Romania: il plagio, anticamera della corruzione
Con Emilia Șercan, giornalista investigativa e docente all’Università di Bucarest, abbiamo esplorato lo stato dell’arte del giornalismo romeno e riflettuto sul fenomeno del plagio in un paese in cui la corruzione è ancora dilagante
Lo scorso luglio, la Commissione europea ha pubblicato la Relazione sullo stato di diritto, dove si afferma che la situazione relativa ai casi di molestie e violenze contro i giornalisti è peggiorata rispetto all’anno precedente. In particolare, si riferisce ad uno dei casi che la coinvolgono e che riguarda alcune minacce di morte che lei ha ricevuto da due funzionari dell’Accademia di polizia Alexandru Ioan Cuza. Che tipo di visibilità ha la relazione sullo stato di diritto della Commissione europea in Romania e sulla stampa romena?
Ha una certa visibilità nei media e nell’ambiente politico. Finché disponiamo ancora del Meccanismo di cooperazione e verifica e di un meccanismo di monitoraggio della Commissione europea, è decisamente importante.
Perché i media mainstream si astengono dal riferire sul fenomeno del plagio che coinvolge funzionari pubblici?
La stampa mainstream, ovvero la televisione, i grandi siti web, i giornali, è controllata politicamente: tramite i proprietari di questi canali o siti web e tramite i finanziamenti che i partiti politici assegnano alla stampa a scopo di propaganda elettorale. Tuttavia ciò rappresenta un’anomalia preoccupante in Romania, dal momento che la propaganda continua anche fuori dalle campagne elettorali. Ciò significa che una parte significativa della stampa tace quando ci sono questioni delicate nell’agenda pubblica, ad esempio il plagio del primo ministro Nicolae Ciucă. La stampa mainstream ha taciuto su questo caso e ha riportato la notizia solo quando il primo ministro Ciucă ha reagito. Quindi, in sostanza, sulla stampa mainstream non si è parlato della mia inchiesta sulla tesi plagiata fino a quando lo stesso primo ministro non ha fatto una dichiarazione pubblica sulla sua posizione in merito.
In che modo tali temi, cruciali per un sano dibattito democratico, raggiungono l’opinione pubblica romena?
Al momento sono pochi i siti web indipendenti gestiti da giornalisti, basati su abbonamenti o donazioni dei cittadini, che coprono argomenti sensibili. Tali questioni spesso raggiungono il pubblico romeno tramite piattaforme di social media. In Romania Facebook rappresenta uno strumento di comunicazione di massa. Temi sensibili, come il plagio del primo ministro Ciucă, o quello del ministro dell’Istruzione Cîmpeanu, sono giunti all’attenzione del pubblico tramite Facebook.
Quando si parla di plagio non posso che evocare la plagiatrice più celebre della storia romena, il cui ricordo è vivo nella memoria popolare, Elena Ceaușescu. Potrebbe spiegare perché il fenomeno del plagio è così comune in Romania e perché i politici romeni sembrano avere un’ossessione per il titolo di dottore di ricerca?
Penso che nasca dall’esigenza dei politici in particolare, ma anche più in generale di chi ricopre cariche pubbliche, di legittimarsi intellettualmente, perché in Romania il contesto era abbastanza… beh, interessante, dopo il 1990. Prima del 1989, i posti disponibili per gli studenti universitari erano limitati ed era estremamente difficile superare il test di ingresso e assicurarsi l’iscrizione. Dopo il 1990, questi criteri sono stati mantenuti, ma hanno iniziato a moltiplicarsi le università private che, pur prevedendo test di ingresso, richiedevano anche rette costose che non le rendevano facilmente accessibili alle masse. Queste circostanze hanno in qualche modo creato la necessità per alcune persone di legittimarsi intellettualmente più di quanto sarebbe stato necessario. Penso che proprio perché negli anni ’90 l’ingresso agli studi universitari non era così accessibile ad un gran numero di persone, molti politici non hanno potuto conseguire la laurea. Non sono riusciti a fare i loro studi presso università prestigiose [negli anni ‘90] e hanno rimediato in seguito con studi di ogni tipo in varie università private che negli anni successivi avevano abbassato gli standard. Inoltre, per colmare il divario di un’istruzione universitaria percepita come scarsa, hanno cercato di compensare con un numero elevato di lauree. Così, ad esempio, l’attuale sindaco del terzo distretto di Bucarest, una delle sei unità amministrative in cui è suddiviso il comune della capitale, beh, si è diplomato a 32 anni, ma poi prima dei 40 ha ottenuto due lauree, due master e un dottorato di ricerca…
In Romania, il plagio e la mancanza di integrità accademica sono accettati come quasi inevitabili. Come si può cambiare questo atteggiamento e che ruolo hanno i giornalisti come lei in questo processo?
