Prima infanzia in Kosovo: imparare dal cibo
Il cibo è cultura, memoria ma anche chimica, antropologia, matematica. E le cucine possono – e dovrebbero – essere fulcro del progetto educativo delle scuole per l’infanzia. Abbiamo intervistato Paola Cavazzoni, amministratrice delegata di Pause Atelier dei Sapori, dopo una sua esperienza in Kosovo
Dal 2013 a Reggio Emilia è attiva l’iniziativa PAUSE Atelier dei Sapori , volta a diffondere consapevolezza sui principi e i valori dell’approccio al cibo, al gusto e all’alimentazione nell’educazione dell’infanzia. A fine novembre, grazie al progetto Pedakos, i protagonisti di quest’esperienza hanno promosso in Kosovo diversi atelier su questi temi, esplorando le molteplici opportunità che frutta e verdura offrono in termini educativi. Era presente anche Paola Cavazzoni, pedagogista e amministratrice delegata di Pause: un’intervista.
Uno dei ricordi più forti che ho dei miei anni di scuola per l’infanzia è quando ad alcuni di noi era permesso, per qualche ora, aiutare le cuoche in cucina… eppure spesso la “pausa pranzo” è concepita come una “pausa” anche dal punto di vista educativo….
È in effetti una bella citazione e un bel ricordo. Se non riusciamo a riconoscere il valore del cibo e dei suoi saperi, le storie e il sentimento che il cibo sa narrare e di cui è fatto, se non riusciamo a testimoniare e dare voce all’idea che il cibo è linguaggio, un linguaggio tra i più potenti a livello interculturale, se non riusciamo a capire che cibo è chimica, matematica, storia, geografia, è memoria, scienza che è vita; se non riusciamo a guardare alle cucine – proprio come quelle delle scuole da lei citate – come naturali laboratori di partecipazione e di cura e veri e propri atelier del gusto che definiscono l’identità stessa di scuola come comunità educante e in qualche modo definiscono il gusto buono di una comunità, se non riconosciamo gli apprendimenti così come le piccole e grandi conquiste che accadono a tavola, se si smarrisce la valenza simbolica di tutto questo il cibo diventa una cosa, diventa una merce e può essere buttato via e può essere poco considerato.
Per evitare questo la scuola e l’educazione possono fare molto perché la pausa pranzo o la "ricreazione" a scuola vengano considerati tempi di relazione, di conoscenza dell’altro e del mondo per il bambino, l’uomo, la donna.
Pause Atelier dei Sapori deve appunto il suo nome "Pause", ed anche il suo logo, ad un interesse chiaro e preciso che è quello di valorizzare il tempo del cibo, la cura del tempo e del sostare su ciò che mangiamo e apprendiamo. Un nome come una sorta di invito a non consumare ma vivere una esperienza positiva, polisensoriale e amorevole con il cibo. Nuovi gesti ed anche una nuova grammatica che accompagna il cibo possono rappresentare passi importanti per riportarlo al centro dei sistemi scolastici, familiari e della società.
Lei è pedagogista e amministratrice delegata di PAUSE-Atelier dei Sapori. Come si conciliano queste due sue anime nel progetto che gestisce?
Sono pedagogista e lavoro da tanti anni con Reggio Children e con Fondazione Reggio Children sui temi della consulenza e formazione in campo educativo. Dal 2013 ho partecipato alla nascita di Pause e dal 2017 in qualità di amministratore delegato seguo e coordino Pause srl. Una srl di proprietà di Fondazione Reggio Children con una vocazione educativa, che nasce presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia per qualificare l’ospitalità di tanti visitatori che da tutto il mondo vengono a Reggio per conoscere e studiare l’approccio educativo di questa città e proporsi – attraverso i suoi spazi e servizi e la sua cucina interna – come laboratorio permanente di ricerca attorno al cibo e attorno al gusto.
Nell’esperienza educativa della città di Reggio Emilia abbiamo appreso, a partire dalla prima infanzia, che il cibo è relazione, comunità, conoscenza, creatività.
Le cucine, il cibo, l’educazione al gusto del cibo sono tra gli ingredienti principali della pedagogia reggiana e di quello che è il know how educativo di questa città e di conseguenza anche parte del bagaglio culturale di una pedagogista.
Svolgere poi il ruolo di pedagogista ed amministratrice delegata di una impresa dedicata al cibo ha significato per me alimentare ogni giorno un valore antico per proiettarlo in avanti, per contribuire a creare un’esperienza di riferimento per tanti quindi pubblica e diffusa anche oltre la scuola stessa.
