“Ada Ciganlija”, il mare di Belgrado
A pochi chilometri dal centro di Belgrado “Ada Ciganlija” è oggi la via di fuga dal caos cittadino più amata dai belgradesi, un’oasi verde dove fare sport, rilassarsi e in estate fare il bagno; in pochi conoscono però il suo turbolento passato
Il mare di Belgrado (beogradsko more), come affettuosamente e con una punta di vanità, viene anche chiamata “Ada Ciganlija ”, è in origine un’isola fluviale adagiata sul fiume Sava, qualche chilometro prima che si butti nel grande Danubio, nelle cui spiagge e boschi trovano pace e benessere ogni anno centinaia di migliaia di belgradesi. Essa presenta un ecosistema biologico unico grazie alla benefica combinazione di superfici d’acqua e complessi boschivi (nel centro dell’isola cresce una vegetazione spontanea che viene lasciata selvaggia) i quali le conferiscono un microclima specifico caratterizzato da umidità e temperature giornaliere estive più basse rispetto ad altre parti della capitale serba.
Un sistema di pompe e filtri assieme a una specifica vegetazione subacquea assicurano la purezza delle acque del lago artificiale che la delimita da un lato (Savsko Jezero) il quale funge anche da riserva di acqua potabile dell’acquedotto comunale. Nelle aree verdi che la ricoprono per buona parte si trovano querce, olmi, betulle, salici, pioppi, funghi, piante medicinali… si incontrano uccelli, insetti e mammiferi come lepri, volpi e caprioli, o si pesca.
“Ada” è inoltre a oggi il più grande centro sportivo e ricreativo della capitale e assomma a più di 50 campi per vari tipi di sport, attività come bungee jumping, canottaggio, arrampicata, sci d’acqua; qui si sono svolti centinaia di campionati nazionali, europei e mondiali di sport acquatici. L’isola è completamente pedonalizzata e si può girare a piedi, in bici o con un trenino elettrico.
Naturalmente non manca in loco l’offerta enogastronomica, assicurata da molti ristoranti e bar che si adagiano sulle sue rive. Fino agli ‘60, cioè prima della trasformazione in penisola, ci si poteva arrivare solo in barca o attraversando un ponte di barche, mentre ora molte linee di autobus la raggiungono giornalmente.
Il grande commediografo serbo Branislav Nušić fondò sull’isola agli inizi del ‘900 il giornale satirico “Vodeni cvet” (Efemera) e incantato dalla sua bellezza soprannominò proprio così “Ada”, mentre il premio Nobel Ivo Andrić la definì “le Bocche di Cattaro belgradesi”. Molti artisti, scrittori, attori e avventurieri erano soliti passare le giornate pescando e nuotando nelle sue acque tra cui i grandi del cinema jugoslavo, Bora Todorović, Dragan Nikolić e Pavle Vujisić.
Dai dubbi sull’origine del nome…
I cronisti dell’epoca sostengono che l’epiteto che accompagna “Ada” (un prestito dal turco per definire un’isola fluviale) risalirebbe al sintagma di origine celtica “singa” (isola) e “lia” (terra sott’acqua), da cui “Ciganlija” in una traslitterazione successiva; questo evocherebbe la variabilità del livello dell’acqua del fiume Sava, rispettivamente nominato “singa” quando basso e “lia” quando alto.
Alcuni sostengono invece che “Ciganlija” sia da riferire alle popolazioni di etnia rom (cigani, in serbo) presenti sull’isola prima dell’occupazione austriaca di Belgrado. Una delle più antiche testimonianze della sua presenza risale proprio a quegli anni quando “Ada” fu teatro di battaglia tra l’esercito turco e quello austriaco, a cui si devono i primi ponti sulla grande palude (oggi Nuova Belgrado) che divideva l’isola dalla terraferma. A sostegno di questa tesi c’è anche il fatto che nel 1688 il cartografo veneziano Vincenzo Coronelli disegnò su una mappa dell’epoca l’isola sul fiume Sava e la sottoscrisse con l’italiano “Isola degli Zingari”; lo stesso fece Giacomo Castelli da Vignola, cartografo del Duca di Mantova, su una stampata a Roma e pubblicata nel 1689 con l’approvazione del Vaticano. Nel 1714 inoltre anche il tedesco“Zigeuner-Insel”, appunto isola degli zingari, comparve su altre mappe, alimentando ancora oggi dei dubbi sulla vera origine del nome.
