Caucaso: una linea bianca tra due mari
Un giornalista, scrittore, documentarista e guida alpina racconta il Caucaso. A volte dall’alto delle vette innevate, a volte dall’interno delle case nude ma accoglienti dei suoi abitanti. È Mario Casella, che nel suo libro appena uscito snoda il racconto tra un resoconto della sua traversata alpinistica della primavera del 2009 e pagine di storia e attualità. Un’intervista
"Quando smetterà il sangue di scorrere tra le montagne? Accadrà solo il giorno in cui la canna da zucchero crescerà nella neve…" (Proverbio caucasico). Da "Nero-bianco-nero. Un viaggio tra le montagne e la storia del Caucaso", di Mario Casella (2011)
Qual è il motivo principale che l’ha spinta a scrivere questo libro, suddividendolo anche dal punto di vista grafico in pagine chiare e pagine scure, in cui alterna il racconto della traversata alpinistica a capitoli di storia ed attualità?
Ci sono due motivi che riflettono le due anime di questo libro. Una è quella più puramente alpinistico-esplorativa, l’altra invece è rappresentata da conoscenze che ho accumulato attraverso frequentazioni ripetute del Caucaso sulla realtà politica e le difficoltà che le persone di queste regioni devono fronteggiare nella situazione precaria in cui vivono ormai da decenni.
La volontà giornalistica di far conoscere questa realtà anche al grande pubblico, magari anche a quel pubblico che frequenta le montagne. Ci sono alpinisti ed escursionisti che si recano in Caucaso per scalare ad esempio l’Elbrus ma ignorano la realtà di questi territori… Ecco la volontà di far conoscere ad un pubblico allargato queste realtà, mi ha spinto a mettere sulla carta queste esperienze.
Fin dalle prime pagine del libro traspare che dietro vi è non solo l’uomo alpinista e l’uomo giornalista, ma un uomo profondamente toccato dall’incontro con il mondo del Caucaso. Ci può raccontare qual è stato il primo evento, il primo incontro che l’ha spinta a proseguire nei suoi viaggi in quest’area?
Il primo incontro è legato ad un’esperienza documentaristica che aveva lo scopo di ritrarre la vicenda di due fratelli russi che vivono a San Pietroburgo. Con il crollo del sistema sovietico, agli inizi degli anni ’90, hanno dovuto reinventarsi una nuova vita, così come in quegli anni hanno dovuto fare molti altri abitanti dell’ex Unione Sovietica. Ai tempi dell’Unione Sovietica erano stati campioni plurimedagliati di alpinismo e così hanno pensato – nonostante le loro qualifiche di ricercatori presso l’Accademia della Scienza dell’URSS – di utilizzare le proprie esperienze in montagna per guadagnarsi da vivere.
Hanno cominciato ad accompagnare i primi alpinisti occidentali che visitavano le montagne del Caucaso. Mentre costruivo il ritratto di questi due fratelli, uno dei due era talmente innamorato del Caucaso che mi ha voluto portare ad ogni costo a vedere le montagne di cui parlava. Si tratta di Alexey Sushtrov, che è poi la persona con cui ho compiuto la traversata di cui scrivo nel libro. E’ diventato un amico e ogni anno scaliamo insieme queste montagne.
Ha appena parlato di uno dei personaggi che l’hanno accompagnata in questo viaggio. Ci può offrire una pennellata anche di Zainaddin, colui che fa da autista o di altri personaggi come Sasha, del soccorso russo-osseto ma con un passato anche di soldato nel conflitto russo-georgiano del 2008?
La forza di un viaggio come quello di cui racconto nel libro è proprio generata dalla bellezza e dalla profondità degli incontri umani. Per cui tutto il libro è una vera galleria di ritratti che racconta la storia di questa regione. Si va dalle famiglie che sono tornate dopo le deportazioni in epoca staliniana dall’Asia centrale per scoprire le loro radici tra queste montagne, alla generazione di giovani, come Sasha Rodin, che ci accompagna lungo le montagne dell’Ossezia del nord e la cui vita è marcata dai recentissimi e continui conflitti nella regione. Lui infatti è stato arruolato durante la guerra in Cecenia e in Ossezia del sud durante la guerra tra Russia e Georgia. Tutte esperienze di cui lui non parlava molto volentieri, salvo in momenti più melanconici, magari di notte sotto la tendina da campo sbattuta dal vento gelido.
