La Serbia rischia mentre divampa il conflitto in Ucraina

Il governo serbo è riuscito sinora a destreggiarsi con complicati equilibrismi rispetto al conflitto in Ucraina. Ma ora quanto sta accadendo rischia di sconvolgere la sua politica di “equivicinanza” est-ovest

24/02/2022, Vuk Vuksanović -

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Belgrado 2019, Putin e Vučić © Golden Brown/Shutterstock

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 24 febbraio 2022)

Tutti guardano in direzione dell’Ucraina, e la Serbia non fa eccezione. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha espresso preoccupazione per la decisione del presidente russo Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza di Donetsk e Luhansk, due province dell’Ucraina orientale controllate dai ribelli filorussi.

Ordinando all’esercito serbo di stare in massima allerta, Vučić ha detto : "Ci sono ora molte sfide di natura politica, di sicurezza ed economica. Le pressioni politiche saranno più grandi che mai. Solo negli ultimi tre giorni quello che ho vissuto conferma le mie parole. Sono passato attraverso vari tipi di pressioni, ma quello che ho vissuto nei tre giorni precedenti e quello che seguirà non sarà affatto facile… Penso che l’ordine mondiale stia cambiando in questo modo… La pace non è più qualcosa di implicito".

Lo stesso giorno, Vučić ha convocato una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale per discutere le implicazioni del peggioramento del conflitto in Ucraina per la Serbia. Una settimana prima, la Serbia aveva invitato i cittadini serbi rimasti a lasciare l’Ucraina. Il timore che qualsiasi potenziale conflitto in Ucraina si estendesse oltre i suoi confini era evidente.

La prima crisi ucraina del 2014 è stata una brutta notizia per Belgrado. La Serbia si è trovata in una posizione scomoda, con l’Occidente e la Russia ai ferri corti sull’Ucraina.

La Serbia era politicamente legata alla Russia, data la sua dipendenza dal sostegno di Mosca nell’opporsi all’indipendenza del Kosovo. La Serbia sperava inoltre che la Russia costruisse il South Stream , un gasdotto ormai defunto, attraverso il suo territorio.

Nel 2014, la Serbia aveva appena iniziato i colloqui di adesione con l’UE , ed era coinvolta – già da due anni –  in colloqui di normalizzazione con il Kosovo , mediati dall’UE.

La posizione serba era resa ulteriormente complessa dal fatto che la Russia ha invocato il precedente del riconoscimento occidentale del Kosovo quando ha annesso la Crimea togliendola all’Ucraina.

Questo ha reso evidente come la Russia fosse pronta ad utilizzare a proprio favore la questione del Kosovo nelle sue dispute territoriali nello spazio post-sovietico, come merce di scambio con l’Occidente.

La Serbia inoltre considerava l’Ucraina un paese amico – anche quest’ultima non aveva riconosciuto il Kosovo – e ciò ha reso la vita di Belgrado ancora più difficile.

La leadership serba aveva paura di alienarsi la Russia anche per ragioni interne. Non si trattava infatti solo della sensibilità pubblica in Serbia sulla questione del Kosovo, ma anche della popolarità che la Russia e il suo presidente Vladimir Putin godono tra i serbi.

Inoltre le forze filorusse in Serbia hanno abilmente spostato la narrazione dal principio dell’integrità territoriale verso una narrazione storica: la Crimea era stata "tolta" alla Russia e quindi la Russia aveva semplicemente corretto l’ingiustizia storica, come la Serbia avrebbe fatto un giorno con il Kosovo.

La prima risposta della Serbia è stata in quell’occasione quella di schivare. Non poteva riconoscere l’annessione russa della Crimea, a causa della disputa sul Kosovo, e ha insistito sul rispetto dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Tuttavia, non poteva aderire alle sanzioni dell’UE contro la Russia a causa della sua dipendenza dalla Russia per la fornitura di gas e il sostegno della Russia nella disputa sul Kosovo.

Ma la Serbia ha anche tentato di convertire il rischio in un’opportunità. Sulla scia della crisi ucraina del 2014, la Russia ha sempre più percepito i Balcani come il "ventre molle " dell’Europa, un teatro dove la Russia poteva istigare crisi controllate per respingere l’Occidente e deviare l’attenzione occidentale dall’Ucraina e dallo spazio post-sovietico.

Con le tensioni russo-occidentali che corrono alte, il governo della Serbia ha intravisto la possibilità di mettere la Russia e l’Occidente l’uno contro l’altro, costruendosi un potere di contrattazione con l’Occidente sulla posizione della Serbia nell’architettura di sicurezza occidentale e sulla disputa del Kosovo. La leadership serba ha anche usato la crisi per assicurarsi l’acquiescenza occidentale sulle sue trasgressioni democratich e in patria.

Giocare la carta della Russia

La Serbia credeva che giocare la "carta Russia" avrebbe costretto l’Occidente a prenderla più seriamente. Alla fine del 2014 , Putin è stato ospite d’onore ad una parata militare che segnava il settantesimo anniversario della liberazione di Belgrado dall’occupazione nazista.

La Serbia ha inoltre iniziato, nel 2015, a partecipare alle esercitazioni militari trilaterali annuali della "Fratellanza slava" con la Russia e la Bielorussia, ospitando esercitazioni sul territorio serbo nel 2016 e nel 2019.

