Obiettivo stabilizzazione

I difficili equilibri della missione europea Eulex, le proposte di scambi territoriali tra Serbia e Kosovo, la questione della liberalizzazione dei visti. Un’intervista della nostra corrispondente all’ambasciatore italiano a Pristina Michael L. Giffoni

17/09/2009, Alma Lama - Pristina

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Michael L. Giffoni

Michael L. Giffoni è ambasciatore italiano a Pristina dal 3 settembre 2008. Diplomatico di carriera dal 1991, ha alle spalle una lunga esperienza nella regione balcanica. Vice-capo della Delegazione diplomatica speciale italiana, poi ambasciata, a Sarajevo dal 1994 al 1996, mentre dal 1996 al 1999 è a Sarajevo come "Senior Political Advisor" presso l’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR). Dal 2006 al 2008 presso il Segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea in qualità di Capo della Task Force per i Balcani Occidentali dell’Unità Politica e consigliere per i Balcani dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza europea, Javier Solana.

L’Italia ha giocato un ruolo specifico durante il processo dei negoziati sullo status che ha portato alla dichiarazione d’indipendenza. Dal punto di vista diplomatico, quale il successo che ritiene più rilevante?

Per l’Italia, fin dal 1999, è stato chiaro che la stabilizzazione del Kosovo fosse cruciale per la stabilizzazione dell’intera area balcanica. La stabilità dell’area balcanica a sua volta è prioritaria per l’Italia poiché quanto vi accade ha riflessi immediati anche sull’altra sponda dell’Adriatico. Dagli anni ’90 l’Italia è stata tra i Paesi che hanno sostenuto con maggiore determinazione la prospettiva di integrazione europea di tutti i paesi dei Balcani occidentali. Tra questi paesi vi è anche il Kosovo. La prospettiva europea del Kosovo è stata annunciata nel summit di Salonicco del 2004, e poi confermata negli anni successivi ed anche dopo la proclamazione dell’indipendenza.

L’Italia inoltre è stato tra i primi paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Ora però attraversiamo una fase cruciale per il cammino europeo di questo paese: quello del consolidamento istituzionale e del progresso economico e sociale e l’Italia non farà mancare il suo contributo costruttivo e positivo.

Quale il vostro impegno nella missione europea Eulex? Il responsabile del settore giustizia, Alberto Perduca, è un italiano …

Eulex è una missione approvata da tutti gli stati membri Ue, non solo da chi ha poi riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. L’Italia, in termini di personale, è il paese membro che attualmente contribuisce di più alla missione. Attualmente Eulex conta 1700 funzionari, di cui 200 sono italiani. Segue, per numero di funzionari, la Germania.

Qual è il motivo di questo alto numero di italiani coinvolti?

L’Italia crede fortemente in Eulex, quale strumento essenziale nella presenza europea a sostegno del Kosovo. Lei nominava il giudice Perduca, capo della componente giustizia, ma vi sono anche molti altri magistrati italiani che stanno sostenendo il settore della giustizia locale, funzionari doganali che stanno contribuendo in questo specifico e cruciale settore ed i carabinieri ed i funzionari di polizia per la tutela dell’ordine pubblico. L’Italia crede fortemente nel futuro europeo del Kosovo, ed è per questo che contribuisce così tanto in termini di personale dispiegato, con la presenza di funzionari civili e militari di ogni livello e settore di competenza.

Quale, a suo parere, lo stato della realtà della cooperazione italiana in Kosovo oggi?

L’Italia è stata presente in Kosovo fin dal 1999. A partire dalla fine del conflitto armato il nostro paese ha contribuito alla stabilità del Kosovo in molti settori, nell’ottica della stabilità dell’intera area balcanica. Abbiamo contribuito sotto il profilo militare, con il nostro impegno nella missione KFOR della Nato e con l’assistenza fornita in aree diverse, sia attraverso la cooperazione italiana che nell’ambito di strutture internazionali di diversa natura, quali ad esempio quelle europee.

Sul piano specifico, il sostegno diretto al rilancio dell’economia kosovara ed al suo progetto di sviluppo si è indirizzato a vari settori: dal sostegno all’agricoltura, alle infrastrutture, alla sanità, senza dimenticare i settori molto importanti della cultura e della tutela del patrimonio religioso, spirituale ed artistico.

