare la Serbia su un’altra strada, che non sia quella europea. Anche nel caso di formazione di un governo di destra, il processo di associazione con l’UE può solo essere rallentato, può divenire più lungo e doloroso, ma non c’è un’altra strada sulla quale sviluppare la politica estera della Serbia, né le sue relazioni economiche.
Che ne sarà dell’Accordo di associazione e stabilizzazione (ASA) e del Memorandum con la Fiat nel caso di governo SRS (Partito radicale serbo),DSS, SPS?
Anche questi partiti, forse con un po’ di ritardo, decideranno di ratificare l’accordo con l’UE. E questo vale in particolare per la collaborazione con la Fiat.
Quanto potrebbe durare un governo DSS-NS, SRS, SPS?
Temo di non poter rispondere a questa domanda. Mi è impossibile indovinare quanto durerà un governo filo europeo, e allo stesso modo non posso farlo per un governo anti-europeo. Abbiamo già avuto situazioni in cui un governo di minoranza è durato più di un governo che poteva contare su una maggioranza in parlamento. Qualunque governo venga scelto, spero che duri 3 o 4 anni. Penso che per la Serbia sia la cosa migliore, piuttosto che avere di nuovo le elezioni fra un anno. Credo nella stabilità politica. Il potere, a quanto dicono, corrompe, ma è anche vero che educa chi lo raggiunge. Pertanto, qualunque cosa dicano i politici prima di arrivare al potere, quando si confrontano con la responsabilità, capiscono di dover soddisfare gli interessi dei cittadini, e allora diventano molto più realisti. Non è possibile soddisfare gli interessi dei cittadini della Serbia senza collaborare con l’UE.
Pensa che possano esserci pressioni internazionali sulla formazione del nuovo governo?
Spero non ci siano. Penso che l’appoggio dell’UE dei mesi scorsi, di alcune settimane e persino di alcuni giorni prima delle elezioni in Serbia, sia stato eccezionale, e spero che l’UE prosegua con questa politica di impegno e inclusione della Serbia.Tuttavia, non credo che l’UE, la Russia o chi altro possano avere un ruolo decisivo nella formazione del nuovo governo.
Non pensa che anche la Russia abbia un maggior interesse perché si formi un governo guidato dai democratici? Per via della stabilità e dei rapporti con l’UE e quindi dei rapporti commerciali tra Russia e UE attraverso la Serbia…
La Serbia non può costruire il suo avvicinamento alla Russia senza progredire nelle relazioni con l’UE e la NATO, proprio come non può puntare a diventare membro dell’Unione europea ed eventualmente della NATO, senza che questo processo non sia seguito da un progresso significativo nelle relazioni sia economiche che politiche con la Russia. Per la nostra opinione pubblica, l’immagine semplificata è che siano due strade diverse, e che addirittura siano due strade opposte. La Serbia ha solo una strada e questa porta verso la membership nell’UE. E, io credo, anche verso la NATO. Ciò vale per chiunque governi la Serbia. Dal governo dipende solo la velocità, ma non la direzione del movimento.
Purtroppo i nostri politici, almeno in campagna elettorale, presentano l’Europa e la Russia come alternative opposte. È un []e. In questo senso l’atteggiamento più corretto è stato quello del DS (Partito democratico), che ha chiaramente insistito sull’importanza non solo dell’appoggio russo alla Serbia riguardo il Kosovo, ma anche sull’importanza di un avanzamento a tutto campo delle collaborazioni economiche e politiche con la Russia. Con l’ingresso della Serbia nell’UE, le relazioni con la Russia diventeranno parte della politica comune europea rispetto alla Russia. In queste relazioni c’è posto sia per l’accordo sul gas sia per altri progetti comuni.
Nel caso di un governo guidato dai democratici, quanto peserà la questione del Kosovo nei rapporti con l’UE? Pensa che l’UE possa trovare una soluzione di compromesso per il Kosovo? Mentre nel caso in cui governeranno radicali e popolari, cosa accadrà in Kosovo?
A prescindere da chi formerà il governo, non ci saranno grandi differenze nella politica riguardante il Kosovo. Credo che adesso sia il momento di avviare i colloqui su cui insiste la Serbia. È vero, la Serbia definirà questi colloqui come negoziati sullo status, credo che il governo del Kosovo li chiamerà negoziati post status. Ma a prescindere dalla loro definizione, sono necessari. C’è tutta una serie di questioni per cui un accordo è necessario. Per esempio, come si viaggerà in Kosovo, che documenti personali avranno i cittadini, che targhe avranno le automobili, come stringere un accordo sulla collaborazione energetica? L’inverno arriva in fretta, e i precedenti inverni sono stati terribili per tutti i cittadini del Kosovo. C’è anche la questione della privatizzazione. Ecco, ho nominato solo alcuni temi per i quali credo che l’interesse al dialogo sia reciproco.
