Protagoniste del cinema al femminile: Antoneta Kastrati
"Le donne registe stanno portando storie umane autentiche, sia intime sia universali. I temi possono variare ma toccano la rappresentanza femminile, la lotta per una libertà economica, gli effetti della guerra, la maternità, la sessualità e altri." Intervista con la regista kosovara Antoneta Kastrati
Nei giorni scorsi si è tenuta a Roma la seconda edizione del Balkan Film Festival, organizzato alla Casa del cinema dall’associazione Occhio blu. Al centro della manifestazione il Focus sul Kosovo e l’incontro su “Cinema al femminile nei Balcani”. A entrambi ha partecipato la regista kosovara Antoneta Kastrati, che ha anche presentato il suo film d’esordio “Zana” (2019), uno dei più belli e rappresentativi della nuova onda del cinema del Kosovo.
Antoneta Kastrati, come vede attualmente il cinema nella regione dei Balcani? Sta accadendo qualcosa di nuovo?
È difficile parlare della regione balcanica come un luogo omogeneo, dal momento che ciascun paese sta seguendo il proprio percorso di sviluppo del cinema sulla base del contesto socio-politico. Comunque ci sono tendenze che sono apparse negli ultimi anni, soprattutto nell’ex-Jugoslavia, di nuove voci, soprattutto voci femminili, che stanno sfidando la narrativa maschile tradizionalmente dominante, sia nello stile sia nei contenuti. Si vede l’emergere di storie intime incentrate su percorsi individuali ma che anche riflettono e criticano le realtà sociali e politiche, cercando di cambiare le relazioni tra l’individuo e la società.
Stiamo vedendo sempre più donne registe nella regione. Cosa rappresenta questo per lei?
È sia eccitante sia d’ispirazione. E non sta accadendo solo nella regione, ma globalmente. Quello che posso dire sul mio paese, il Kosovo, è che le donne filmmaker sono il centro della nuova onda. Stiamo dando forma alla conversazione, portando nuove prospettive sul palcoscenico principale, non su uno secondario. Per un periodo i film fatti dalle donne nel mondo sono stati visti, e ancora lo sono, come legati a questioni delle donne, visti come “gli altri”, mentre in Kosovo siamo parte del centro, contribuiamo al processo e alla conversazione sulla nostra condizione umana.
La partecipazione e il punto di vista delle donne possono portare qualcosa di nuovo nel cinema dei Balcani? Che cosa per esempio?
Le donne registe stanno portando storie umane autentiche, sia intime sia universali. I temi possono variare ma toccano la rappresentanza femminile, la lotta per una libertà economica, gli effetti della guerra, la maternità, la sessualità e altri. La cosa comune è che le storie sono ben ricercate venendo da dentro, ribaltando sia lo stereotipo “esotico” che viene dall’esterno sia “l’eroe” narrativo dall’interno. Come abbiamo visto con i recenti film dalla regione, queste storie personali sono profondamente embedded, consapevoli e riflettono il contesto socio-politico da cui provengono. Non raccontiamo storie esotiche. E non modelliamo storie con un’agenda, che sia nazionalista o altro, e le storie non sono indirizzate verso un certo pubblico. Stiamo ponendo questioni oneste. Ma le donne stanno portando nuovi modi di etica del lavoro. Un modo di lavorare sul set più orientato al prendersi cura e distante da un’organizzazione gerarchica e autoritaria.
In Kosovo c’è una maggioranza di donne tra i registi. C’è una particolare ragione secondo lei?
L’industria cinematografica del Kosovo è piuttosto giovane. Si è cominciato a produrre film kosovari e film in albanese solo negli anni ’70, tutti di registi uomini. C’è stata poi una stagnazione negli anni ’90 e poi la guerra. Ma la guerra è servita anche come catalizzatore per la crescita delle donne. Il Kosovo non era più un paese isolato. Dopo il conflitto c’è voluto un po’ di tempo per ristabilire la piccola industria che c’era. Con la nuova dirigenza nel 2008 il Kosova Cinematography Center ha lavorato duramente per favorire l’accesso di nuove voci e introdurre un processo di selezione trasparente.
Ciò a sua volta ha reso possibile la realizzazione di sceneggiature di qualità da parte di giovani registi e registe prevalentemente donne. E sebbene i budget fossero molto ridotti i film hanno iniziato a partecipare a festival prestigiosi e ora c’è un boom di film realizzati da donne che hanno successo internazionale.
Penso sia il risultato di una combinazione di fattori: gli studi all’estero, l’accesso paritario ai concorsi e alle borse, le maggiori opportunità di workshop e, il più importante, la resilienza e il duro lavoro delle registe donne per realizzare i loro sogni a dispetto del contesto patriarcale.
Quanto questo movimento è importante per il cinema e per la società in Kosovo?
In ogni società il cinema è di importanza cruciale. Può aprire delle conversazioni, portare nuove prospettive e fare avanzare la nostra comprensione.
Come donna si sente parte di un movimento?
