Bitola, la čaršija cosmopolita
Un esempio perfetto di come conciliare il passato e il presente. La čaršija di Bitola, Macedonia, non è stata abbandonata, non è stata vittima di abusi edilizi, né è stata trasformata in una vetrina per turisti. Nonostante tutto, rischia di trasformarsi in un normale mercato contemporaneo. Un contributo del nostro dossier dedicato ai bazar ottomani nei Balcani
La Stara Čaršija di Bitola rappresenta l’ultima fase dell’evoluzione contemporanea delle čaršije *. Probabilmente molte di esse in futuro, come Bitola, diventeranno un mercato vero e proprio, ben conservato, ma più radicato nel presente che nel passato ottomano. La çarshija di Bitola infatti non è solo ottomana. La città, situata in territorio macedone vicino al confine tra Macedonia, Grecia e Albania, è conosciuta come la città dei consoli, poiché durante l’Impero ottomano ospitava sul suo territorio ben 20 consolati.
Nodo cruciale degli scambi economici tra Adriatico ed Egeo, tra Europa centrale e Impero ottomano, la città dell’entroterra macedone era capoluogo dell’Elayet di Rumeli, una delle regioni ottomane racchiudenti territori che oggi appartengono non solo alla Macedonia ma anche alla Grecia e all’Albania. La città era così diventata un centro multiculturale, seppur elitario. Un cosmopolitismo tuttora presente nelle splendide chiese e moschee, negli edifici neoclassici che non ci si aspetta di trovare in questa parte del mondo e anche nella sua Stara Čaršija, il mercato ottomano reinterpretato con tendenze architettoniche occidentali di fine ‘800 e inizi ‘900.
Sono centinaia i negozi che riempiono i lati delle strade. Si vende di tutto: dai vestiti delle migliori case di moda del mercato internazionale ai contenitori di plastica per utilizzo agricolo, dai souvenir agli utensili di metallo prodotti dai fabbri. La čaršija è molto frequentata, le sue viuzze vengono attraversate per acquistarne i prodotti, ma anche per fermarsi in qualche caffè o in qualche ristorante che offre tra l’altro anche cucina tipica della zona. Nelle facciate e nelle viuzze si notano le tracce di recenti interventi di ristrutturazione, che, rimanendo fedeli al carattere cosmopolita della Stara Čaršija, sintetizzano armoniosamente elementi ottomani e occidentali, senza trascurare i curiosi battenti di ferro che stupirono non poco i viaggiatori sin dai tempi dell’Impero ottomano.
Ma la Stara Čaršija di Bitola non è turistica e nemmeno tradizionale. Le autorità locali investono nella sua manutenzione e si pensa anche di renderla area pedonale, senza però pretendere di trasformarla esclusivamente in un’attrazione turistica. Ai turisti di fatto viene consigliato di recarvisi per acquistare e per dare un’occhiata alla struttura che porta un nome ottomano. Persino il bezisten, l’area coperta dove venivano venduti e custoditi i prodotti più preziosi delle çarshije, oggi si è trasformato in un mercato alimentare che, se non fosse per la struttura, non farebbe pensare al luogo che riuniva i mercanti più benestanti della città e che dava tanto prestigio alle čaršije di appena un secolo fa.
Gli abitanti la vivono per come è. Nessun progetto culturale, nessuna nostalgia di tempi migliori. La çarshija di Bitola non sembra essere in conflitto con la parte moderna della città come spesso accade nei Balcani. Il passaggio dalla čaršija alla parte moderna, costituita da un lungo corso che poi si immerge in un bellissimo parco, avviene in maniera naturale e organica, attraversando il fiume Dragor, mentre la çarshija si trasforma gradualmente in un centro città di tipo mitteleuropeo. Sembra un luogo che vive in pace con il passato e il suo presente.
Il cosmopolitismo di Bitola non l’ha però risparmiata dalle solite dispute balcaniche, scaturite dalla rigida applicazione del concetto di stato-nazione. Dato che la città si trova nella valle della Pelagonia, ed ha sempre conservato stretti rapporti con la Grecia, i nazionalisti ellenici considerano la città un proprio territorio, di cui si sarebbero ingiustamente appropriati i macedoni.
Altrettanto importante è per gli albanesi che la considerano parte integrante dell’Albania etnica. Per questi ultimi Bitola assume un particolare significato storico poiché l’élite albanese, nell’800, svolse la sua attività patriottica proprio in questa città. Inoltre, nel 1908, a Bitola si tenne un congresso in cui si decise di applicare l’alfabeto moderno a caratteri latini che è ancora in uso in Albania. Oggi gli albanesi in città costituiscono meno del 5% degli abitanti.
Coinvolti nella contesa anche i valacchi, che hanno dato alla città grandi nomi come i fratelli Manaki, i primi cineasti dei Balcani. Ma i valacchi, qui come altrove nei Balcani, sono un gruppo etnico soggetto a un processo di forte assimilazione: si sono infatti sempre trovati a far parte delle élite economiche dei Balcani, preferendo il ruolo guida di una maggioranza etnica, piuttosto che l’autoconservazione all’interno della propria comunità.
Le fonti storiche riportano dati contrastanti in merito alla composizione etnica del passato della città, anche perché durante l’Impero ottomano la popolazione veniva suddivisa in base alla religione in turchi, greci e latini. E i vari nazionalismi li interpretano a proprio favore.
Ora di tale multietnicità nella čaršija di Bitola rimane poca traccia, se non fosse per qualche rom, la cui carnagione più scura fa pensare all’esistenza di una qualche diversità. Per il resto la çarshija è un mercato in cui commercianti e clienti si relazionano ai ritmi della contemporaneità.
Il destino delle čaršije, i bazar di stampo ottomano, sembra davanti ad un bivio: diventare un centro storico dal fascino turistico o trasformarsi in un’area a densa concentrazione commerciale. Quest’ultimo è un processo naturale, più probabile in particolar modo là dove mancano delle strategie turistiche da parte delle istituzioni. Facilitata anche dalla sua modernità, Bitola è forse il miglior esempio di una çarshija mercato-contemporaneo.
* Per facilitare la lettura si è scelto di usare il termine in versione ‘bchs’ (čaršija) nei testi riguardanti la Bosnia Erzegovina e la Serbia; in quelli sull’Albania, l’ortografia albanese (çarshija); invece per i bazar in Kosovo e Macedonia vengono usate indifferentemente entrambe le diciture.