E’ importante sottolineare che, alla Conferenza dei donatori per il Kosovo, svoltasi a Bruxelles nel luglio del 2008, l’Italia ha deciso di fornire un notevole contributo bilaterale. Gli aiuti nell’ultimo anno si sono concentrati su tre settori: il settore sanitario, con un impegnativo progetto di sostegno al piano sanitario nazionale (diretto ad esempio a favore del reparto di cardiochirurgia dell’ospedale di Pristina ed al controllo di qualità in tutti gli ospedali nazionali); la tutela del patrimonio culturale ed artistico con le iniziative di restauro dei monasteri ortodossi a Decani ed a Pec/Peja e di alcune storiche moschee; il settore agricolo, con alcuni progetti mirati a giungere ad un sistema produttivo che rispetti gli standard europei.

Qual è in cifre l’impegno messo in campo dall’Italia?

L’impegno complessivo stanziato bilateralmente alla conferenza dei donatori del 2008 è pari a 12 milioni di euro per finanziare progetti avviati nel corso di quest’anno. E poi vi sono, come ho già ricordato, altre forme di finanziamento, che passano attraverso i finanziamenti europei e la Commissione europea.

Torniamo ad Eulex. Cosa pensa dei rapporti tra quest’ultima e le istituzioni kosovare, in particolare in merito al protocollo di intesa sulla collaborazione di polizia che la missione europea sembra intenzionata a sottoscrivere con la Serbia? Il governo del Kosovo è contrario, e sostiene che la propria sovranità venga messa in discussione…

Ritengo sia un problema di percezione. E condivido l’approccio dell’Unione Europea e di Bruxelles. Il protocollo con la Serbia in materia di polizia, oggetto di accesi dibattiti in questi giorni, così come tutti i protocolli di intesa che seguiranno in materia ad esempio di dogane, di giustizia, ecc. sono stati inseriti fin dall’inizio nel mandato di Eulex. Si badi bene, come protocolli e quindi accordi strettamente tecnici che non sono sottoscritti da Eulex al posto del governo kosovaro, ma da Eulex in quanto tale, per favorire lo svolgimento del proprio mandato in Kosovo. Ed Eulex ha il mandato per farlo, perché così come è stato negoziato l’accordo con la Serbia, lo è stato fatto in precedenza con il Montenegro, con l’Albania e con tutti i paesi confinanti. La questione della sovranità non viene affatto messa in discussione. Argomentazioni diverse, messe in risalto soprattutto dalla stampa locale, sono eccessive e non tengono conto della natura strettamente tecnica di quest’accordo. Del resto, mi sembra che le ultime dichiarazioni della leadership locale vadano ormai in questo senso.

Quindi a suo avviso non vi è nulla di cui il governo del Kosovo si dovrebbe preoccupare?

Ritengo al contrario che il Kosovo, allo stesso modo della Serbia e di Eulex, otterrà molti vantaggi dalle forme di cooperazione di polizia previste dal documento d’accordo tra Eulex e la Serbia. Questo protocollo d’intesa nasce dall’esigenza di Eulex di espletare completamente il proprio mandato, per combattere ad esempio la criminalità organizzata ed i traffici illegali anche nel nord del Kosovo. E questo obiettivo può essere raggiunto grazie al protocollo d’intesa. I vantaggi che arriveranno dall’azione di Eulex sono indubbi vantaggi anche per il governo kosovaro.

Come si spiega che tutte le procedure di preparazione di quest’accordo siano state fatte all’insaputa del governo kosovaro?

Non mi risulta, è avvenuto esattamente il contrario. Forse si può discutere sul livello di informazione e sul coinvolgimento dell’opinione pubblica, ma sicuramente Eulex non ha agito all’insaputa del governo locale.

Ritiene che la reputazione di Eulex in Kosovo si stia incrinando, soprattutto in seguito alle polemiche sul protocollo?

Non lo penso assolutamente, le proteste che si sono verificate hanno coinvolto solo settori marginali, e radicali. Penso che l’opinione pubblica kosovara sia perfettamente in grado di rendersi conto dei vantaggi della presenza e del lavoro di Eulex.

Cosa pensa del fatto che l’apertura della "lista bianca" di Schengen, che dovrebbe includere presto Macedonia, Serbia e Montenegro, ha escluso invece il Kosovo? Quali saranno a suo avviso le conseguenze di questa decisione?

