Aria di veto
Per la Commissione europea la Macedonia è pronta ai negoziati di adesione all’UE, ma deve risolvere la disputa sul nome con la Grecia. Tra Skopje e Atene qualche segnale positivo, come l’incontro tra Gruevski e Papandreou, ma al prossimo Consiglio Europeo ci si aspetta una fumata nera
A pochi giorni dalla riunione del Consiglio Europeo, prevista per il 10-11 dicembre, la Macedonia sembra essere ricaduta nella febbre della "sindrome del summit di Bucarest". L’ordine del giorno prevede, infatti, una delibera in merito all’apertura dei negoziati di accesso della Macedonia all’UE: non è difficile immaginare che il clima politico a Skopje e dintorni si stia rapidamente surriscaldando.
L’ultimo rapporto annuale della Commissione Europea afferma che la Macedonia è pronta a dare il via ai negoziati di accesso all’UE: ora la staffetta passa al Consiglio, che dovrà tradurre in decisioni politiche le linee guida della Commissione, fissando una data per l’apertura dei negoziati.
Ma la Macedonia e l’UE dovranno superare un grosso ostacolo: la Grecia è infatti fermamente intenzionata a porre il proprio veto all’ingresso della Macedonia nell’Unione, almeno finché non sarà risolta l’annosa disputa sul nome che si trascina ormai da diciotto anni.
La situazione è simile a quella della primavera dello scorso anno, durante il summit della NATO a Bucarest. La Macedonia fino all’ultimo sperò in un evento (l’appoggio degli alleati o un puro e semplice miracolo) che le aprisse le porte dell’Alleanza Atlantica nonostante l’opposizione dei greci. Il miracolo non avvenne, la Grecia usò il proprio diritto di veto e impedì alla Macedonia di entrare nella NATO, causando ai macedoni una bruciante delusione.
Il paese precipitò in una grave crisi politica, sfociata in elezioni anticipate. Il pessimismo dilagante tra le sfere politiche fece crollare a picco il mercato azionario. Il governo guidato da Nikola Gruevski, leader del partito VMRO-DPMNE e riconfermato premier dopo il voto anticipato, reagì allo schiaffo morale ricevuto dai greci mostrando il suo volto più rozzo e nazionalista.
Sembra che lo stesso scenario si stia per verificare di nuovo. Via via che il 10 dicembre si avvicina, la disputa sul nome monopolizza sempre più il dibattito politico in Macedonia. I giornali, le televisioni, i talk show politici non parlano d’altro. La sinistra sostiene che la Macedonia deve accettare un compromesso, mentre la destra non è disposta a scendere a patti sulla questione dell’identità nazionale.
In seguito alla pubblicazione del rapporto della Commissione Europea, si sono registrati diversi tentativi di chiudere definitivamente la questione. Come è successo ad esempio a metà novembre, quando il mediatore dell’ONU Matthew Nimitz ha cercato di cavalcare l’onda dell’entusiasmo suscitato dal rapporto della Commissione e ha convocato una sessione straordinaria di negoziati separati con il mediatore greco Adamantios Vassilakis e quello macedone, Zoran Jolevski.
Il tentativo di Nimitz si è però concluso con un insuccesso. La posizione di Atene, di cui Vassilakis è portavoce presso le Nazioni Unite, si è rivelata decisamente rigida al riguardo, anzi, a detta dei giornalisti presenti (unica fonte d’informazione, visto che il governo di Skopje non ha fornito ufficialmente dettagli in merito) i greci si sono dimostrati ancora più inflessibili del solito.
A sua volta, il portavoce macedone Jolevski (sempre secondo i giornalisti presenti) è rimasto inflessibile sulle proprie posizioni. La stampa macedone ha definito l’andamento dei negoziati come "nettamente peggiorato" rispetto agli anni passati.
Tuttavia, si è recentemente verificato un evento che rappresenta un passo avanti epocale nella storia delle relazioni tra i due paesi: il primo ministro greco, George Papandreou, e quello macedone, Nikola Gruevski, si sono incontrati per ben due volte nelle ultime settimane. I due ministri si sono infatti incontrati una prima volta a Bruxelles e una seconda in Grecia, alla fine della settimana scorsa.
Entrambi gli incontri sono avvenuti in occasione di altri eventi, ma il fatto stesso che i due primi ministri si siano ritrovati faccia a faccia e abbiano addirittura parlato di persona, può essere considerato un enorme progresso nelle relazioni bilaterali tra greci e macedoni e nella disputa sul nome in particolare. Nonostante ciò, gli incontri non hanno avuto alcun risultato concreto.
