Kosovo: la scuola di quartiere
Da 15 anni lavorano in un quartiere periferico di Gjakova, in Kosovo, in particolare gestendo una scuola per l’infanzia. Abbiamo parlato di minoranze e diritto all’istruzione con Bernadeta Palucaj, coordinatrice dell’associazione locale “Shpresa e Jetës”
In Kosovo solo l’8% dei bambini di età compresa tra 0-5 anni frequenta nidi o scuole per l’infanzia. La percentuale è ancora più bassa se si prendono in considerazione le comunità rom, ashkali e egiziana. La situazione è però diversa in una quartiere nella periferia di Gjakova, grazie ad una scuola per l’infanzia gestita da un’associazione locale e coinvolta in questi ultimi due anni nel progetto Pedakos. Abbiamo incontrato la coordinatrice Bernardeta Palucaj.
Come è arrivata a lavorare per l’associazione “Shpresa e Jetës” e quali sono gli aspetti più interessanti del suo lavoro?
Ho iniziato a lavorare per "Shpresa e Jetës" nel 2005, inizialmente come volontaria. Nel 1999, con la guerra in Kosovo, con la mia famiglia e tutto il quartiere della città in cui vivevo siamo stati espulsi dalle nostre case e abbiamo fatto un lungo e difficile viaggio verso l’Albania, dove abbiamo trascorso diversi mesi come rifugiati. Ero molto giovane e ho vissuto l’esperienza dei campi profughi ed è lì che è iniziato il mio stupore: ero affascinata dal lavoro instancabile che varie organizzazioni facevano per aiutarci, è un sostegno che quando lo sperimenti sulla tua pelle ti fa sentire protetto, inizi a sorridere anche nei giorni più tristi della tua vita e questo è incredibile.
Quando siamo tornati in Kosovo ho iniziato a ricercare questo "stupore" che le persone potevano garantire una all’altra e volevo essere una piccola parte di tutto questo. Dopo aver vinto una borsa di studio promossa da "Shpresa e Jetës" ho iniziato a contribuire volontariamente ad alcune sue attività. Sono rimasta stupita, stupita dalle persone che vi lavoravano, stupita dalle persone che si aiutano, dalle attività di sostegno e dalle varie attività volte a costruire reti.
Naturalmente la parte più interessante del lavoro è l’impatto sociale di questo lavoro: sostenere nella loro istruzione le persone meno fortunate; partecipare ad attività di soccorso e riabilitazione; sostenere strutture scolastiche; promuovere attività per la tutela dell’ambiente. Si sperimenta la partecipazione a qualcosa che migliorerà la società e questo è fonte di auto-realizzazione e di una crescita personale.
Le maggiori difficoltà?
Lavorare per piccole organizzazioni locali come la nostra comporta senza dubbio alcune sfide e difficoltà, tra tutte le possibilità di finanziamento e di progresso del nostro lavoro. Ma attraverso tutte le sfide che quotidianamente affrontiamo, con duro lavoro e dedizione, siamo riusciti a diventare oggi un’organizzazione che lavora per la comunità.
Le piccole organizzazioni come la nostra fanno un grande lavoro e investono nella comunità, conoscono i problemi che la comunità affronta.
È da 15 anni che la vostra associazione gestisce e sostiene la scuola per l’infanzia “Ganimete Terbeshi” a Gjakova. Ci spiega il valore di questo vostro progetto?
"Shpresa e Jetës" è in Kosovo una delle rare organizzazioni con esperienza che lavorano con gruppi vulnerabili e per la promozione dell’educazione non formale. Shpresa e Jetës è specializzata nell’implementazione e nella gestione di progetti di sviluppo relativi in particolare ad educazione e infanzia, formazione sia per insegnanti e educatori che di personale dei servizi sociali.
Nel realizzare il nostro lavoro adottiamo una metodologia che si basa su cinque valori fondamentali. Innanzitutto la centralità della persona: la persona è il centro di ogni programma di sviluppo e lo scopo di ogni progetto. Partiamo poi dal positivo che c’è: ogni persona, ogni comunità rappresenta una potenziale risorsa, indipendentemente dalla sua vulnerabilità.
