Il “mio vicino” Radovan Karadžić

Il nuovo corso della Serbia odierna, il Tribunale dell’Aja, l’arresto di Karadžić, la sua doppia identità e il suo essere parte invisibile della quotidianità di Belgrado. Intervista a Jasmina Tešanović. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

19/08/2008, Redazione -

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di Luigi Milani

Jasmina Tešanović è nata a Belgrado nel 1954. Scrittrice, giornalista, traduttrice, autrice teatrale e regista, fa parte dell’associazione femminista Donne in Nero. Autrice del celebre "Diary of a Political Idiot", scritto in tempo reale durante la guerra del Kosovo, tradotto e pubblicato in tutto il mondo, è una delle blogger più famose della Rete. L’ultimo libro pubblicato in Italia è "Processo agli Scorpioni", cronaca del processo alla banda degli Skorpioni, gruppo paramilitare serbo macchiatosi di crimini di guerra durante la guerra degli anni novanta. Era a Belgrado nei giorni dell’arresto di Karadžić.

Eri a Belgrado nei giorni dell’arresto di Karadžić. Quali sono state le reazioni nel tuo Paese?

Stupore, direi. Nessuno si aspettava, credo, una cosa del genere, anche se il nuovo governo mostrava chiare intenzioni di voler prendere un corso ben diverso da quello precedente, isolazionista. D’altro canto, solo un paio di giorni prima, il ministro per la collaborazione con l’Aja aveva dichiarato che il governo non sapeva dove si nascondevano i tre criminali di guerra, fra cui Karadžić. Io però, da idiota politica, da anni ero convinta che fossero tutti in Serbia, e che anche le forze internazionali ne fossero al corrente, più o meno. Quello che mancava era la volontà politica. Quando è cambiato il capo dei servizi segreti serbi, la cosa è automaticamente scattata.

La Russia, diversamente dalla maggior parte dell’Occidente, ha reagito con freddezza alla notizia dell’arresto dell’ex leader serbo-bosniaco. Come mai?

Questo proprio non lo so, non capisco la politica russa verso la Serbia, se non come una grande truffa populista. La Russia non ha mai fatto niente di concreto per la Serbia, in tutti questi anni in cui ha continuato a proclamarsi amica. L’ultima cosa concreta è stata il Vronsky di Anna Karenina, che è andato in Serbia a fare la guerra. È un mito che l’estrema Destra usa per creare l’illusione che esista un’altra via per la Serbia, oltre all’integrazione nel mondo. Perché noi in realtà siamo isolati quanto Cuba o la Korea del Nord.

Quanto hanno giocato nella cattura di Karadžić le aspirazioni europee della Serbia?

Tutto. Vediamo un po’ se anche Mladić verrà a galla, grazie a queste aspirazioni. Si notano a tutti i livelli segni concreti di questa nuova politica. Devo dire che avevo delle riserve all’inizio, anche perché era in primo piano la questione del Kosovo. Però in questi giorni sono tornati nei paesi che hanno riconosciuto lo stato del Kosovo gli ambasciatori che erano stati richiamati a Belgrado dopo l’autoproclamazione d’indipendenza del Kosovo.

È corretto affermare che la Serbia sta finalmente cominciando a fare i conti col suo passato?

Direi di sì. Anche se non lo fa in modo frontale. Non si parla ancora del genocidio di Srebrenica e del ruolo che ha avuto in esso la Serbia, né si parla di riconciliazione; il partito di Milošević è cruciale nel funzionamento del nuovo governo… direi che è un modo inaspettato, molto atipico per rompere con il passato. Ma la Serbia non è mai stata un paese prevedibile, né facile da controllare.

Alcuni accusano il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja di avere ripetuto gli []i del Tribunale di Norimberga. Qual è il tuo punto di vista?

Non so quali []i possa avere commesso. Secondo me è molto importante che esista un organismo internazionale, anche in relazione alle faccende nazionali. Senza il tribunale dell’Aja non si sarebbe fatto niente in Serbia. E non solo in Serbia. Si fa anche altrove, vedo. Poi, il modo in cui si gestisce la giustizia, specialmente per quanto concerne gli altri criminali di guerra, non quelli del mio paese, magari non è perfetto, ma io non me ne occupo molto. Sinceramente, mi preoccupo di ripulire il mio cortile dai criminali, quello degli altri lo lascio a loro. L’inverso sarebbe un atto di ipocrisia.

Al momento dell’arresto, Karadžić lavorava come medico: non trovi che questo sia un tragico paradosso? Mi ha fatto pensare a Josef Mengele, criminale di guerra nazista che negli anni Settanta, latitante in Sudamerica, per qualche tempo pare abbia esercitato la professione di dentista…

Sai, ci sono molte speculazioni sul perché non solo del suo lavoro, ma anche delle apparizioni regolari in pubblico. Forse era il modo migliore per nascondersi, come direbbe Lacan parlando del racconto di Poe La lettera rubata, oppure era un suo bisogno patologico di essere in pubblico. È molto interessante questo nuovo personaggio che si è creato. Un hippie, un guru, un guaritore, un pensatore, che aveva anche un seguito. Secondo me, lui, sia come guerriero che come poeta o medico-guru, pensava sempre di fare del bene all’umanità. Mente malata come Mengele sì, direi, ma sono malattie che sono non solo patologiche, ma anche criminali.

La circostanza che Karadžić si trovasse a Belgrado mi pare significativa…

Il mito che si nascondesse sulle montagne, come Ali Baba, che dormisse nelle caverne, aiutato dai suoi quaranta soldati… era un mito appunto, inventato dalla polizia segreta e dall’esercito, che lo nascondevano a Belgrado. Un mito romantico, che oltre a essere stato utile per nasconderlo, lo è stato anche per la propagazione delle idee "eroiche" dello stesso Karadžić. Per esempio, la più famosa e originale è quando, parlando della pulizia etnica con un giornalista della BBC, senza pudore spiega come sia una cosa buona per i musulmani che vadano via dalla Bosnia serba per andare a stare con i loro simili. Da visionario, lui "pensava a tutti".

Karadžić, psichiatra e poeta, forse è stato persino tuo vicino di casa durante la sua latitanza…

Non è il primo, a essere stato mio vicino di casa. Biljana Plavšić, presidentessa della RS (Republika Srpska) dopo che Karadžić si era ritirato dalla politica, ora in prigione dopo la condanna dell’Aja, viveva anche lei vicino a me. Il generale più importante di Milošević, Nebojša Pavković, responsabile dei raid in Kosovo – anche lui adesso all’Aja -, e poi un’altro personaggio della Republika, Aleksa Buha, che secondo me non è stato arrestato perché ormai lavora per l’Aja. Tutto questo poi succede vicino alla Corte Speciale per i crimini di guerra di Belgrado, dove ho seguito il processo agli Scorpioni, autori del genocidio di Srebrenica… Io non so dove vivesse in realtà Karadžić, pare si spostasse di frequente… so solo che vicino casa mia, in un ristorante dove vado regolarmente a mangiare, a un certo punto hanno proibito l’ingresso a Nataša Kandić, la donna grazie alla quale sono stati istruiti tutti questi processi di guerra. Allora mi sono guardata intorno, e ho visto facce di criminali di guerra sui muri, i loro avvocati seduti ai tavoli. Bene, posti così esistono a Belgrado, i libri di Radovan Karadžić si vendono liberamente… quindi questo personaggio, Dragan Dabić, il suo alter ego, faceva parte della nostra vita quotidiana; probabilmente lui stesso andava alle manifestazioni pubbliche a favore di Radovan Ka-radžić

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