La sera prima del secondo incontro, che ha avuto luogo il 27 novembre, il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt (la Svezia è attualmente a capo della Presidenza UE) si è recato in via informale a Skopje per una breve visita. Secondo quanto riportato dai media, Bildt ha avuto una riunione di un paio d’ore con Gruevski e il ministro degli Esteri Antonio Milososki.
Alla fine dell’incontro, è stato diramato un comunicato stampa generico, che non riportava ulteriori dettagli. Tuttavia, l’iniziativa di Bildt è stata interpretata come un chiaro segnale del crescente coinvolgimento di Bruxelles nella disputa, che sino a oggi è stata gestita prevalentemente in sede ONU.
Allo stesso tempo, diverse voci hanno iniziato a ventilare l’ipotesi dell’apertura di negoziati diretti tra la Macedonia e la Grecia, negoziati che fino ad ora si sono svolti esclusivamente con la mediazione delle Nazioni Unite.
Il portavoce del Parlamento Europeo Zoran Taler si è espresso in tal senso alla fine di ottobre, mentre Davor Božinović, Segretario di Stato croato per l’Integrazione nell’UE, ha accennato all’ipotesi solo qualche giorno fa. Sempre più spesso infatti viene fatto riferimento al successo riportato dai negoziati diretti tra Slovenia e Croazia. L’ipotesi dei negoziati diretti ha inoltre l’appoggio di alti rappresentanti della Commissione e del Consiglio Europeo.
Lo stesso giorno dell’incontro tra Gruevski e Papandreou in Grecia, il Commissario Europeo per l’Allargamento Olli Rehn e il Responsabile della Politica Estera e di Sicurezza dell’UE Javier Solana hanno rivolto un appello congiunto ai cittadini macedoni attraverso uno dei maggiori quotidiani del paese, il "Dnevnik".
"I mediatori mediano, i negoziatori negoziano, ma solo e soltanto i leader politici possono prendere decisioni", hanno scritto i due.
"Nella storia delle relazioni internazionali, vi sono momenti in cui azioni decise, basate su una chiara visione del futuro, possono cambiare il corso della storia", hanno argomentato Solana e Rehn: un’affermazione che rappresenta una plateale dichiarazione di adesione all’ipotesi dei negoziati diretti, ma anche un segnale di incoraggiamento rivolto a Gruevski.
La pressione esercitata a livello politico per trovare una soluzione alla disputa è, di fatto, interamente sulle spalle del solo Gruevski. Persino l’alleato di coalizione di Gruevski, il partito albanese DUI (Unione Democratica per l’Integrazione), capeggiato da Ali Ahmeti, ha esortato il governo a risolvere in tempi brevi la disputa. Il messaggio implicito, quando non apertamente dichiarato, è che gli albanesi di Macedonia non possono restare per sempre ostaggio di problemi identitari irrisolti dei macedoni.
Il principale partito di opposizione macedone, la SDSM (Unione Social-Democratica Macedone) guidata da Branko Crvenkovski, ha comunicato a Gruevski che avrebbe accettato qualsiasi soluzione ritenuta consona dal premier; il che, in definitiva, significa che la SDSM ha deciso di lavarsi le mani della disputa sul nome. La posizione di Crvenkovski è molto semplice da interpretare: giacché Gruevski detiene tutto il potere, deve anche assumersi l’intera responsabilità al riguardo.
Oltre all’enorme pressione interna, Gruevski deve affrontare le continue sollecitazioni della comunità internazionale a risolvere l’annosa questione. Ma sembra che sia proprio l’ultimo tratto di strada a essere il più difficile da percorrere. E’ infatti ormai palese che si giungerà a un compromesso sul nome del paese: sia Skopje sia Atene sembrano prossime ad accettare una denominazione intermedia come "Repubblica della Macedonia del Nord".
Mentre la disputa sul nome in sé sembra avviata verso una soluzione, permane un altro serio problema d’identità: la denominazione della lingua e degli abitanti del paese. I greci vogliono infatti che la lingua venga denominata "macedone settentrionale" e gli abitanti della Repubblica di Macedonia Settentrionale "macedoni del Nord". Questo sarebbe davvero difficile da accettare non solo per Gruevski, ma anche per la maggioranza dei macedoni, siano essi di destra o di sinistra.
A questo punto, non ha più importanza se alla riunione del Consiglio Europeo sarà la Grecia a mettere in atto il proprio diritto di veto oppure se saranno gli Stati Membri ad "accettare" il fatto che non verrà fissata una data di inizio dei negoziati di accesso della Macedonia all’UE.
Ciò che è sicuro è che la Grecia è fermamente intenzionata ad opporsi, e ha il potere necessario per far seguire alle parole i fatti. Sembra ormai certo che la Macedonia si stia avviando a subire un’altra cocente delusione.