Come donna regista che viene dal Kosovo mi sento e sono parte di questo movimento. Siamo ben collegate e ci aiutiamo l’una con l’altra in questo processo. Il successo di una apre le porte a tutte noi. La nostra industria è piccola, ma sta crescendo e abbiamo molto da offrire. Mia sorella più giovane Sevdije, con la quale ho sempre collaborato e ha fatto il direttore della fotografia di “Zana”, è stata il primo direttore della fotografia donna in Kosovo e ha girato alcuni dei film di maggior successo realizzati in Kosovo. Siamo state isolate così a lungo che ora è il momento di realizzarci. Le donne kosovare stanno iniziando ad avere successo internazionale non solo nel cinema, ma anche in altri campi come lo sport o la musica. Sono molto contenta di far parte di questa nuova onda di film, che sta rimodellando il paesaggio della cinematografia e mette il Kosovo sulla mappa del cinema. Quest’anno in particolare è stato un momento d’oro per noi. All’inizio dell’anno la mia amica e collega Blerta Basholli ha vinto tre premi al Sundance Festival con il suo film di debutto “Hive”. Poi abbiamo avuto film a Venezia, a Rotterdam, a Cannes e in altri festival e abbiamo vinto premi.
Pensa che esista una differenza tra il cinema e l’arte fatti da una donna e quelli fatti da un uomo?
Il cinema è un’espressione artistica soggettiva, la differenza è fondamentale da un individuo all’altro. La nostra eredità condivisa di venire da un genere e un’etnia oppressi ci rende più sensibili e consapevoli delle strutture del potere e delle condizioni sociali che contribuiscono a molta sofferenza. Siamo così costrette a mettere in discussione le credenze e le gerarchie del potere e questo ci rende critiche. Nel lavoro che facciamo, non solo ci facciamo domande sugli impedimenti alla nostra libertà e al vivere una vita piena, ma anche sui modi e le strutture dell’espressione. Vedo sempre più sfide al genere, alle strutture narrative e agli archetipi da parte di registe donne.
Di cosa ha bisogno il cinema dei Balcani, e del Kosovo in particolare, per crescere ancora di più?
Posso parlare per il Kosovo e sono certa che alcune cose sono valide anche per altri paesi. Il Kosovo ha bisogno di un budget nazionale più alto così non siamo limitati nelle storie che possiamo raccontare. I budget sono eccezionalmente piccoli e noi registi dobbiamo indebitarci per fare i nostri film. Abbiamo bisogno di altri sostegni e di sussidi dalle nostre televisioni, come negli altri paesi in Europa, per avere budget più vicini al necessario. Abbiamo anche bisogno di accedere ai fondi culturali europei a cui ora non abbiamo accesso per lo status politico del Kosovo. È una sfortuna che il Kosovo non sia parte di Eurimages e altri fondi in Europa. Dobbiamo anche creare incentivi, come il Tax rebate, affinché le produzioni straniere vengano in Kosovo. Il Kosovo è un bel paese, con location pazzesche per girare ed è abbastanza economico e conveniente. La comunità fornisce aiuto e sostegno e dobbiamo far crescere una rete di professionisti per lavorare con standard elevati.
In “Zana” racconta la storia della guerra e della situazione del dopoguerra dal punto di vista di una donna. Quanto è stato importante scegliere una storia del genere per il suo film di debutto?
Volevo raccontare questa storia da molto tempo, ma avevo bisogno di tempo e di riflessione. L’essenza di “Zana” è la mia storia personale: mia madre e mia sorella furono uccise durante la guerra in Kosovo quando ero adolescente. Da quel che ho sperimentato come sopravvissuta alla guerra, ciò che mi ha turbato di più è quanto la guerra renda i genitori, soprattutto le madri, impotenti nel proteggere i loro bambini. Quando sono diventata madre, questo è diventato ancora più reale per me, insieme con la paura, e mi interrogo su mia madre e le altre donne che hanno perso figli nelle guerre in Kosovo o in Bosnia o in altre parti del mondo che hanno passato esperienze simili. E non solo riguardo al nostro tempo, ma come le donne hanno portato e affrontato questi traumi attraverso le generazioni. Volevo che “Zana” affrontasse queste questioni esistenziali della maternità durante la guerra e creasse lo spazio per lasciare uscire questo dolore.
E quale ruolo gioca il cinema secondo lei nella trasformazione di una società?
Il cinema è cruciale perché da una parte porta le storie alla luce e possiamo connetterci con esperienze che diversamente non avremmo conosciuto o di cui ci saremmo fermati all’idea. Dall’altra può ridare forma alle storie che raccontiamo. Per secoli ci è stata raccontata una certa storia di com’è la guerra e l’abbiamo normalizzata. È una storia di eroi, di sconfitte, di sacrificio. E le vittime della guerra erano messe in mezzo, in un numero. È la storia che si è trasmessa nelle generazioni ed è ricordata nei memoriali e nei libri di storia. Ma c’è un altro aspetto della storia che è sepolto ed è quello del trauma multistrato e del dolore che in fondo forma chi siamo e per cosa ci battiamo. È molto importante che guardiamo il passato e il trauma e ci chiediamo cosa sia successo e che effetto ha avuto su di noi, come ci ha cambiato e di che cosa siamo il risultato.
Anche nel suo prossimo film ci sarà una donna come protagonista?
Il mio prossimo film, che sto scrivendo e che sarà ambientato nei dintorni di Los Angeles, è una meditazione sull’amore e la natura delle relazioni. È su una coppia e sì, il personaggio principale è una donna. Ma non mi limito alle donne come protagoniste. Non scelgo le storie basandomi su quello, sono le storie a venire a me e mi piace partire da qualcosa di cui ho un’infarinatura e mi incuriosisce. Ho un’altra idea di film ambientato in Kosovo con un uomo protagonista. Per me è questione di personaggi e di storia, indipendentemente dal genere.