Portare alla luce il plagio è davvero importante per mostrare la corruzione morale. Dagli anni ’90, i nostri politici sono stati abili nell’individuare modi per nascondere denaro, proprietà e beni ottenuti attraverso la corruzione. Hanno gestito le loro attività allo stesso modo e trasferito le loro società a parenti o in paradisi fiscali. Vediamo bene il loro tenore di vita, che auto di lusso guidano. Sebbene sappiamo che questo benessere è alimentato dalla corruzione, ciò è molto difficile da provare e scoprire, mentre è molto facile svelare la corruzione morale, il plagio.
Le tesi di dottorato sono documenti pubblici, accessibili nelle biblioteche. Nel 2012, il caso del primo ministro Victor Ponta è emerso come il primo di tali casi, sconvolgendo l’ambiente politico. Il suo caso è stato rivelato da un’importante rivista scientifica internazionale, Nature. A partire dal 2015 ho indagato e scritto di casi di politici che hanno plagiato le proprie tesi di dottorato. Lentamente la società romena, in particolare la comunità intellettuale, è diventata sensibile a tutto ciò che è legato al plagio e all’impostura in politica.
Negli ultimi sette anni, da quando scrivo di plagio, questo argomento ha trovato la sua nicchia nell’agenda pubblica come argomento importante per la società. Nel tempo, le persone hanno capito che il furto accademico è dannoso per la società nel suo insieme, perché erode e mina i valori professionali e intellettuali. Stiamo scoprendo quanto sia diffusa questa impostura. Comprendiamo meglio perché i nostri politici sono incompetenti. Queste persone in realtà non hanno una formazione professionale, nessuna formazione accademica e nessuno standard morale. E forse è per questo che sono così pronti al compromesso. Forse questo spiega anche il livello di corruzione in Romania.
Partendo dalle raccomandazioni formulate dalla Commissione europea nel rapporto sullo stato di diritto, e sulla base della sua esperienza, cosa dovrebbe fare il governo romeno per promuovere la sicurezza dei giornalisti online e offline?
Dopo aver scritto della tesi di dottorato del primo ministro Nicolae Ciucă, ho ricevuto una minaccia e sporto denuncia. In tale occasione, sono stata oggetto di una campagna di kompromat abbastanza nota. Ebbene, il Presidente del Consiglio ha sostenuto che il governo sostiene la libertà di espressione e io ho risposto che non è sufficiente che il governo sostenga la libertà di espressione, il governo deve garantire la libertà di espressione. Deve garantire che i giornalisti godano veramente di un ambiente di lavoro sicuro, in cui non siano oggetto di campagne di linciaggio o kompromat, un ambiente in cui non siano minacciati, molestati o perseguitati solo perché svolgono legittimamente il proprio lavoro. Il governo guadagnerebbe più credibilità agli occhi dei professionisti dei media spingendo le istituzioni statali a svolgere effettivamente il proprio lavoro.
Qual è stata la sua esperienza personale con il sistema giudiziario romeno?
Sono estremamente insoddisfatta del modo in cui giustizia e polizia hanno svolto il proprio lavoro. Quando nel 2019 ho ricevuto una serie di minacce di morte da membri dell’Accademia di polizia, solo una felice coincidenza ha permesso allo Stato, alla Procura e alla Direzione nazionale anticorruzione di catturare i responsabili. Nel caso di molestie più recente, quando qualcuno all’interno della polizia romena ha cercato di screditarmi condividendo mie foto personali rubate sui social media, lo stato ha cercato di coprire la fuga di notizie da parte della polizia, che aveva lo scopo di amplificare la campagna di kompromat in corso.