L’isola sarebbe citata in uno dei più vecchi documenti d’archivio sotto la firma del leader serbo Karađorđe Petrović; con un decreto speciale del 1809 il rivoluzionario la diede infatti in gestione privata a Mladen Milovanoc, rivoluzionario come lui e Presidente del Consiglio di Serbia; pochi anni dopo però i turchi abrogarono tutte le normative precedenti e da allora “Ada” non fu più la proprietà privata di nessuno. Nel 1821 il principe Miloš Obrenović la dichiarò bene statale e nazionale (e così è rimasta fino a oggi), ma fu lasciata in stato di totale abbandono per tutto il XIX secolo.
…all’Alcatraz serba
Durante la Prima guerra mondiale “Ada Ciganlija” ritornò a essere teatro di battaglia, questa volta tra gli eserciti serbo e austro-ungarico, il quale avanzava verso Belgrado attraverso il fiume. Negli anni ’20 proprio all’inizio dell’isola fu costruita la prigione del tribunale distrettuale di Belgrado riservata ai “detenuti più gravi”, la maggior parte prigionieri politici comunisti, membri del Partito Comunista di Jugoslavia, spie straniere o altre organizzazioni e associazioni contrarie al regime dittatoriale imposto da Aleksandar Karađorđević. Nella struttura, da cui era molto difficile fuggire poiché circondata da paludi e acqua, e che venne definita una “piccola Alcatraz”, c’erano condizioni di vita molto difficili, simili a quelle della famigerata “Glavnjača ”. Fino agli anni ‘30 non esistevano muri intorno agli edifici, quindi i prigionieri dovevano muoversi incatenati mentre nel cortile adiacente si procedeva a esecuzioni.
Dopo la Seconda guerra mondiale il carcere fu utilizzato per le esigenze del Dipartimento per la protezione del popolo (OZNA) e ancora una volta vi finirono per lo più prigionieri politici, stavolta avversi al regime di Tito. Sebbene la notizia non sia mai stata ufficialmente confermata, il generale Draža Mihailović, fondatore e capo delle formazioni monarchiche cetniche, sarebbe stato ucciso a colpi di arma da fuoco proprio nel cortile della prigione il 17 luglio 1946. La struttura fu poi chiusa nel 1954 e l’edificio successivamente demolito nel 1956.
Le case sugli alberi e la fuga dalla realtà socialista
Tra i primi “abitanti” di “Ada Ciganlija” figura lo studente di architettura Predrag Peđa Ristić, che all’inizio degli anni ‘50 costruì proprio sull’isola delle case in legno tra gli alberi. Il romanziere Momo Kapor, uno degli ospiti più frequenti di queste prime baracche fatte con assi di legno e fango, descrive così l’atmosfera del tempo: “A volte dormivamo in quella casa svegliandoci insieme agli uccelli. Man mano che l’albero cresceva, la casa diventava ogni anno più alta di un piano… qui abbiamo capito che non si deve per forza vivere sempre sulla terra… Ogni tanto qualcuno cadeva dall’albero e sento ancora oggi i cupi tonfi. A volte ci incontriamo per strada e guardandoci attraverso i finestrini delle auto sappiamo calcolare dalle nostre facce l’altezza della caduta”.
L’audace Ristić propose a un certo punto persino di produrre in serie un modello universale di case, anzi un intero insediamento a un prezzo molto conveniente; dove non c’erano alberi a cui aggrapparsi si sarebbero potuti piantare pali di diverse altezze. Per lui infatti, come per tanti altri che si volevano discostare dal regime titoista, “Ada” rappresentava all’epoca una fuga dalla realtà e dai cliché conformisti: “In generale tutta la vita sociale di Belgrado si svolgeva sulla Sava sia d’estate che d’inverno. A quel tempo non c’erano i caffè e i giovani bighellonavano senza meta”, rivelò lo stesso Ristić.
