I castelli della Serbia, un patrimonio da salvare

In Serbia ci sono decine di castelli, ville nobiliari e residenze estive, spesso in condizioni di abbandono. Un’iniziativa tra governo di Belgrado e settore privato, sul modello francese, tenterà di riportarli allo splendore di una volta

01/08/2022, Nicola Dotto - Belgrado

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Il castello Spitzer - foto Robert Čoban

Il gruppo degli edifici monumentali in Serbia comprende più di un centinaio tra complessi regali, castelli, residenze estive e ville padronali di un periodo storico-artistico che va dal Barocco al Classicismo.

Una volta gli edifici ospitavano nelle loro sale la cultura elitaria dei Balcani e qui dimoravano importanti dinastie di re e principi serbi o erano proprietà di nobili, conti, ricchi proprietari austriaci, prevalentemente ungheresi e rumeni dell’Impero austro-ungarico; un orgoglio delle pianure della Vojvodina (in cui si trova il 60% del totale) e delle città termali dell’allora Principato, rappresentavano la prova inequivocabile che la regione non era rimasta fuori dai percorsi culturali europei.

Dopo il crollo dell’Impero a seguito della Prima guerra mondiale, le riforme agrarie e la successiva nazionalizzazione sotto la Jugoslavia di Tito che li trasformò in scuole, cooperative o strutture a scopo sociale, gli edifici cominciarono un po’ alla volta a perdere la loro funzione, pur mantenendo una loro dignità esteriore.

E’ la fine del secolo a segnare, con l’arrivo della transizione da un’economia pianificata di stampo socialista ad un’economia di mercato, causata dal disfacimento dello Stato socialista, insieme al fallimento di molte privatizzazioni, il destino amaro di molti di questi edifici di eccezionale valore storico e architettonico: un cimitero di rovine abbandonate al loro destino e in pessime condizioni di manutenzione, senza nessuno che se ne prenda cura, e fatto ancora più grave destinati all’oblio.

Ora, l’iniziativa “Dvorci Srbije: Zaštita kulturne baštine ”, una partnership tra governo serbo e settore privato, si è data l’obiettivo di riscoprire e recuperare questi gioielli del passato, con un occhio rivolto al loro potenziale turistico ed economico, legato ad esigenze della cultura, del turismo o dell’industria cinematografica, sul modello di quello che avviene in Francia.

L’amara scoperta e il Gruppo di lavoro ministeriale

Robert Čoban lavora per un’importante società di stampa di Belgrado e non si nasconde quando afferma che è grazie a lui se due anni fa è partita l’iniziativa, “quasi per caso”, durante un tour in bicicletta lungo le sterminate pianure del nord del Paese.

“Tutto è iniziato durante la pandemia e i miei giri in bicicletta in Vojvodina”, racconta Čoban, ”dove ho scoperto che in molti luoghi della pianura, delle lande desolate e dei boschi del Nord ci sono splendidi castelli e residenze estive completamente abbandonati e imprigionati dal degrado, tra calcinacci e sterpaglia”.

“Desolato e amareggiato dalla scoperta”, continua Čoban, “ho lanciato di mia iniziativa una pagina Facebook per invitare chi volesse a segnalare con foto i castelli e le dimore storiche a rischio crollo presenti nelle città sparse in tutto il Paese. Beh, dopo un anno l’iniziativa era arrivata a contare oltre 1.000 membri con 150 album pieni di foto di edifici in pericolo”, confida.

Il materiale raccolto è stato successivamente presentato al governo di Belgrado, il quale a fine 2020 ha istituito un Gruppo di lavoro ministeriale composto da rappresentanti del ministero della Cultura e dell’Informazione, del ministero dei Trasporti, delle Costruzioni e delle Infrastrutture, dell’Istituto per la Protezione dei Monumenti Culturali della Serbia e dell’Istituto provinciale per la protezione dei monumenti culturali della Vojvodina.

Non solo, grazie all’intraprendenza dello stesso Čoban, il malloppo è finito anche nelle mani dell’allora Ambasciatore francese a Belgrado, Jean-Louis Falconi, il quale ha convenuto che le esperienze del suo Paese in questo settore possono essere di grande aiuto alla Serbia.

“La Francia usa i castelli come attrazioni di prima classe, alcuni come musei, alcuni come hotel di lusso, alcuni sono diventati addirittura cantine. L’intera industria dà lavoro a decine di migliaia di persone in tutta la Francia”, spiega Čoban e “penso che la Francia sia il Paese modello da cui dobbiamo imparare e attraverso cui cercare una grande opportunità anche per la Serbia: proteggere il patrimonio culturale lasciatoci dai nostri antenati e allo stesso tempo creare nuovi posti di lavoro”.

L’attesa per i fondi… prima che sia troppo tardi

Pochi mesi fa lo stesso Gruppo di lavoro ministeriale ha catalogato le 118 strutture, tutte sotto protezione, creando un portale web che contiene informazioni dettagliate sulla loro storia e soprattutto sul loro stato conservativo, decidendo per una divisione degli stessi in tre categorie, a seconda della proprietà: statale (governi locali, provincia autonoma della Vojvodina o della Repubblica di Serbia), privata (quelli meglio conservati, sebbene molto rari) e, la categoria più a rischio, le residenze in fase di restituzione del bene nazionalizzato in cui devono ancora essere ristabiliti i diritti di proprietà e quindi è bloccato qualsiasi tentativo di messa in salvo o ristrutturazione.

