Romania: il paese delle ragazze madri
La Romania è il primo paese dell’UE per il numero di ragazze madri. I deputati di Bucarest hanno votato una controversa legge sull’educazione sessuale nelle scuole
Ci sono realtà difficili in Romania. Spesso riguardano bambini e giovani, sui cui diritti la Romania continua ad occupare il fondo delle classifiche europee ed internazionali.
Uno dei fenomeni di cui si parla negli ultimi anni riguarda le ragazze che diventano madri prima di compiere diciotto anni. In pratica un quarto delle mamme minorenni dell’UE sono in Romania. È un quadro estremamente preoccupante, con l’età media delle mamme minorenni in Romania che non supera i 15 anni e a volte parte anche dai 13.
Nel principale ospedale della contea di Calarasi (nel sud del paese, a soli 130 km dalla capitale Bucarest) in media metà delle donne incinte sono minorenni, e nella stragrande maggioranza dei casi la loro gravidanza non è mai stata seguita da un medico. Il ginecologo Andrei Dumitrescu racconta in un’intervista per News.ro che spesso i medici ricorrono al taglio cesareo a causa dello sviluppo anatomico insufficiente delle ragazze.
“Molte delle minorenni, in età pediatrica – sotto ai 16 anni – hanno rapporti sessuali con partner maggiorenni, spesso adulti e noi come personale medico abbiamo l’obbligo di denunciare, in questo senso si fanno colloqui, inchieste della polizia, ma poi, non so dire con che conseguenze”, spiega il medico.
La maggior parte delle ragazze madri provengono da situazioni di disagio dove oltre all’accesso alla salute non viene garantito neppure l’accesso all’istruzione. Senza politiche destinate a migliorare le condizioni sociali – e l’accesso al sistema educativo è essenziale – quello delle ragazze madri continuerà ad essere un fenomeno abituale in Romania.
Uno studio realizzato da Save the Children Romania conferma quanto sia importante la componente educativa in questo quadro. Infatti l’83% delle ragazze madri non va a scuola, il 64% ha abbandonato gli studi prima di rimanere incinta. Solo il 36% delle ragazze madri ha la scuola media, mentre il 7% ha finito le superiori. La vita delle ragazze madri e dei loro figli è caratterizzata dalla povertà. Per il 59% di loro la principale fonte di sussistenza resta l’aiuto sociale per i figli. La maggior parte delle ragazze madri (68%) vive in abitazioni che hanno massimo 2 stanze dove vivono mediamente 4,5 persone di quali tre sono bambini, si legge nello studio.
I bambini rumeni restano i più esposti alla povertà e all’esclusione sociale dell’intera Unione europea. La Romania è lo stato membro Ue con il più alto livello di rischio di povertà o esclusione sociale tra i bambini: il 41,5% di essi, ovvero 1,5 milioni di bambini, vivono in famiglie il cui reddito è insufficiente per garantire una vita dignitosa, soffrono di isolamento sociale, manca loro un’alimentazione adeguata e servizi socio-educativi e sanitari di qualità.
La Romania resta un paese dalle forti disuguaglianze: il rischio di povertà va dal 19,9% nelle grandi città al 30% nelle piccole città e periferie e raggiunge il drammatico livello del 50,5% nelle zone rurali.
Educazione sessuale? No, sanitaria
La Camera dei Deputati di Bucarest ha votato i giorni scorsi – non senza polemiche – a favore di una legge che introduce l’educazione sessuale nelle scuole. Non dovrà passare in Senato quindi ora verrà promulgata. Sono stati 224 i voti a favore, un voto contrario e 49 le astensioni. L’educazione sessuale sarà però insegnata sotto la denominazione di “educazione sanitaria”. Un emendamento rispetto al progetto di legge iniziale voluto da alcuni partiti. La deputata Simina Tulbure, dell’USR, critica il cambiamento: “Dobbiamo parlare di educazione sessuale, non sanitaria. Dobbiamo parlare di sesso in un paese che è il numero uno per ragazze madri. Siamo messi male nella classifica dell’UE anche per la violenza domestica”. Dall’altra parte, il deputato Alin Coleşa, di AUR, si è opposto all’introduzione dell’educazione sanitaria (sessuale) per le classi frequentate dai più piccoli, dichiarando che piuttosto ragazzi e ragazze “dovrebbero essere incoraggiati a ridurre la necessità di attrazione fisica promuovendo lo sport”. La retorica di alcuni deputati del Parlamento di Bucarest fa spesso pensare ai tempi del regime comunista, quando la parola sesso pubblicamente non si utilizzava. Ora, dopo 30 anni dalla caduta del regime comunista, la legge farà riferimento all’”educazione sanitaria”.
Il presidente della Romania Klaus Iohannis aveva nel giugno del 2020 bloccato la proposta di legge in quanto, a suo avviso, condizionando l’insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole all’accordo dei genitori violava la costituzione. La Corte Costituzionale ha però respinto le obiezioni del capo dello stato e il testo è ripartito con il suo iter parlamentare. Era stato il ministero dell’Educazione a proporre ore obbligatorie di educazione sanitaria ma – per il singolo alunno – solo a seguito del permesso scritto dei genitori. Come avviene in pratica per le ore di religione. Attualmente le ore “per la salute” sono opzionali dalla prima elementare fino alla fine delle superiori e solo circa il 9% degli alunni le frequenta.
Un ruolo importante nel dibattito pubblico sulla nuova legge l’hanno avuto le posizioni prese dalla Chiesa ortodossa e da quella cattolica. La Chiesa ortodossa – l’87% della popolazione della Romania è cristiano-ortodossa – ha insistito per il carattere opzionale, dichiarando che l’obbligo rappresenterebbe “un attentato all’innocenza dei bambini, segnandoli per tutta la vita”. Per la Conferenza Episcopale Romena (CER), invece, le lezioni obbligatorie di educazione sessuale avrebbe rappresentato una violazione dei diritti dei genitori, garantiti dalla Costituzione rumena e quindi i rappresentanti religiosi cattolici hanno insistito sull’accordo per iscritto dei genitori.