Come amministratrice è stato importante indicare strategie formative a breve e a lungo termine, creare un team di lavoro interdisciplinare (cuochi, pedagogisti, dietisti, medici, atelieristi…), studiare percorsi formativi da proporre attorno al gusto capaci di generare nuove domande e sensibilità sul valore culturale e simbolico del cibo, progettare indicatori di una nuova ristorazione buona e sostenibile, avviare percorsi nuovi di consulenza a mercato sul cibo ed i suoi saperi.
Tutto questo per me è stato ed è tutt’oggi un’opportunità faticosa, complessa ma preziosa per rigenerare il senso di un’esperienza educativa cittadina che vivo da circa 40 anni e che ha il suo dna nella scuola, per portarla oltre e contribuire a una sua diffusione sociale culturale e scientifica per il benessere delle "infanzie" e delle comunità. Una possibilità di testimoniare concretamente che a partire da una cucina si può costruire una nuova cultura della ricerca – in uno spazio non esclusivo, comune a tutti e democratico – e che la cucina è uno tra i luoghi principali nei quali possiamo capire e dimostrare ogni giorno quale cittadina e cittadino vogliamo essere.
Recentemente lei è stata in Kosovo per promuovere con insegnanti, operatrici ed operatori locali alcuni atelier sui sapori. Ci può spiegare come si svolgono questi incontri?
Nell’ambito del progetto PEDAKOS curato da RTM ho avuto la possibilità, dopo un percorso di conoscenza iniziato online, di condividere e scambiare con questo paese i valori di Pause Atelier Dei Sapori. Il pubblico che abbiamo avuto l’onore di incontrare era costituito in particolare da insegnanti, direttrici e cuochi delle scuole parte del progetto.
Il nostro intervento ha voluto unire i saperi in campo pedagogico con quelli della cucina. Eravamo presenti infatti io come pedagogista e Alessandro Tagliavini come cuoco e atelierista esperto di atelier sui linguaggi del cibo. Abbiamo condiviso i riferimenti educativi che collocano la cucina e il cibo al centro dell’educazione nell’esperienza educativa reggiana e abbiamo esplorato insieme i diversi format di atelier curati da Pause dove le insegnanti, direttrici, cuochi di questo paese e territorio sono stati invitati ad immergersi in esperienze sul cibo, cibo naturalmente acquistato nei mercati locali.
La finalità di questi appuntamenti è stata quella di presentare alle scuole incontrate alcuni nostri studi ed esperienze non tanto per chiedere di riprodurle ma piuttosto per incoraggiare a valorizzare le potenzialità di esperienza e di conoscenza che ogni giorno tutti hanno tra le mani e che si possono vivere in una scuola e nella sua cucina.
Altro intento è stato quello di condividere alcune linee guida sulla salute che possono – anche a partire dalla costruzione di un menù di una scuola – rigenerare in modo armonico il rapporto tra tradizione, innovazione, educazione e salute. Un intento certo rivolto al team educativo e ai cuochi delle scuole ma che non può che crescere senza l’alleanza con le famiglie: per questo si propone alle scuole la realizzazione di periodiche serate in cucina con le famiglie nelle quali non solo presentare il menù dedicato ai bambini ma prepararlo insieme con i genitori con la guida dei cuochi della scuola e mangiare poi insieme quanto preparato magari seduti attorno ad una tavola… beh questo è ancora uno dei modi più sensibili capace in modo semplice e concreto di abbattere barriere o distanze e testimoniare che il prendersi cura insieme delle nuove generazioni non si può delegare ma si fa insieme.
Il cibo è relazioni, con gli altri, con la natura, con il mondo. Quali le reazioni che più l’hanno colpita ai vostri atelier in Kosovo?
Tra le reazioni che ci hanno maggiormente colpito vi è stato lo stupore delle docenti nel vedere associato l’argomento cibo ad una lezione di carattere pedagogico, dove il cibo è stato trattato come uno tra i linguaggi dell’esperienza e della conoscenza e parte dell’identità e progettualità della scuola.
Vedere dai loro sguardi la sorpresa di esplorare qualcosa di uso domestico e quotidiano – a volte considerato povero – con occhi diversi e comprendere come un ortaggio semplice di stagione possa diventare uno scrigno prezioso di apprendimenti: dalle radici, al colore, al gusto associato al colore fino alla genesi del profumo di un ortaggio o frutto etc…
Hanno subito compreso che il riuso o il rigenerare in cucina è un atto di amicizia semplice e potente verso l’ambiente, che si può praticare in classe come all’esterno e che può attrarre e divertire adulti e bambini insieme.