La proposta di liberalizzazione dei visti avanzata dalla Commissione europea riguarda alcuni paesi quali Serbia, Macedonia e Montenegro mentre non ha potuto includere Albania e Bosnia, perché non sono state soddisfatte le garanzie tecniche richieste in termine di produzione dei passaporti e controlli. Garanzie tecniche specificate da anni. Per quanto riguarda il Kosovo la questione è più complessa. Il Kosovo non era ancora indipendente quando è stato lanciato il dialogo sulla liberalizzazione dei visti, il processo chiamato tecnicamente "Visa facilitation dialogue ". Ecco il perché della decisione della Commissione, che non poteva includere il Kosovo nella fase successiva di liberalizzazione. Proprio in questi giorni il Paese sta però facendo i primi passi in questo processo, e sono sicuro sarà presto in grado di partecipare al processo di liberalizzazione dei visti.

Ma il processo di liberalizzazione dei visti ha incluso la Serbia, ancora recalcitrante a riconoscere le proprie responsabilità in materia di crimini di guerra …

Ritengo che la stabilità della Serbia sia essenziale per i Balcani e che la liberalizzazione dei visti influirà su questa stabilità. Ma io voglio parlare della Repubblica del Kosovo e dell’importanza del suo cammino europeo. A 18 mesi dall’indipendenza siamo in una fase cruciale: quella del consolidamento istituzionale, economico e sociale. E per questo serve un modello essenziale di riferimento e sia l’Italia sia Bruxelles ritengono che questo modello non possa che essere l’Unione europea e i suoi standard.

Come interpreta la situazione nel nord del Kosovo?

Ritengo sia preoccupante. Serve un forte impegno della comunità internazionale per dare sostegno alle istituzioni del paese in modo che abbiano un ruolo progressivamente sempre più influente anche nel nord del paese. L’Unione Europea è compatta su questo, e la questione rappresenterà la chiave di svolta in Kosovo. Occorre garantire il diritto di rientro dei rifugiati di entrambe le comunità. Per questo è cruciale la ricostruzione delle case, ma anche la certezza giuridica sui diritti di proprietà. Allo stesso tempo è essenziale che i rientri avvengano in modo sicuro ed omogeneo. Su questo devo sottolineare che il sindaco di Mitrovica, Bajram Rexhepi, sino ad ora ha svolto un ruolo positivo e costruttivo ed anche a Mitrovica nord occorre lavorare, e molto, per consentire il rientro delle famiglie albanesi nelle migliori condizioni.

Negli ultimi tempi al Congresso Usa è emersa l’idea di favorire uno scambio di territori tra Serbia e Kosovo, le valli di Presevo e Medvedja in cambio del nord del Kosovo …

Penso che ogni volta che si parla di scambi di territori si faccia un grave errore. E’ all’interno dei confini esistenti che va cercata e garantita stabilità e sicurezza nei Balcani Occidentali. Uno scambio di territori non è interesse di nessuno. E’ invece interesse di tutti che gli attuali Paesi dei Balcani Occidentali, Serbia e Kosovo inclusi, entrino a far parte dell’Unione europea entro gli attuali confini, anzi vanificando in questo senso l’importanza dei confini, come è avvenuto per il resto dei Paesi dell’Europa centro-orientale che sono già entrati nell’Ue.

Ritiene che l’idea dello scambio dei territori minacci la stabilità dell’area?

E’ certamente un’idea pericolosa, perché può far nascere aspirazioni simili anche per altri territori, un effetto a catene, per intendersi meglio: basti pensare all’area a maggioranza albanese della Macedonia o ad altre regioni abitate da minoranze nei Balcani. Se si avvia un processo del genere sarebbe difficile controllarlo. Ritengo che la soluzione stia piuttosto nel fare in modo che la comunità albanese in Serbia, la comunità serba in Kosovo, quella dell’entità serba in Bosnia Erzegovina vedano riconosciuti, e tutte le comunità di minoranza negli altri Paesi balcanici vedano riconosciuti i loro legittimi diritti all’interno degli Stati di cui sono cittadini. Questo è quanto abbiamo cercato di costruire negli ultimi dieci anni e per la stabilizzazione dei Balcani penso che questa sia l’unica visione vincente.

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