Una pace precaria per il Karabakh

L’accordo sottoscritto da Armenia e Azerbaijan lo scorso 10 novembre sul Karabakh potrebbe rivelarsi fragile e insostenibile. Mosca potrebbe aver bisogno del sostegno internazionale per farlo funzionare

13/11/2020, Thomas De Waal -

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Danni dei bombardamenti del conflitto Armenia-Azerbaijan (Aziz Karimov/Chai Khana)

(Pubblicato originariamente dal Canergie Moscow Center l’11 novembre 2020)

Dopo settimane di sanguinosi combattimenti nel nuovo conflitto del Karabakh, tutto è avvenuto all’improvviso, nel giro di poche ore. Il conflitto tra Armenia e Azerbaijan è stato dichiarato concluso e nel mezzo della notte tra il 9 e il 10 novembre le forze di pace russe hanno iniziato ad arrivare in Karabakh attraverso il corridoio di Lachin.

Solo poco tempo prima, i leader armeni avevano fatto trasmettere il messaggio che si stava ancora combattendo per Shusha, la città in cima ad una collina, nel cuore del Karabakh, che loro chiamano Shushi.

Poi il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha annunciato quella che è stata effettivamente una vera e propria capitolazione alle richieste dell’Azerbaijan.

Pashinyan è stato ferocemente criticato a Yerevan e potrebbe non sopravvivere a questa crisi. Ma vale la pena notare che questa è stata una decisione congiunta presa assieme al leader armeno del Karabakh, Haraik Harutyunan. Harutyunan ha giustificato la decisione dicendo che l’esercito armeno era indebolito dalle malattie e nel morale e l’alternativa alla firma era anche peggiore.

"Battaglie erano già in corso nei pressi di Stepanakert [la capitale della regione] e se l’azione militare fosse continuata allo stesso ritmo, avremmo perso l’intero Artsakh [Repubblica del Nagorno Karabakh, non riconosciuta a livello internazionale] in pochi giorni, con pesanti perdite", ha dichiarato.

La parte armena è la grande perdente rispetto a quanto è accaduto e le ripercussioni si faranno sentire negli anni a venire. L’opinione pubblica armena era completamente impreparata a questo rapido collasso e vi è una forte contrarietà all’accordo da parte dei politici dell’opposizione. Ma è difficile credere che, anche se Pashinyan perdesse il suo posto, il prossimo leader armeno possa prendere una decisione diversa. È accaduto tutto molto in fretta, ma ora è ovvio che questo scenario era stato ben pianificato in anticipo.

È ormai da tre anni che la Russia propone alle parti in conflitto quello che è conosciuto come il "Piano Lavrov", anche se si è sempre pubblicamente negato esistesse. L’essenza del piano era che ci sarebbe stato un ritiro graduale dell’Armenia dai territori occupati intorno al Nagorno Karabakh e che una forza russa di mantenimento della pace sarebbe entrata nella regione per garantire la sicurezza degli armeni del Karabakh. Ma questo andava contro i desideri di Francia, Stati Uniti e altri paesi europei che propendevano per una soluzione multilaterale al conflitto e per un accordo di pace internazionale.

Sembra che Parigi e Washington siano state colte di sorpresa dall’annuncio del piano russo.

Di fatto ora il cuore del Piano Lavrov è in fase di attuazione, ma a condizioni molto più favorevoli per Baku rispetto a prima. Si sta stabilendo una nuova linea di contatto che attraversa lo stesso Karabakh. Gli armeni sono destinati a perdere il territorio che comprende gran parte della regione meridionale di Hadrut. Inoltre, lo stesso status del Nagorno Karabakh non è menzionato nell’accordo. L’Azerbaijan è l’evidente vincitore. Se domani il presidente Ilham Aliyev si candidasse alle elezioni con elezioni libere, quasi sicuramente otterrebbe una schiacciante vittoria.

In poco tempo ha ottenuto molto più di quanto avrebbe potuto immaginare possibile solo poche settimane fa: il controllo di tutti i sette territori intorno al Nagorno Karabakh ed in più la città di Shusha.

Dobbiamo ora aspettarci di vedere Aliyev passare dall’essere una voce pubblica di aggressione all’essere espressione di moderazione, parlando un linguaggio di pace al mondo. Alcuni esponenti dell’opposizione in Azerbaijan chiederanno perché non ha cercato di riconquistare tutto il Karabakh e perché ha permesso alle truppe russe di entrare nella regione: alla qual cosa risulta che si sia opposto in una riunione a Mosca lo scorso 9 e 10 ottobre. 

Le ragioni alla base di queste scelte sono molteplici. Attaccare Stepanakert sarebbe stato sanguinoso e difficile e avrebbe danneggiato la reputazione internazionale dell’Azerbaijan. Inoltre è molto probabile che Aliyev non abbia nemmeno voluto prendere in considerazione la conquista di Stepanakert.

