La Romania e le carceri ai tempi del covid-19
Sono oltre 21mila i detenuti nelle carceri romene alloggiati in un totale di 45 strutture. Quali sono le condizioni di detenzione? E quanto ha influito la pandemia sulla situazione carceraria in Romania? Lo abbiamo chiesto a Georgiana Gheorghe, direttrice esecutiva dell’Associazione per la Difesa dei Diritti dell’Uomo in Romania – Comitato Helsinki
All’interno del consorzio Edjnet abbiamo partecipato ad un approfondimento sulle condizioni di vita nelle carceri europee in questi due anni di pandemia. In questo contesto abbiamo intervistato Georgiana Gheorghe, direttrice esecutiva dell’Associazione per la Difesa dei Diritti dell’Uomo in Romania – Comitato Helsinki (APADOR-CH).
Da quando APADOR-CH si occupa dei penitenziari in Romania?
Abbiamo alle spalle 31 anni di attività. Da 26 monitoriamo le condizioni delle carceri in Romania.
Quanti detenuti vi sono in Romania e quanti penitenziari?
Sono 21.459 detenuti e 35 penitenziari. A questi si aggiungono gli ospedali e i centri di detenzione per minorenni di Craiova e Tichilesti. Quindi, alla fine, parliamo di un totale di 45 strutture.
Come effettua APADOR-CH questo monitoraggio delle condizioni di detenzione in Romania e con quali difficoltà?
Di solito andiamo a monitorare con dettaglio e sul campo le condizioni di detenzione in cui vivono i detenuti. Purtroppo l’ultima volta che abbiamo effettuato questo monitoraggio in presenza è stato nel giugno del 2019: dall’inizio della pandemia gli incontri si sono infatti svolti solo online. Vorremmo poter tornare agli incontri in presenza anche tenendo conto che molti detenuti sono vaccinati (circa il 70% secondo i dati dell’Autorità Nazionale dei Penitenziari).
Sino ad ora nella nostra attività non abbiamo incontrato mai difficoltà. L’Autorità Nazionale dei Penitenziari (ANP) è sempre stata aperta alle nostre visite sia prima che durante la pandemia. Prima della pandemia potevamo andare in qualsiasi momento, le nostre visite venivano effettuate senza preavviso. Ora, quando monitoriamo online, dobbiamo prima notificare, per ragioni tecniche: le connessioni video dei penitenziari sono utilizzate anche ad altri scopi oltre che alle conversazioni con APADOR-CH.
Quanti incontri online avete avuto con i detenuti?
In questo momento stiamo lavorando ad un ampio progetto, finanziato dalla Commissione europea, tramite il quale ci siamo proposti di intervistare 1000 detenuti in tutto il paese, da 25 penitenziari differenti. Abbiamo già fatto quasi metà di queste interviste. È un progetto in collaborazione anche con altre organizzazioni europee da Bulgaria, Grecia e Belgio.
Questo progetto non è solo collegato alle condizioni di detenzione, ma riguarda anche i diritti processuali e il modo in cui sono stati rispettati i diritti dei detenuti prima di essere condannati.
Come è stata gestita la pandemia nei penitenziari della Romania?
I primi casi di Covid 19 sono stati individuati a settembre dello scorso anno, cioè dopo qualche mese dalla comparsa della pandemia in Romania. Appena sono state allentate le restrizioni e le misure contenitive, dal maggio 2020, i detenuti in regime aperto e semiaperto sono potuti tornare al lavoro e in seguito al contatto con l’esterno sono aumentati anche i casi di infezioni di Sars-Cov 2. Sono 5 ad oggi i detenuti deceduti a causa del virus.
Come ha inciso la pandemia sul diritto del lavoro dei detenuti?
Durante le restrizioni causate dalla pandemia, i detenuti non hanno più potuto esercitare il diritto al lavoro. Questa situazione ha limitato di conseguenza la possibilità di libertà condizionata dato che i detenuti ottengono crediti per il fatto di lavorare e hanno la possibilità di presentarsi prima davanti alla Commissione per la libertà condizionata. In questo periodo infatti nessuno offriva più posti di lavoro e la situazione si protrae tutt’ora. La mancanza di posti di lavoro ha avuto un impatto negativo anche per la salute mentale dei detenuti.
Quali sono i principali problemi con i quali si confrontano i detenuti? La Romania è uno dei paesi con la maggior parte delle condanne della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in merito alle condizioni nelle carceri…
Durante le interviste online i detenuti hanno sollevato spesso il problema della mancanza di posti di lavoro. Generalmente sollevano problematiche che esistevano già anche prima della pandemia, ma ora si sono aggravate. Tra le principali il sovraffollamento delle carceri.
Quanto sono sovraffollate le carceri in Romania? Ci sono ancora situazioni di detenuti che dormono nello stesso letto?
Non ci sono più queste situazioni. Ci sono però ancora letti a castello su tre livelli. Il grado di sovraffollamento è del 124,38% per uno standard di 4 mq a testa, richiesto dal Comitato per la prevenzione della tortura. La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha invece stabilito un minimo più basso, di 3 mq.
Alcuni penitenziari sono più affollati di altri. Ad esempio, a Iasi, l’indice di occupazione è del 184%, a Deva del 60%. Anche all’interno di uno stesso penitenziario non vi è spesso omogeneità.