Oltre a ciò, credo che sia necessario dialogare su come si avvierà una collaborazione con i poteri locali, recentemente eletti nei luoghi in cui vivono i serbi, con gli attori principali del Kosovo, e cioè, oltre al governo del Kosovo e al governo della Serbia, l’ONU, la NATO e l’UE.
Forse questi negoziati potrebbero contribuire anche alla definitiva introduzione di relazioni tra il governo serbo e l’EULEX. C’è molto di che parlare, ed è tempo che si facciano queste discussioni. Non dovrebbero dipendere da chi formerà il governo a Belgrado. Non si dovrebbe perdere tempo ed aspettare che entri in vigore la Costituzione del Kosovo, si dovrebbe invece dialogare subito, con il governo tecnico di Belgrado, in attesa della formazione del nuovo esecutivo.
Di recente durante la trasmissione "Kaziprst" di B92 lei ha fatto un’analisi secondo la quale la questione della collaborazione con l’Aja non sarà tra le priorità del futuro governo, che sia formato da radicali, DSS e SPS, o che sia a guida democratica. Il suo discorso di fondo è che a livello globale la questione dei diritti umani e dei crimini di guerra è calata di importanza rispetto al tema dell’energia e della sicurezza. Vorrebbe spiegare meglio questo concetto?
Durante gli ultimi decenni del XX secolo la condizione universale di legittimità nelle relazioni internazionali era il concetto di diritti umani. Il sistema delle Nazioni Unite è sorto sul concetto dei diritti umani.
Da allora i documenti fondamentali, oltre alla Carta dell’ONU, sono il Patto sui diritti politici e civili e il Patto sui diritti economici e sociali, inoltre, anche l’UE è sorta sul concetto dei diritti umani. Il Consiglio d’Europa, la più vecchia organizzazione europea, antenato dell’UE, è sorto sulla base della Convenzione europea sui diritti umani, quale documento centrale, messo a punto dal Tribunale europeo per i diritti umani, la cui prassi oggi è praticamente la sostanza stessa dell’esistenza del Consiglio d’Europa, che comprende quasi tutti i paesi europei, compresi i non membri dell’UE.
Quando dico la base di legittimità nelle relazioni internazionali, intendo che i diritti umani sono stati adoperati come spiegazione per le più importanti azioni di politica estera degli stati, una spiegazione che oltrepassa l’importanza del diritto internazionale e di tutte le altre legittimità fondamentali. Quando non potete spiegare un’azione né in uno né nell’altro modo, allora fate appello alla difesa universale dei diritti umani. In questo contesto è sorta anche l’idea dell’intervento umanitario, con cui è stato spiegato il bombardamento della Jugoslavia nel 1999.
All’inizio del XXI secolo, proprio in questi ultimi anni, si è giunti ad un drammatico cambiamento dei fattori internazionali cruciali. Primo, è aumentata significativamente l’importanza della Russia, sia in senso economico che in senso diplomatico. I problemi regionali vengono sempre trattati all’interno del triangolo Russia, USA, UE, mentre per quanto riguarda i problemi globali è sempre più importante il ruolo del G8, della Cina e dell’India, a confronto per esempio con il Consiglio di sicurezza dell’ONU. Secondo, nella prassi geopolitica i diritti umani non sono più il fondamento primario della legittimità, credo invece che adesso ci siano nell’ordine: l’energia e la sicurezza energetica (fatto che ha contribuito all’aumento di influenza della Russia nella relazioni internazionali), la salvaguardia dell’ambiente (quale risultato dell’aumento di importanza del protocollo di Kyoto e dell’accettazione da parte della Cina di tenere presente nei suoi piani di sviluppo l’importanza del protocollo di Kyoto), e poi il t[]ismo (quale diretta conseguenza dell’attacco agli USA e alle città europee). I diritti umani, nella migliore delle ipotesi, vengono oggi al quarto posto.
Questo cambiamento delle legittimità fondamentali ha marginalizzato l’ONU e il diritto internazionale fondato sul concetto dei diritti umani. Non credo che questa sia una buona cosa e spero che assisteremo alla riforma del sistema dell’ONU e al ritorno della fiducia nelle Nazioni Unite. Ma sarà un processo di lungo corso. Nel frattempo, però, le cose stanno così. Faccio un solo esempio: nelle circostanze odierne, il bombardamento della Jugoslavia, nelle modalità attuate nel 1999, sarebbe impensabile, a prescindere dalla situazione sul terreno. Dall’altra parte, questa evoluzione generale può spiegare anche il fatto che la Serbia abbia firmato l’ASA con l’UE nonostante non abbia sviluppato pienamente la collaborazione con il Tribunale dell’Aja. Naturalmente, questa non è l’unica spiegazione, ma è un elemento importante per comprendere ciò che accade oggi in Serbia e attorno ad essa.