Azim

Azim ha 92 anni. Per via dei bombardamenti durante la guerra in Cecenia negli anni Novanta, ha dovuto ricostruire la sua casetta in pietra bianca per sei volte. La sua vita riflette il destino del popolo ceceno nel corso di un secolo caratterizzato da guerra, deportazioni e ancora guerra

14/02/2011, Majnat Kurbanova -

Azim

Il Monte Bashlam, noto anche come Kazbek (Palavandishvili/wikimedia)

Azim ha 92 anni. Da poco ha subito la rimozione di una cataratta. Per il resto, la sua salute può fare invidia a qualunque giovane nella Cecenia segnata dalle guerre.

La vita di Azim, come uno specchio, riflette il destino del popolo ceceno nel corso degli ultimi cento anni o quasi. Da giovane partecipò alla resistenza contro il regime di Stalin: fu arrestato, dichiarato “nemico del popolo” e mandato per 10 anni in un gulag, dove morirono due dei suoi fratelli maggiori. Mentre Azim scontava la sua condanna nelle miniere di uranio in Siberia, lo stigma di “nemico del popolo” venne attribuito non solo a lui ed ai suoi fratelli, ma a tutto il popolo ceceno, che nel 1944 fu deportato in Asia Centrale su ordine di Stalin. Questo Azim lo apprese solo dopo la fine della sua detenzione. Nei dieci anni di sofferenze disumane nel lager siberiano, solo il pensiero di tornare in patria, in Cecenia, dalla sua famiglia aveva dato ad Azim la forza di sopravvivere. Ma una volta “liberato”, non gli fu permesso di tornare. Da tempo in Cecenia non c’erano più i ceceni né la sua famiglia, deportata insieme a tutte le altre. E anche Azim fu deportato direttamente dalla Siberia in Kazakistan, dove dopo alcuni mesi di disperate ricerche scoprì che la moglie e i tre figli erano morti già all’inizio delle deportazioni. Morti di fame. L’unico sopravvissuto era un nipote di 10 anni, che Azim ritrovò in un orfanotrofio. Con lui, Azim cominciò una nuova vita.

Infine, dopo 13 anni di esilio e dopo la morte di Stalin, il popolo ceceno fu riabilitato e poté tornare in patria. Azim, che fino all’arresto aveva vissuto in montagna, in una torre sulla riva del fiume Argun, si stabilì in un piccolo villaggio di pianura da cui le montagne si vedevano solo nei giorni più limpidi. Certo, lui avrebbe voluto tornare in montagna, nel luogo dove era nato, ma le autorità sovietiche, anche dopo la riabilitazione, non avevano particolare fiducia nei ceceni, soprattutto in quelli di montagna. Probabilmente temevano che l’aria pura e la vicinanza degli indomiti picchi del monte Bashlam avrebbero stimolato l’insubordinazione. Ai montanari tornati dall’esilio non fu permesso di tornare in montagna e così Azim, come il resto dei rimpatriati, si stabilì in pianura.

Quando iniziò la prima guerra cecena, Azim aveva 75 anni. Nella primavera del 1995, il villaggio dove viveva fu circondato dai soldati russi. Presto iniziarono i bombardamenti e migliaia di abitanti del luogo abbandonarono le proprie case per scampare alle bombe e ai rastrellamenti. Azim rimase. Durante un paio di giorni di pausa nei bombardamenti, le truppe russe passarono in rassegna il villaggio per eseguire un cosiddetto controllo passaporti. In realtà, si trattava di un rastrellamento. Dalle case sopravvissute ai bombardamenti furono portati via mobili, oggetti preziosi, elettrodomestici. I soldati “ripulirono” il villaggio strada per strada, casa per casa. La stessa sorte toccò ai sopravvissuti ai bombardamenti, legati ai carri armati e portati alla centrale di polizia. Anche Azim fu portato via. Poi, quando i parenti l’avevano già rintracciato e pagato i soldati per riaverlo, Azim raccontò che l’ufficiale russo che lo interrogava gli aveva chiesto se aveva combattuto nella seconda guerra mondiale. Al che Azim, che in quegli anni in realtà era in Siberia a scontare la sua condanna da “nemico del popolo”, rispose di sì. L’ufficiale chiese, “da che parte? Per la Russia o per i fascisti?”. Azim, ingegnosamente, rispose: “allora non c’era la Russia, c’era l’Unione sovietica”. L’ufficiale fu soddisfatto della risposta, e ancora oggi il vecchio Azim sorride furbamente ricordando come ingannò l’ufficiale russo.

Ma quella non fu l’ultima guerra nella vita di Azim. Alcuni anni dopo, ricominciarono le operazioni militari in Cecenia. La casa di Azim, che lui aveva ricostruito dopo quel rastrellamento, fu di nuovo messa a fuoco dai lanciafiamme russi. Dal giorno in cui Azim si era stabilito in quel villaggio di pianura dopo il ritorno dall’esilio e si era costruito una piccola casa di pietra bianca, gli è toccato ricostruirla sei volte. Perché le bombe russe, che secondo il Cremlino cadevano solo sui covi dei “t[]isti”, ogni volta radevano alle fondamenta la modesta dimora di Azim.

Ora Azim ha 92 anni, 16 nipoti e una pronipote. È un vecchietto alto, con gli occhi azzurri, la schiena ancora dritta. A parte la recente rimozione della cataratta, è in salute e pieno di forze. Se gli chiedi dove riesce a trovare forza e volontà, risponde “nel bene”. “La cattiveria esaurisce l’essere umano, lo uccide. Non si può augurare del male a nessuno. È molto meglio amare che odiare”.

Azim, che nel suo secolo di vita di male e ingiustizia ne ha visto non poco, sa di cosa parla. E per questo credi davvero che le rughe intorno ai suoi occhi azzurri non siano segni scavati dal dolore, ma dal riso e dalla gioia.

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