Durante l’incontro di maggio a Parigi tra i ministri della Cultura dei due paesi, su suggerimento francese, è stata successivamente stabilita una lista di priorità di intervento e 25 strutture attendono ora, più delle altre e al più presto, un aiuto concreto che ne eviti la sparizione per sempre.

Proprio in merito alle fonti di finanziamento, i rappresentanti del Ministero dell’Integrazione Europea hanno affermato che le maggiori opportunità passano attraverso dei progetti di cooperazione transfrontaliera, citando l’esempio della Sinagoga di Subotica, mentre la Francia ha promesso di farsi portavoce per l’attivazione di alcuni fondi europei allo scopo.

Sempre a Parigi la ministra della Cultura e dell’Informazione, Maja Gojković ha ricordato che molti di questi edifici sono di grande importanza per la storia serba: “Le dinastie Karađorđević e Obrenović, famiglie come Stratimirović e Dunđerski, ma anche industriali e mercanti di successo come i re del tessile Teokarović, meritano il nostro sforzo per far tornare alla luce le loro splendide dimore”, ha dichiarato.

Nella stessa occasione, Frederic Mitterrand, ex ministro alla Cultura, ha sottolineato che “2.000 famiglie in Francia hanno dei castelli di proprietà, e nella maggior parte dei casi è lo Stato che li aiuta a mantenerli. E’ necessaria una stretta cooperazione tra Stato e settore privato per l’uso a lungo termine e sostenibile di queste strutture”. E su questo “esempio illuminante”, confida Čoban, “punta anche la Serbia per salvare il suo patrimonio, prima che sia troppo tardi”.

Il castello degli Spitzer

Scorrendo le foto, l’impressione più triste di tutti la lascia forse il leggendario castello della famiglia Spitzer, a Beočin, in Vojvodina; proporzionalmente alle dimensioni e allo splendore di un tempo è ora infatti quello che rattrista di più per il suo stato attuale di rovina.

Il castello fu costruito nel 1898 da una famiglia di ricchi proprietari terrieri ebrei aschenaziti e insieme al municipio e alla sinagoga di Subotica e a quella di Novi Sad rappresenta l’esempio più fulgido del periodo della Secessione ungherese nel territorio della Vojvodina.

La famiglia Spitzer era originaria di Visegrad, nel nord dell’Ungheria, e uno dei figli, Eduard, acquistò l’allora famosa fabbrica di cemento della città di Beočin e decise di costruire la sua residenza proprio accanto al cementificio in modo da aver sotto controllo l’intero processo di lavoro; il progetto fu affidato al famoso architetto di Budapest Imre Steindl, l’ideatore del Palazzo noeogotico del Parlamento ungherese di Budapest.

Il castello, circondato da un grande parco, presenta(va) una combinazione di elementi romanici, gotici, rinascimentali e barocchi in stile eclettico e l’interno era dominato dai colori rosa acceso e azzurro, che richiamano alla policromia delle antiche chiese russe e dei templi indù, nel classico stile ornato della Secessione ungherese; nella sala da pranzo il camino era rivestito dalle famose porcellane “Zsolnay”.

La sua decadenza iniziò quando la famiglia Spitzer lasciò Beočin, prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, durante la quale il castello fu prima utilizzato come edificio militare dal comando militare tedesco e, dopo la fine del conflitto, in seguito nazionalizzato. Da lì in poi ospitò la biblioteca comunale, la Casa della Cultura, la sede del circolo di pallamano, una stazione radiofonica, un ospizio per invalidi militari e, infine, un esclusivo ristorante. In seguito alla privatizzazione da parte della società Podunavlje e al suo fallimento l’edificio infine fu definitivamente abbandonato al suo destino.

L’accesso al castello è ora vietato ed è stata installata una recinzione metallica, poiché comincia a cadere a pezzi. Non ci sono più porte, finestre e le famose vetrate. A suo tempo vennero girati al suo interno numerosi film e spot musicali mentre ora spesso dai locali viene chiamato la “Casa degli Spiriti”. Una volta anche il regista serbo Emir Kusturica, stupito dalla sua bellezza, si offrì di acquistarlo e di ristrutturarlo a proprie spese per rimetterlo in funzione, ma la sua richiesta non fu accolta.

Come tutte le dimore di un certo rispetto anche il castello degli Spitzer ha alcune leggende da raccontare. Coloro che hanno servito la famiglia Spitzer hanno lasciato dietro di sé una storia che racconta come il capofamiglia Eduard vivesse in questo castello con la moglie Clara, il figlio Jonas e la figlia Johanna. La leggenda narra che Johanna, la quale soggiornava spesso lì quando trascorreva le sue giornate fuori Vienna e Pest, mentre soleva passeggiare per il giardino con un libro in mano, si attardasse spesso nel vicino gazebo in legno, dove l’amore divampava tra lei e lo scudiero.

Quell’amore però non si concretizzò mai perché i suoi genitori lo impedirono e lei in seguito si suicidò. A più di cento anni di distanza la gente del posto ancora racconta che in seguito dei colombi iniziarono a nidificare nella soffitta mentre gli abitanti del posto non osavano mettere piede in quella colombaia, convinti che i vecchi solai nascondessero labirinti misteriosi.

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