Nel 2015 , la Serbia ha anche rotto i ranghi rispetto agli altri stati UE partecipando a una parata del Giorno della Vittoria della Seconda Guerra Mondiale a Mosca, e non ha subito nessuna conseguenza per questa mossa.

A differenza della maldestra risposta iniziale della Serbia nel 2014, nell’attuale fase del conflitto la diplomazia serba si è mostrata più abile.

In risposta ad un’intervista della redazione serba di Voice of America , VOA, i funzionari governativi hanno ammesso apertamente che il conflitto in Ucraina avrà un impatto negativo sulla Serbia, sottolineando i legami amichevoli che quest’ultima ha sia con la Russia che con l’Ucraina e la necessità di una risoluzione diplomatica pacifica.

Il Dipartimento di Stato american o si è complimentato con la Serbia per la richiesta di una risoluzione pacifica. Tuttavia, con Putin che invia truppe in Ucraina orientale, sarà difficile per la Serbia ripetere lo stesso gioco che ha fatto nel 2014.

La Serbia e la Russia non si fidano molto l’una dell’altra; ognuna teme che l’altra possa tradire con un accordo con l’Occidente. Dopo che la Serbia si è orientata verso gli Stati Uniti sotto Donald Trump, l’arrivo della presidenza di Joe Biden ha costretto Belgrado a riattivare i legami con Mosca , aspettandosi una posizione più dura di Biden sul Kosovo.

Oltre a questo, nel novembre 2021, la Russia ha offerto alla Serbia un prezzo vantaggioso del gas per sei mesi per affrontare la stagione invernale e fino alle elezioni politiche serbe dell’aprile 2022.

Inoltre le relazioni della Serbia con la Russia e la Cina, e il suo sempre più manchevole rispetto per lo stato di diritto, sono ormai sotto esame da parte degli Stati Uniti e dell’UE.

Diversi collaborator i del presidente Vučić sono stati presi di mira dalle sanzioni statunitensi per corruzione. Non c’è da meravigliarsi se Belgrado teme ora che la nuova fiammata ucraina la metta ancora di più sotto il radar occidentale.

Ma a livello interno resta rischioso far arrabbiare la Russia, data la sua popolarità tra gli elettori del Partito progressista serbo attualmente al potere.

Di nuovo, nelle parole del presidente Vučić : "La nostra situazione è grave: la Serbia è lungo il cammino europeo, e la Serbia ha sempre sostenuto l’integrità dell’Ucraina, ma d’altro canto, l’85% dei cittadini, qualunque cosa accada, in qualunque modo accada, sarà dalla parte della Russia".

Vučić ha così riconosciuto di essere caduto nella sua stessa trappola. Dopo che i media filogovernativi della Serbia per anni hanno spinto una narrativa filorussa per compiacere l’elettorato filorusso e dissuadere l’Occidente dal criticarla per il suo arretramento democratico, la Serbia non può ora cambiare la narrativa senza causare un contraccolpo interno, a prescindere da quanto la Serbia ritenga che le ultime mosse di Putin mettono in pericolo Belgrado.

Con l’Ucraina che si scalda, l’Ucraina e l’Occidente faranno pressione sulla Serbia per sostenere le loro politiche, e la Russia farà lo stesso. Belgrado non vuole questo, in particolare nel contesto del Kosovo, ma ne sta già avendo un assaggio.

L’ambasciatore dell’Ucraina in Serbia ha dichiarato alla televisione nazionale serba che mentre l’Ucraina apprezza il rispetto della Serbia per l’integrità territoriale ucraina, si aspetta anche che Belgrado condanni il riconoscimento russo dell’indipendenza degli stati di Donetsk e Luhansk. L’UE ha già rilasciato una dichiarazione dove specifica di attendersi che i paesi candidati, inclusa la Serbia, si allineino alle sanzioni dell’UE contro la Russia. Anche gli Stati Uniti hanno espresso l’aspettativa che la Serbia si unisca alle sanzioni dell’UE contro la Russia.

Alla fine di febbraio, il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Russia, Nikolai Patrushev , visiterà Belgrado per discutere del fatto che – secondo i russi – "mercenari" dall’Albania, Kosovo e Bosnia vengono reclutati per combattere in Ucraina. La domanda è come potrebbe reagire la Serbia in quell’incontro alla richiesta di riconoscere le repubbliche di Donetsk e Luhansk. Non è una bella situazione in cui trovarsi.

La Serbia è ugualmente a disagio di fronte alla prospettiva che la Russia cerchi di colpire l’Occidente nei Balcani in risposta al sostegno occidentale all’Ucraina attraverso le proprie politiche, intelligence e "soft power", poiché questo trasformerebbe la Serbia in uno dei campi di battaglia.

Belgrado è anche in una pessima posizione rispetto ad un Occidente che rafforzi il suo sistema di sicurezza nella regione in risposta alla crisi Ucraina. In passato, sapeva come essere abbastanza vicina a Mosca per far leva sull’Occidente, ma non abbastanza da attirare la sua ostilità. Continuare questo atto di bilanciamento è diventato più difficile, e più pericoloso.

 

Vuk Vuksanović  è ricercatore senior presso il Centro per la politica di sicurezza di Belgrado e collaboratore di LSE IDEAS, un think tank di politica estera presso la London School of Economics and Political Science. Ha conseguito il dottorato di ricerca in relazioni internazionali presso la London School of Economics and Political Science. Ha pubblicato ampiamente su questioni di politica estera e di sicurezza.

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