Rispetto a Sasha per me è stato interessante scoprire come un giovane che lavora per la protezione civile e per il soccorso alpino russi, appena scoppia un conflitto nella regione venga immediatamente requisito dalle forze militari per essere inviato al fronte. Esperienze che, l’ho visto nei suoi occhi, l’hanno marcato molto profondamente.
A proposito di conflitti. Nel suo libro dice che l’idea di usare gli sci per passare dalla riva del Mar Caspio alla riva del Mar Nero attraverso la catena montuosa del Caucaso, era anche l’idea di riuscire a superare confini di repubbliche in guerra da lungo tempo o comunque coinvolti in conflitti che creano destabilizzazione e divisioni. Ad esempio racconta che “registracija” è la parola d’ordine per muoversi nella regione: quali sono state le difficoltà maggiori per la vostra libertà di movimento durante il viaggio?
L’eccezionalità di questo viaggio non è tanto quella sportiva, atletica o alpinistica di aver fatto più di mille chilometri con gli sci ai piedi ma è proprio, e lo dico con rammarico e con tristezza, il fatto che credo che questo tipo di viaggio per parecchi anni nessun’altro riuscirà a farlo. Proprio perché è impossibile muoversi liberamente attraverso queste repubbliche martoriate da guerre e conflitti più o meno ufficiali.
L’episodio della registracija è solo uno dei tanti: uno straniero che si muove in queste repubbliche in crisi deve continuamente registrare i propri movimenti presso le autorità e questo spesso crea grossissimi problemi. Noi ad esempio abbiamo avuto dei problemi in Daghestan, problemi con i servizi segreti russi e cioè l’FSB (Federal’naja Služba Bezopasnosti) di cui parlo chiaramente in un capitolo. Abbiamo dovuto evitare alcune zone, come ad esempio una sessantina di chilometri di catena caucasica che si trova in Cecenia e Inguscezia, che ci è stata preclusa per cui abbiamo dovuto aggirare l’ostacolo scendendo a valle. Per cui ci siamo poi ritrovati sulla cima di una montagna da cui vedevamo benissimo la cima su cui ci trovavamo pochi giorni prima e da cui avevamo dovuto scendere…
Come scrivo nel finale del libro, il mio auspicio e sogno è che un giorno ci si possa muovere liberamente tra queste montagne, saltare da un confine all’altro, da una valle all’altra senza dover renderne conto a nessuno. Penso che questo sarebbe un bellissimo segno di libertà oltre che un modo per migliorare notevolmente le condizioni di vita delle popolazioni che qui vivono.
Dal punto di vista alpinistico: fino a quale altitudine massima si è spinto e quale è stato il passaggio più duro dal punto di vista fisico ed emotivo?
Il punto più alto è l’Elbrus, 5.642 metri, che è anche il punto più alto d’Europa se si parla di Europa continentale. Il momento più intenso sul piano emotivo è stato sicuramente l’ultimo colle che abbiamo attraversato e dal quale abbiamo finalmente visto il Mar Nero. Un colle che sovrasta le piste da sci su cui si terranno le Olimpiadi invernali del 2014, a Sochi. Di solito ci si emoziona quando si arriva in cima ad una vetta. E’ stata la prima volta che mi sono emozionato anche con qualche lacrima agli occhi, durante l’attraversamento di un semplice colle. Può sembrare insignificante ma era altamente simbolico, proprio al confine con l’Abkhazia, una zona ad altissima tensione… sarà molto interessante vedere cosa succederà in quest’area nel 2014 o nei mesi immediatamente precedenti alle Olimpiadi invernali.