L’idillio durò poco poiché la sua casa era frequentata ogni giorno da giovani entusiasti e ribelli che destarono i sospetti di alcuni studenti appartenenti alla gioventù di Tito, i quali li vedevano come potenziali nemici del popolo, che non rientravano nell’auspicabile modello di gioventù del periodo: “Una casa piena di giovani uomini e donne durante la stagione balneare, il cui aspetto e comportamento non si conformano alla gioventù di Tito e che nei limiti della decenza influisce negativamente sugli studenti”. Si decise quindi in fretta per la demolizione della “baracca di legno di 1,5-3,5 metri, alta 2,20 metri, posta su tre salici alla foce del fiume Topčider, costruita abusivamente, entro cinque giorni”. E così difatti avvenne.
La trasformazione in penisola
Fu poco dopo che si decise di “urbanizzare” e rendere il più possibile accessibile l’isola alle masse della popolazione, collegandola alla terraferma. Nel 1957 il Comitato Popolare della Città di Belgrado formò un direttivo per la costruzione del “Centro ricreativo Ada Ciganlija” e per più di 10 anni squadre di giovani volontari delle famose brigate titine contribuirono alla pulizia dell’isola, alla costruzione dell’argine, al suo disboscamento, livellamento e alla sua sistemazione definitiva. La spiaggia si allungò gradualmente man mano che piante e alberi vennero abbattuti, sotto lo stretto controllo di esperti della Facoltà di Scienze Forestali dell’Università di Belgrado.
Nel settembre del 1961 fu innalzato un terrapieno all’esterno dell’isola che impediva al fiume Sava di fuoriuscire e allagare la zona. Milan Pećinar, ingegnere e membro dell’Accademia serba delle scienze e delle arti, propose di fare del posto una fonte di acqua potabile e un centro sportivo e ricreativo; il suo intento divenne realtà nel 1967, quando finiti i lavori, “Ada Ciganlija” fu definitivamente collegata alla terraferma.
La monografia dal titolo “Ada Ciganlija” rivela che in quegli anni qui vigeva un codice di abbigliamento che nessuno poteva violare: “I costumi da bagno che le ragazze indossano oggi erano impensabili all’epoca; le donne dovevano indossare gonne o costumi lunghi. Affinché nessuno potesse infrangere le regole un addetto misurava loro la lunghezza dei costumi e se stabiliva che uno era vestito in modo inadeguato lo invitava ad allontanarsi. Inoltre, agli uomini non era permesso sedersi vicino alle donne, figuriamoci baciarle”, afferma uno degli autori dello scritto, lo storico Srđan Cvetković.
Negli anni ’70 il giornale Politika lamentava come l’isola fosse ancora in uno stato di abbandono, ricoperta di erbacce e con salici e pioppi distrutti dalla siccità e dal disboscamento illegale. Il giornalista Dušan Savković in un articolo sottolineava che l’affluenza era bassissima e che “come ai tempi dei turchi i pensionati, nudi fino alla cintola, pagano un dinaro per entrare in un posto abbandonato a se stesso”; “i tempi stanno cambiando” continuava, “oggi a un cittadino di Belgrado non basta versarsi un secchio di acqua sulla testa e farsi fare un’insalata di pomodori. Vuole un campo da mini-golf”.
Nel 1973 per la prima volta, accanto a Kalemegdan, al monumento al Pobednik e a Skadarlija, “Ada Ciganlija” apparì nelle cartoline illustrate e iniziò a diventare uno dei simboli della città; ormai era chiaro che il suo sviluppo non si poteva più differire.
Nei primi anni 2000 vennero assicurati alcuni ingenti investimenti con cui fu sistemata la zona balneare e furono rinnovate le docce e i bagni pubblici; con la costruzione di nuovi campi sportivi e l’ammodernamento della rete elettrica, idrica e d’illuminazione “Ada Ciganlija” prese infine l’aspetto con cui la conosciamo ora.