Nel caso fosse avvenuto infatti gli armeni del Karabakh sarebbero stati costretti o ad andarsene oppure, se avessero optato per rimanere, Aliyev avrebbe dovuto offrire loro un alto grado di autonomia e modificare la stessa costituzione dell’Azerbaijan per accogliere in seno un gruppo di armeni ribelli… Molto meglio affidare a Mosca la responsabilità degli armeni del Karabakh, rinchiusi in un territorio limitato e recintato.

Anche la Turchia ottiene molto. Il premio principale per Ankara nell’accordo in nove punti è la promessa dell’apertura di un corridoio attraverso la regione di Meghri, in Armenia, che teoricamente collegherebbe la Turchia all’Asia centrale attraverso il Nakhichevan, il resto dell’Azerbaijan e il Mar Caspio. Questo punto dell’accordo ha fatto resuscitare ambizioni mai sopite sia dell’Azerbaijan che della Turchia, tant’è che la questione era una parte centrale di un accordo per il Karabakh – poi mancato – negoziato nel 1999-2000. Sarà estremamente difficile per l’Armenia rendere possibile la costruzione di questo corridoio turco attraverso il proprio territorio.

A prima vista la Russia sembra essersi aggiudicata uno straordinario successo diplomatico, dopo che in precedenza sembrava essere stata sconfitta da Azerbaijan e Turchia. Tuttavia, quello che vediamo finora è un piano di pace di una pagina in nove punti, che non è chiaro su molti aspetti e che sarà molto difficile da attuare.

Nelle prossime settimane la Russia dovrà facilitare un ritiro estremamente rapido dell’Armenia dalle regioni azere di Aghdam, Kelbajar e Lachin (ad eccezione di un "corridoio Lachin" di cinque chilometri che collega l’Armenia e il Karabakh), regioni che l’Armenia ha tenuto sotto il proprio controllo per un quarto di secolo. Vi sono centinaia di coloni armeni in questi luoghi e probabilmente opporranno resistenza.

Inoltre, il numero di forze di pace russe all’interno dello stesso Karabakh – meno di 2.000 – è limitato per offrire effettiva protezione ai suoi residenti. Il loro mandato è soggetto a revisione in meno di cinque anni, il che significa che molto presto sorgeranno nuovamente interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine del processo.

L’entità modesta della forza di pace sembra essere stata conseguenza di una richiesta dell’Azerbaijan. La limitata geografia della regione significa che i due principali centri abitati – Stepanakert, la principale città armena, e Shusha, in cui gli azeri dovrebbero tornare – sono l’uno accanto all’altro. Una sorta di contatto tra le due comunità, per la prima volta dal 1991, è inevitabile e le persone dovranno condividere la stessa strada.

Il piano in nove punti prevede la costruzione di una nuova strada che colleghi Stepanakert a Lachin, ma la topografia del paesaggio la rende una grande sfida. Non è nemmeno chiaro a breve termine quale sarà il ruolo del personale militare turco nella regione e, a lungo termine, come si possa costruire un nuovo corridoio attraverso il territorio armeno che collega il Nakhichevan e il resto dell’Azerbaijan. Infine, in questo accordo non vi è scritto nulla sullo status del Nagorno Karabakh.

E questo è stato il problema al centro della controversia per più di un secolo. Tralasciarlo è deliberato, ma significa che una questione politica altamente delicata rimarrà irrisolta.

Insomma, la Russia ha condotto una spettacolare mossa diplomatica, ma si è anche assunta grandi responsabilità e sarà incolpata da entrambe le parti se le cose inizieranno ad andare male.

C’è la possibilità che l’accordo del 10 novembre si riveli troppo rapidamente assemblato e non sostenibile. In particolare, vi sono dubbi sul fatto che il dispiegamento di sicurezza russo sia abbastanza solido da garantire che gli armeni del Karabakh possano continuare a vivere senza paura nella loro patria. Se molti armeni del Karabakh, sfollati durante il recente nuovo conflitto, scegliessero di non tornare, ciò sarebbe inquietante e potrebbe presagire alla continuazione del conflitto in una nuova forma.

Per questo motivo, Mosca potrebbe presto decidere di non attuare questo piano da sola. In tal caso è probabile che ricorderà il suo dovere multilaterale e chiederà il sostegno degli altri co-presidenti del Gruppo di Minsk e dell’OSCE nel suo insieme. Può anche richiedere aiuto alle agenzie delle Nazioni Unite, alle organizzazioni internazionali e, molto probabilmente (e nonostante le divergenze su Georgia e Ucraina), anche assistenza pratica dai paesi occidentali.

Si potrebbe arrivare ad adottare – per affermare i principi di una risoluzione a lungo termine del conflitto – un più ampio accordo di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite. Una sorta di pace finalmente sta arrivando in Karabakh, ma è molto precaria.

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