Nel libro affronta anche temi di attualità: dalla Cecenia fino ad altri conflitti di cui ha scritto in qualità di giornalista. Parla anche di Natalia Estemirova, un’attivista per la difesa dei diritti umani uccisa un anno e mezzo fa, e alla quale dedica questo libro…
Sì, racconto dell’incontro con Natalia Estemirova, che era un’attivista di Memorial in Cecenia. Donna molto attiva nella difesa dei diritti umani. L’avevo incontrata a Grozny mentre stavo realizzando un reportage per la Radiotelevisione Svizzera sulla situazione in Cecenia. Avevo passato una giornata nel suo appartamento ad ascoltarla mentre raccontava di tutte le difficoltà che incontrava ogni attivista come lei, che tra l’altro collaborava con Anna Politkovskaja. Quando un anno dopo, nel 2009, mi giunse la notizia che era stata prelevata da quello stesso appartamento, sbattuta nell’ascensore e trovata poi in un bosco con un colpo alla tempia, rimasi senza parole. Allo stesso tempo mi sentii ancora più motivato a raccontare di queste realtà “nascoste”, perché il mondo esterno sappia che queste storie drammatiche succedono purtroppo giornalmente.
Lo dimostra anche il fatto che il mio libro sta diventando drammaticamente di attualità. Solo poche settimane fa nella zona dell’Elbrus sono stati attaccati dei turisti e ci sono stati 2 o 3 morti. Le notizie sono ancora frammentarie e Aleksandr Khloponin, proconsole nel Caucaso del nord nominato dal presidente russo Dimitri Medvedev, ha vietato l’accesso ai turisti a quest’area del Caucaso. E dico questo perché il turismo e lo sci stanno diventando la nuova arma di Mosca per rilanciare e riportare la calma in Caucaso.
Lo dimostra il fatto che due giorni dopo gli attentati all’aeroporto Domodedovo di Mosca il presidente russo Medvedev è venuto a Davos in Svizzera, per propagandare un progetto di 5 stazioni sciistiche nel Caucaso, del valore di 15 miliardi di dollari su cui Mosca punta molto per riportare la pace in questa regione. Quindi viene usato un po’ il sistema del “bastone e della carota” della Russia nei confronti del Caucaso del nord, nell’ottica di Mosca di assicurare la pace in vista dei giochi olimpici di Sochi 2014. C’è molta preoccupazione da parte di Putin che li ha fortemente voluti assieme all’intero Cremlino. Credo che purtroppo nei prossimi mesi l’attualità porterà spesso alla ribalta attacchi come quello avvenuto qualche settimana in Kabardino-Balkaria, in prossimità del monte Elbrus.
E’ una cosa che lei annuncia nel libro. In apertura scrive che l’oro nero ha determinato le fortune e le disgrazie del Caucaso, in chiusura anticipa in qualche maniera che dalla guerra per l’oro nero forse si arriverà alla guerra che lei chiama “dell’oro blu”. L’oro dell’acqua, della neve, dei ghiacciai di cui è ricca quest’area…
Infatti. Purtroppo la storia del Caucaso è marcata da vicende dove l’economia fa da sfondo a una realtà rurale e di persone che vivono in queste vallate e che sarebbero sicuramente in grado di vivere in modo pacifico nonostante le difficoltà oggettive della vita in montagna. Purtroppo questi interventi esterni, nonostante le valanghe di soldi e di finanziamenti che arrivano – in questo caso per il turismo e lo sfruttamento della bellezza del paesaggio del Caucaso – non portano buone notizie. Spesso ci sono interessi non così evidenti, che determinano però il mantenimento dello stato di conflitto. Ne parlo anche nel libro, ad esempio raccontando dello sfruttamento illegale del legname delle riserve naturali e delle aree protette dell’area montuosa del Caucaso. Nella nostra traversata ci siamo imbattuti più volte, all’interno di parchi nazionali, in disboscamenti selvaggi e traffici organizzati con il compiacimento delle autorità locali.
Ha in cantiere qualche altro progetto simile a quello narrato nel libro?
Nel Caucaso, a brevissimo termine non ne ho. Ma a fine marzo parto per un progetto alpinistico articolato sull’arco di tre anni. Quest’anno prevedo di percorrere con gli sci le montagne che si snodano sull’antica Via della seta. E’ un progetto molto ambizioso, soprattutto dal punto di vista logistico e politico. Partiamo dunque a fine marzo per una spedizione di due mesi che passeremo sulle montagne dell’Iran. L’anno prossimo saranno le montagne del Pamir e quindi le regioni meridionali dell’ex Unione Sovietica per poi finire con la Cina, nel 2013.