L’estate scorsa, dopo la condanna delle persone coinvolte nel caso dell’accademia di polizia Ioan Cuza, Dan Cărbunaru, portavoce del governo, commentando il suo caso, ha dichiarato che il governo sottolinea che la libertà di stampa deve essere protetta e nessun giornalista può essere minacciato, intimidito o aggredito. Ritiene che la decisione della Corte nei confronti dei due membri dell’accademia di polizia avrà in futuro un carattere deterrente?
No, non ha svolto pienamente un ruolo deterrente né preventivo, perché la sentenza ha previsto una sospensione condizionale della pena. I due poliziotti sono stati sospesi sia dai loro incarichi accademici che di polizia. Tuttavia, non stanno scontando una pena detentiva. Penso che la sentenza avrebbe avuto carattere dissuasivo se fossero stati condannati al carcere in considerazione delle circostanze aggravanti del loro ruolo. L’aggravante è legata ai loro incarichi di rettore e vicerettore dell’Accademia di polizia; erano professori universitari. Uno di loro era anche sovrintendente di polizia. Invece, il tribunale ha ritenuto che le loro posizioni pubbliche costituissero un’attenuante. Penso che la giustizia non abbia svolto il suo ruolo di prevenzione e deterrenza in questo caso.
Può aggiornarmi su come si sta evolvendo il caso delle foto?
Ho sporto diverse denunce che dovrebbero essere raggruppate in due procedimenti penali. Al momento, ho cinque fascicoli penali invece di due. In Romania, questa è una tecnica comune. Quando vuoi seppellire un fascicolo lo dividi, lo dividi in tanti fascicoli più piccoli che distribuisci su più procure. Ci sono quattro pubblici ministeri diversi che fanno esattamente le stesse cose, che indagano sulle stesse cose, conducendo le stesse udienze. Cosa significa per me? Un sacco di soldi, perché ho bisogno di avvocati. Molto tempo perso, perché devo seguire l’evoluzione di quattro casi. Per lo Stato, significa che sono impiegati quattro pubblici ministeri per trattare la stessa questione, quindi si stanno sprecando le risorse dello Stato con l’obiettivo di seppellire questo caso. Stanno temporeggiando e probabilmente bloccheranno il caso per anni, fino a quando i colpevoli non ricopriranno più incarichi nella Polizia, nel ministero dell’Interno e non saranno più politicamente attivi, fino a quando non sarà più importante se sono responsabili o meno. Purtroppo, questa è la situazione in Romania. Non siamo garantiti perché il sistema giudiziario non fa il proprio lavoro, e il sistema giudiziario non fa il proprio lavoro perché è controllato politicamente e noi dobbiamo subirne le conseguenze.
Queste operazioni di kompromat hanno una tradizione nella regione. Nel suo caso l’operazione era articolata in modo sessista, come del resto lei stessa ha menzionato, la stessa cosa non sarebbe probabilmente accaduta ad un giornalista uomo. Che cosa ne pensa? Le minacce subite dalle giornaliste sono diverse rispetto quelle subite dai giornalisti?
All’inizio di quest’anno, il giorno dopo aver pubblicato l’articolo sulla tesi di dottorato del Primo Ministro Nicolae Ciucă, ho ricevuto una minaccia. Un mese dopo, ho scoperto mie foto personali caricate su vari siti web per adulti. Sebbene le immagini non siano compromettenti, l’obiettivo era quello di associare la mia immagine a siti per adulti, compromettermi e ovviamente sminuire ciò che dico e gettare un’ombra di dubbio. Per dire, guarda chi sta facendo le rivelazioni sul plagio. Ho notato che questa retorica è diretta soprattutto contro le giornaliste donne. Se siamo donne e abbiamo il coraggio di scrivere, siamo sicuramente donne facili, stupide, deboli. Ed è molto più facile impiegare una simile narrazione contro una donna, perché partiamo con un handicap, perché siamo considerate persone di seconda classe rispetto agli uomini.
Sa se altre giornaliste sono state minacciate? Com’è l’equilibrio di genere nella comunità giornalistica romena?
