Bajaga, con la musica oltre confini e nazionalismi

È uno degli autori musicali più conosciuti e ascoltati nell’area ex jugoslava, già membro della band Riblja Čorba e poi con gli Instruktori, rockband che lo accompagna da quasi 40 anni. Soprannominato "Paul McCartney dei Balcani" Bajaga non ha mai smesso di credere nella musica

14/10/2022, Cecilia Zecchinelli -

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Bajaga in concerto © Zamrznuti tonovi/Shutterstock

L’appuntamento è per domani alle 20, nella più importante sala concerti di Zagabria, la Vatroslav Lisinski Hall. Biglietti esauriti da mesi, come spesso – se non sempre – avviene per i concerti di Bajaga. E non certo da oggi. Un nome che in Italia conoscono in pochi, pochissimi. Un artista che tantissimi adorano nell’ex Jugoslavia, dove per tutti è comunque una star.

Momčilo Bajagić detto Bajaga, classe 1960, nato per caso in Croazia e cresciuto dai due giorni di vita in poi a Zemun e Belgrado, è sulla scena musicale da quando aveva 16 anni ed è diventato famoso a 18. "Dai primi accordi di chitarra lungo il Danubio e dalle prime canzoni scritte ai tempi della scuola, fino al grande concerto allo stadio Tašmajdan di Belgrado nel 1979 con i Riblja Čorba, è stato tutto molto veloce, incredibile. Un’avventura che continua ancora oggi, con un altro gruppo ma senza interruzioni", racconta Bajaga al termine di una prova con gli Instruktori, la rock band che lo accompagna da quasi quarant’anni. Molti sono gli stessi musicisti di allora: 12 album e migliaia di concerti alle spalle, il loro successo non si è mai fermato.

"Adesso siamo impegnati in un progetto che si chiama Koncert za rock grupu, orkestar i zbor con le filarmoniche e i cori nazionali dei paesi della regione. A Belgrado abbiamo iniziato nel 2019 al Sava Centar, poi a Skopje due anni fa, adesso a Zagabria, poi verrà Lubiana. La Jugoslavia non esiste più, forse è meglio così, ma noi abbiamo sempre suonato dappertutto, anche durante la guerra, superando con la musica confini e nazionalismi".

Eppure molti soffrono di jugonostalgija, perché è meglio che il paese si sia diviso? "Mi piaceva quel periodo, stavamo bene finché tutto non è finito nel sangue. Ma se la gente voleva separarsi meglio che l’abbia fatto piuttosto che continuare a uccidersi. Sono contrario a ogni guerra, anche oggi. E diffido di ogni propaganda, anche oggi. La politica non mi ha mai interessato, tranne un breve periodo, scrivo soprattutto canzoni d’amore".

Soprannominato dai media locali il "Paul McCartney dei Balcani", il cantautore pop-rock Bajaga è in effetti apprezzato per i suoi testi che parlano di amore: riflessivi, a volte malinconici, altri divertenti piuttosto che sentimentali, sempre poetici. Da Plavi safir (Zaffiro blu) a Tišina (Silenzio), da Sa druge strane jastuka (Dall’altro lato del cuscino) a Poljubi me (Baciami), molte di queste canzoni sono ancora delle hit dopo anni. Ma nel suo lungo percorso incontrare la politica era forse inevitabile per Bajaga, e non tutte le sue canzoni parlano a una donna.

"Ho scritto Rimljani (Romani) poco prima dell’arrivo di Milošević, il testo dice che ‘ci sono sempre più barbari, e sempre meno Romani’. Qualcuno ha poi sostenuto che avevo previsto quanto sarebbe successo, ma registravo solo che i tempi stavano cambiando, sentivamo tutti che a breve sarebbe avvenuto qualcosa di orribile. E poi ho scritto Verujem, ne verujem (Credo, non credo), dove c’è la frase ‘notte, notte, è totalmente buio e nell’oscurità non vedo niente’, quando ero a Novi Sad nel 1988, proprio la notte in cui i pro-Milošević rovesciarono il governo della Vojvodina nella cosiddetta ‘rivoluzione dello yogurt’".

A quel periodo sono seguiti gli anni terribili della guerra, ma Bajaga e i suoi Instruktori hanno continuato con ostinazione a suonare oltre i confini che si andavano creando. "Siamo stati i primi a esibirci in Slovenia dopo la secessione, tra i primi in Croazia, forse davanti a noi c’era stato solo Đorđe Balešević. Prima della guerra facevamo 250 concerti all’anno, ma anche dopo abbiamo fatto di tutto per continuare, sempre benaccolti tranne una sola volta in Slovenia, suscitando qualche perplessità anche tra il nostro pubblico serbo. Alla fine tutto è andato bene. E infatti, dopo una prima tentazione a emigrare come tanti hanno fatto, ho deciso di restare a Belgrado: suonavo dove volevo ma poi tornavo a casa".