Avete notato progressi per quanto riguarda il sovraffollamento nei penitenziari romeni?
Rispetto a 2017 e anche prima, si sono fatti progressi. Tuttavia non posso non sottolineare che da quando è iniziata la pandemia si nota una lieve ma costante controtendenza per quanto riguarda l’indice di sovraffollamento. Ad esempio, se nel 2019 vi era un indice di sovraffollamento del 111%, ora parliamo del 124%.
Ci sono penitenziari dove ho notato miglioramenti visibili, alcuni sono stati interamente ricostruiti, ma ci sono anche penitenziari dove il problema del sovraffollamento non è stato risolto. Ci sono tanti detenuti che si trovano costretti in venti in una stanza e dove non viene rispettato il minimo dei 3 mq. Anche i cortili per le passeggiate sono spesso piccoli. Alcuni detenuti si lamentano di non avere accesso a programmi di formazione.
I detenuti denunciano spesso cimici in camera e che l’acqua calda non è sufficiente. Generalmente vengono concesse due ore al giorno di acqua calda che non sono sufficienti per una stanza di venti detenuti.
Vi sono poi penitenziari dove mancano i medici. Oltre il 50% dei posti per i medici disponibili sono effettivamente occupati nelle carceri. Per tutti i penitenziari romeni vi sono solo 11 psichiatri.
Possiamo affermare che la Romania ha le peggiori condizioni carcerarie tra tutti i paesi dell’UE?
Non potrei fare questa affermazione perché non conoscono i dettagli che riguardano gli altri penitenziari dell’UE. Posso però dire che in Romania si sono fatti progressi significativi ma allo stesso tempo c’è ancora molto lavoro da fare. In termini generali l’Autorità Nazionale mostra interesse in questo senso. Questa cosa la dicono anche i detenuti con cui ho parlato in questo periodo.
Quali fondi sono destinati ai detenuti in Romania?
È un calcolo complicato ed è una cifra che ha più componenti. Posso però dire che queste considerazioni economiche spesso non vengono utilizzate correttamente nel dibattito pubblico. Occorre considerare che le risorse allocate sono in fin dei conti destinate alla riabilitazione dei detenuti ed è interesse di tutti investire su come il detenuto sarà in grado di reintegrarsi quando tornerà in società.
Ci sono state polemiche nello spazio pubblico su questo tema?
Il discorso legato alle condizioni di detenzione non è molto popolare in Romania. Ma va sottolineato che i detenuti scontano la loro pena con la reclusione nei penitenziari – questo lo sancisce anche la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo – e non dobbiamo punirli ulteriormente, sottoponendoli a condizioni umilianti e degradanti.
In quale misura possiamo parlare di riabilitazione dei detenuti?
Difficile misurare… Riabilitazione significa avere accesso alla formazione ecc. Di recente ho parlato con detenuti che dicevano di essere felici di avere l’opportunità di continuare i loro studi.
La Romania è stata condannata dalla CEDU nel caso Flaminzeanu per aver violato il diritto all’istruzione. Lo stato romeno è stato obbligato a pagare danni morali un valore di 2000 euro…
Sì, al signor Flamanzeanu è stato violato il diritto all’istruzione. Abbiamo ancora molto lavoro per quanto riguarda il sistema di riabilitazione, sono molte le cose da migliorare per quanto riguarda l’istruzione, per quanto riguarda le attività socio-educative, l’accesso al lavoro… Ci sono paesi, come la Norvegia, che puntano molto sulla riabilitazione. Ma parliamo di una società con molte risorse che si permette di avere condizioni di detenzione che forse noi, spesso, non abbiamo neanche nelle case private.
Vi è una riforma in corso del settore?
I primi segnali di riforma si sono avuti nel 2012 ma soprattutto dal 2017, da quando si è avuta la sentenza pilota della CEDU “Rezmives e c.”: lo stato romeno ha posto più attenzione per risolvere i problemi nei penitenziari. Esiste un piano di azione per il periodo 2021-2025. È articolato e ben fatto. Se riuscissimo a fare le cose che vi sono previste sarebbe ottimo. Sembra che ci sia la volontà da parte dell’Autorità Nazionale per i Penitenziari di migliorare la situazione.
Si verificano frequentemente abusi nelle prigioni della Romania?
In genere no. Vi sono eccezioni, ma generalmente questo tipo di problemi sono stati risolti. E il ruolo di alcune istituzioni, come l’Avvocato del Popolo – sotto il quale funziona il Meccanismo Nazionale per la prevenzione della tortura – sono serviti in tal senso. Riceviamo anche delle visite del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, ma è anche la società civile a monitorare e segnalare questo tipo di abusi.
I detenuti inoltre possono fare segnalazioni, possono scrivere e rivolgersi alle istituzioni e alle associazioni. Ci sono quindi meccanismi tramite i quali questi abusi possono essere evitati. Non siamo più nel periodo comunista quando i detenuti erano torturati e l’ambiente penitenziario era un ambiente sigillato verso l’esterno. Ci sono ancora però casi in cui la polizia penitenziaria utilizza una forza eccessiva e altri in cui i detenuti si aggrediscono tra di loro. La mia impressione è che se questi fatti esistono, ma sono eccezioni non la regola.