Penso che ci siano più donne, ma non ho dati certi. Quello che posso dire dall’osservazione personale è che ci sono più donne che si occupano del lato pratico del lavoro. Le persone a capo delle redazioni sono generalmente uomini. Quindi, in modo preponderante, ai vertici delle redazioni ci sono gli uomini. In diversi casi le donne sono oggetto di aggressioni fisiche o virtuali, come le giornaliste che sono state spinte mentre svolgevano il loro lavoro o hanno ricevuto messaggi di minaccia.
C’è un’altra forma di minaccia, quella che mira ad ostacolare il lavorodi una giornalista. Il fatto che le istituzioni statali sistematicamente non rispondano alle nostre richieste ai sensi della legge sul libero accesso alle informazioni di interesse pubblico. Sono una dei pochi giornalisti che si sono presi la responsabilità di fare causa allo Stato. E altri giornalisti, dopo aver visto che ho iniziato a vincere cause, hanno querelato anche loro le istituzioni statali. Penso di avere circa 70 cause legali contro le istituzioni, molte di esse vinte. Perché se è vero che ci vogliono due anni per avere un’informazione che lo Stato dovrebbe dare in 10 giorni, e seppure molte volte quell’informazione dopo due anni non ha più valore, dobbiamo fare qualcosa e utilizzare tutti i mezzi legali possibili per svolgere il nostro lavoro. Se citare in giudizio le istituzioni è un modo per dire ai politici che non va bene prenderci in giro, io lo faccio.
Che tipo di sostegno le ha dato la società civile europea, internazionale e romena?
Ho avuto un sostegno assolutamente incredibile dalla comunità europea dei giornalisti e a livello internazionale, anche dagli Stati Uniti. Mi sono sentita fortemente sostenuta dall’estero, mentre in Romania ci sono pochissime organizzazioni che si occupano della protezione dei giornalisti. Ce ne sono un paio: Active Watch e il Center for Independent Journalism. Così, com’era prevedibile, ho ricevuto dall’estero un sostegno fondamentale dalle istituzioni dei media, ma anche da organismi internazionali come la Commissione europea. Un numero significativo di eurodeputati si è rivolto alle autorità romene in una lettera in cui esponeva il mio caso. Anche i rappresentanti dell’OSCE mi hanno contattata e hanno avuto incontri con me. So che il mio caso è monitorato, è sotto l’attenzione di organismi internazionali. Quindi ho sentito che c’era una preoccupazione e probabilmente le persone hanno capito che la natura degli argomenti che tratto è delicata.
Che tipo di sostegno ha ricevuto dalla comunità giornalistica romena?
A luglio, nel momento in cui è stata emessa la sentenza [del caso dell’Accademia di polizia di Alexandru Ioan Cuza], ci sono state stazioni televisive che si sono completamente astenute dal darne notizia. Voglio dire… se non fa notizia per un’emittente televisiva che un tribunale abbia condannato due funzionari statali che avevano minacciato una collega… Nello stesso giorno delle emittenti televisive in Romania non hanno nemmeno citato la notizia sul loro sito web. Le persone che lavorano per quei media non hanno problemi con me personalmente, non è di questo che si tratta. Si tratta di controllo politico. Probabilmente hanno paura, è meglio tacere piuttosto che parlare delle mie indagini. Ad esempio, l’editore di uno dei principali canali televisivi in Romania aveva ordinato alla redazione di non riferire della mia indagine sull’ex ministro dell’Istruzione, Sorin Cîmpeanu, fino a quando il ministro stesso non avesse commentato il mio articolo.
In un contesto in cui è stata oggetto di plurime vessazioni e minacce, accompagnate da mancanza di collaborazione da parte delle autorità, cosa l’ha aiutata a tenere duro?
Finché so di svolgere il mio lavoro in buona fede, nel rispetto della verità e al servizio dell’interesse pubblico, non ho mai pensato di rinunciare. E finché so che il mio lavoro è importante per il grande pubblico, non ho mai pensato di arrendermi. Sicuramente a volte non è stato facile e non lo è adesso, visto che il mio tempo è limitato. Come ho già accennato, divido il mio tempo tra cinque diverse procure, seguendo diverse procedure che mi portano via la maggior parte del tempo. Non scrivo più tanto come prima. Prima scrivevo uno, due grossi pezzi al mese, e ora riesco a malapena a scriverne uno al mese o uno ogni due mesi. Sono sopraffatta e forse per questo hanno suddiviso il mio procedimento giudiziario in tanti fascicoli individuali, così sono talmente impegnata a correre tra procure e tribunali che non trovo più il tempo per scrivere.