Dopo la guerra c’è stato l’incontro importante con Zoran Đinđić, il fondatore del Partito Democratico che sarebbe diventato primo ministro della Serbia nel 2001, assassinato due anni dopo.

"Ci siamo conosciuti nel 1996 durante le proteste degli studenti dove suonavo con il gruppo. Avevamo la stessa giacca da pilota, ci siamo dati subito del tu e poi ci siamo frequentati spesso, lui veniva anche ai nostri concerti. Era un genio ma non parlavamo mai di politica. In quel periodo ho scritto la canzone Što ne može niko možeš ti (Quello che nessuno può fare puoi farlo tu). Per un po’ è stata usata dal suo partito, visto che sostenevo Zoran ho acconsentito, ma poi ho cambiato idea: avevo scritto quel testo per le proteste, non per una parte politica. La mia passione è la musica, il rock".

La musica di Bajaga in fondo non è molto cambiata negli anni, dice lui stesso, così come i testi delle sue 300 e più canzoni.

 

"Abbiamo sempre suonato un mix di generi all’interno del rock, compresi reggae e disco, poi perfino rap – spiega – e prima degli Instruktori non ho avuto un periodo punk e nemmeno ho fatto parte della Novi Talas", la new wave jugoslava considerata da molti il genere musicale di riferimento del paese fino ai primi anni Ottanta e ancora oggi celebrata.

"Io sono cresciuto con i Deep Purple e gli Stones, da noi mi piacevano i Bijelo Dugme, i musicisti rock erano i migliori in tutto il mondo – continua Bajaga – e poi quando la Novi Talas è emersa io suonavo già con i Riblja Čorba, avevamo un enorme successo e migliaia di fan, ben più di qualsiasi gruppo della new wave, perché cambiare? Poi, con gli Instruktori, la nostra musica non ha mai smesso di piacere, a tutte le generazioni, dai 7 ai 70 anni. E continuiamo a fare tantissimi concerti, non solo nella regione: siamo stati in tutti i continenti tranne l’America Latina, perché ci sono 4 milioni di ex jugoslavi della diaspora. Anche se non scrivo canzoni in inglese (non sarei così bravo) abbiamo un grande pubblico".

Il motivo di tanto successo Bajaga lo spiega con "molta fortuna", anche se ritiene di essere "uno dei migliori autori di testi" nella sua lingua. Così come il fatto che gli Instruktori resistano da 38 anni, cosa assai rara tra le band di tutto il mondo, è dovuto secondo lui semplicemente "all’amicizia, siamo amici e non abbiamo problemi".

In realtà, oltre alla qualità della musica, la voglia di continuare a suonare e l’impegno ad andare avanti non sono diminuiti con il passare degli anni: il prossimo tour in Canada e Stati Uniti è previsto in novembre, senza contare i numerosi concerti nella regione. "Nemmeno durante la pandemia ci siamo fermati, abbiamo registrato un nuovo album – dice Bajaga – io poi ho scritto due musical, le canzoni per uno spettacolo teatrale per ragazzi e le colonne sonore del nuovo film di Dušan Kovačević e di un’altra pellicola. Ci sono molte cose da fare anche da noi, nonostante il pessimismo di tanti che vorrebbero andarsene".

Bajaga ripete di essere consapevole della sua "fortuna": "Ho realizzato il mio sogno da ragazzo, posso continuare a suonare dove e come voglio, e tra noi musicisti abbiamo continui contatti, non esistono confini né nazionalismi. Quattro anni fa ci hanno vietato di suonare a Karlovac, in Croazia, perché siamo serbi. Ma il gruppo croato che avrebbe dovuto sostituirci, i Hladno Pivo, si è rifiutato di farlo e poi abbiamo suonato altrove con loro. C’è molta unione e lo stesso vale per il cinema e l’arte in generale".

Nemmeno al di fuori del suo ambiente Bajaga però crede che le cose vadano molto diversamente. "Nell’intera società i fanatici e i nazionalisti sono una minoranza – dice – e il nostro non sarà il paese ideale, che poi non esiste, ma non è così male. Siamo piccoli, né ricchi né poveri, non creiamo problemi a nessuno. Tutte le persone normali che vengono in Serbia si trovano bene. E anche io mi ritengo normale, anche se completamente normale credo che non lo sia nessuno".

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