Inoltre abbiamo notato come l’ascolto e il fare insieme attorno a questo tema abbia contribuito ad abbattere le gerarchie di ruolo: tutti, dai cuochi alle insegnanti e direttrici, si sono messi all’opera a collaborare insieme, a scambiarsi saperi sulla natura e qualità del cibo, a sperimentare assieme ad esempio l’estrazione dei pigmenti naturali dalla verdura – il verde spinacio, il verde insalata, il viola cavolo cappuccio – per realizzare poi straordinari "acquarelli di verdura" scoprendo in modo empirico che il colore non nasce in un pennarello o matita e che neppure va insegnato il colore ma che il colore è nella natura che va interrogata e che da li si può partire…
Il cibo è cultura e anche memoria…
Sì, il gusto rievoca forte la memoria. Da una prova semplice di assaggio a cerchio di un ingrediente quale un chicco d’uva sono emersi da tutti i partecipanti moltissimi ricordi ed una infinità di storie legate all’infanzia e alla vita. E se questo lo provassimo a fare con i bambini quante cose potremmo scoprire?
Quale altre indicazioni avete tratto dagli atelier?
Abbiamo avuto forte la sensazione che grazie all’aver coinvolto i cuochi – impegnati con noi nelle giornate in Kosovo a preparare piatti locali o a rispondere a domande sull’educazione alimentare a scuola – di aver contribuito a sostenere il loro ruolo educativo nella scuola.
Abbiamo poi imparato dalle insegnanti e dalle persone coinvolte nella formazione il valore che loro riservano all’accoglienza e la cura che hanno per le loro scuole. E poi abbiamo conosciuto tradizioni e saperi che legano la scuola al territorio, senza nostalgia verso il passato ma con curiosità verso il futuro. Cura e attenzioni che emergono dalla bellezza e ordine delle cucine visitate e mostrate a noi come orgoglio e conquista di ogni scuola.
Tutti noi possiamo avere un’esperienza con il cibo. In questo siamo tutti sullo stesso piano. Quale il valore, dal punto di vista pedagogico, di questo aspetto?
La didattica in una scuola per essere innovativa deve saper accogliere l’unicità di ogni soggetto che apprende e deve abbracciare la cultura della ricerca come dimensione permanente che naturalmente attraversa tutti i tempi di vita dei bambini e adulti a scuola: gioco, attività, sonno, pranzo… non ce n’è uno più importante dell’altro, tutti rappresentano occasione di conoscenza, conquista e scoperta.
E ancora vorrei sottolineare che l’educazione ha bisogno dei bambini: il loro approccio alla conoscenza è pieno di stupore, le loro percezioni sono la fusione dei sensi, i bambini attraverso la bocca conoscono il mondo. Per i bambini il cibo non è solo nutrizione, è esperienza, gioia, scoperta. È mondo! E proprio su queste sensibilità possiamo innescare le nostre di sensibilità e i nostri processi di cura, di ricerca e di educazione legata all’alimentazione.
Il cibo può essere spunto educativo, può insegnarci a non sprecare e a valorizzare ciò che si ha, ha un forte valore affettivo… Come recuperare nelle scuole, in Italia e in Kosovo, una centralità ed un’attenzione su questi temi?
È importante valorizzare la presenza delle cucine nelle scuole come luoghi di grande simbologia del prendersi cura dei bambini in quanto persone e nella loro interezza e anche delle loro famiglie.
Cucine che costruiscono cibo, piatti, che parlano di scienza, chimica, fisica, storia, antropologia, che parlino di cielo e di terra. Cucine che costruiscono profumi in cui la bellezza dei piatti e nei piatti si fa gusto.
Questa presenza può essere uno dei migliori veicoli per un approccio al rispetto alla sostenibilità, alla rigenerazione (in modo concreto e famigliare) di cose, alimenti ma anche di pensieri. La cucina quindi non solo come distributore di cibo ma come spazio di ricerca che accoglie il tempo inteso come contenuto ed essenza del concetto stesso di qualità di ogni esperienza educativa e di crescita.
Dare tempo per capire che – come avviene con ciascuno di noi – nessun frutto matura nello stesso tempo e mai eguale ad un altro. Ma anche tempo di ricerca, di studio, del farsi domande, del sostare su ciò che apprendiamo che poi è all’origine e significato del nome stesso di Pause e dell’esperienza condivisa in Kosovo.