La mia ultima domanda riguarda la prossima generazione di giornalisti. Lei è una giornalista investigativa, ma anche docente universitaria all’Università di Bucarest. Che consiglio darebbe ad una giovane studentessa che sta pensando di intraprendere il suo percorso professionale?
Non esiste una ricetta specifica. Credo fermamente che il giornalismo sia una professione di vocazione. Ciò è particolarmente vero per il giornalismo investigativo, che richiede molta dedizione. Richiede molto tempo, molta pazienza, molta testardaggine. Posso solo dire loro che, secondo me, questo è il mestiere più bello. Attraverso gli articoli che pubblichi puoi aiutare la società nel suo insieme. Proprio come un medico si prende cura di un paziente, un architetto assiste una famiglia nella realizzazione di una casa. Ebbene, una giornalista, con i suoi scritti, corregge e previene ingiustizie ed errori. Fondamentalmente offre una mano a tutta la società. È vero che questo processo non avviene immediatamente. Forse ci vuole tempo per correggere le cose, a volte anche anni, ma alla fine penso che il nostro ruolo e la nostra missione di guardiani della democrazia sia cruciale. È essenziale per qualsiasi democrazia.
Emilia Șercan è una giornalista investigativa che scrive per il quotidiano indipendente romeno PressOne ed è docente senior presso l’Università di Bucarest. Dal 2016 indaga sulle frodi accademiche commesse da personaggi pubblici di spicco in Romania. È autrice di due libri che esaminano come il plagio sia diventato un fenomeno pervasivo in Romania. Nel 2019, il suo lavoro è assurto all’attenzione internazionale dopo aver ricevuto una serie di minacce di morte legate alla sua segnalazione di un caso di plagio accademico commesso dal rettore dell’Accademia di polizia Alexandru Ioan Cuza. Lo scorso luglio, i due funzionari che avevano istigato le molestie sono stati condannati dalla Corte Suprema romena. All’inizio del 2022, poco dopo la pubblicazione di un articolo in cui Șercan metteva in dubbio l’integrità accademica della tesi di dottorato dell’attuale primo ministro Nicolae Ciucă, ha ricevuto un messaggio che mostrava sue foto private, scattate due decenni prima, foto successivamente pubblicate su più siti web per adulti. L’iter della sua denuncia alla polizia romena si è rivelato ancora più inquietante. Durante la presentazione della denuncia alla stazione di polizia locale, Emilia Șercan ha condiviso con un funzionario di polizia gli screenshot del messaggio incriminato, che sono diventati prove in un fascicolo penale. Tuttavia, screenshot e foto sono stati diffusi e pubblicati su un sito web nella Repubblica di Moldavia mentre Șercan era ancora alla stazione di polizia. Come parte di MFRR, OBCT si è impegnata nell’accordare il proprio sostegno alla giornalista romena
Kompromat
Kompromat significa "materiale compromettente" in russo. Storicamente, il termine kompromat può essere fatto risalire al vernacolo impiegato dalla polizia segreta sovietica negli anni ’30. Durante tutta la Guerra Fredda, questa pratica di governance informale era impiegata dal KGB per raccogliere materiale compromettente volto a controllare personaggi pubblici e assicurare la lealtà al regime. Dopo il 1989 i servizi segreti statali hanno perso il monopolio sulle pratiche di kompromat. Le società di sicurezza private di nuova costituzione hanno fatto affidamento sui loro legami con funzionari dell’intelligence, offrendo un sistema in cui è possibile acquistare materiale compromettente su uomini d’affari o politici. Uno dei tipi più comuni di kompromat mira a minare la reputazione di un individuo rivelando comportamenti che non sono illegali, ma sono "associati a forti pregiudizi sociali". Dalla fine degli anni ’90, lo sviluppo tecnologico e della comunicazione ha inaugurato l’era del kompromat digitale. Una combinazione di tecnologie a prezzi accessibili e l’uso dei social media ha consentito una facile raccolta e distribuzione di materiale compromettente.