Un altro principio per noi importante è quello del “fare con” perché riteniamo che un progetto calato dall’alto è violento, perché non condiviso, o inefficace e insostenibile, perché orientato all’assistenza. Il nostro approccio alla progettazione e alla realizzazione dei progetti consiste nel fare con le persone; cioè, partire dalla relazione con le persone a cui il progetto è rivolto e crescere con loro.
Infine altri due principi: quello di sviluppare i corpi intermedi e la sussidiarietà. Per noi sviluppo significa infatti valorizzare la capacità di associazione delle persone, riconoscendo e sostenendo la creazione di corpi intermedi e di un contesto sociale responsabile e integrato. Poi ci preme il concetto di partenariato: i progetti di sviluppo si basano su veri e propri partenariati tra tutte le entità attive nel particolare settore, comprese le istituzioni pubbliche e private, locali e internazionali, evitando così duplicazioni e promuovendo sinergie per ottimizzare le risorse disponibili.
Da che famiglie provengono i bambini che frequentano la vostra scuola per l’infanzia?
Le famiglie che sosteniamo sono famiglie che appartengono a gruppi vulnerabili e a Gjakova queste famiglie sono delle comunità rom, ashkali e egiziana, appartengono ad una fascia molto vulnerabile della nostra società.
Il nostro lavoro consiste principalmente nell’educare i loro figli, non trascurando mai di lavorare con queste famiglie, creando insieme un’atmosfera di fiducia e creando un’opportunità di sensibilizzazione sull’importanza dell’educazione dei loro figli per un futuro migliore e dignitoso.
In questi anni può dire che la scuola per l’infanzia è stata importante per i percorsi di vita di almeno alcune delle bambine e bambini che l’hanno frequentata? Sono ad esempio di più i bambini che poi riescono a completare il ciclo di istruzione elementare?
Nel centro Ganimete Terbeshi ogni anno ospitiamo circa 30 bambini che frequentano l’asilo e molti altri bambini che sono coinvolti in attività informali e questo è un ottimo risultato considerando che in Kosovo la frequenza di tali attività da parte di queste comunità è molto bassa.
Il nostro lavoro consiste anche nell’accompagnare questi bambini nell’istruzione elementare come un diritto fondamentale di questi bambini. Sosteniamo circa 100 bambini all’anno nel loro viaggio verso la scuola, con materiale scolastico e sostegno per le difficoltà che questi bambini hanno nell’apprendimento e più dell’80% di questi bambini completano la scuola elementare.
In questi anni 15 anni come è stato il vostro rapporto con la municipalità? Cosa rende difficile che sia direttamente l’amministrazione comunale ad occuparsi della gestione della scuola per l’infanzia?
Siamo una società giovane che sta attraversando una fase di transizione e naturalmente, con poche risorse finanziarie da investire nei vari progetti. Con il comune abbiamo un rapporto ottimo e ci sostengono nel lavoro che facciamo, ma siamo consapevoli che come società stiamo attraversando difficoltà nel contesto dell’integrazione e della mancanza di investimenti. I tre contesti più difficili che la società kosovara sta affrontando sono: disoccupazione, povertà e scarsa qualità dell’educazione.
I diritti dei bambini per una migliore educazione sono una responsabilità comune tra genitori, istituzioni educative e formative, enti locali e governo, secondo i loro rispettivi doveri e funzioni. Una società civile forte è importante per monitorare la situazione dell’educazione di qualità dei bambini e operare come meccanismo di controllo per tutti gli attori sopra menzionati. Ecco perché è necessario offrire loro lo scambio di buone pratiche nel campo della qualità dell’istruzione e del miglioramento della vita delle famiglie. Così come è necessaria attività di lobbying e di advocacy, al fine di facilitare, estendere e migliorare il dialogo regolare con le autorità locali per l’educazione dei bambini e il benessere delle famiglie.
Chi sono i vostri educatori? Cosa li motiva a lavorare in una realtà forse più difficile di altri ambienti?
Addentrandoci nel mondo dell’Approccio Reggio Emilia abbiamo avuto modo di conoscere meglio anche l’ispiratore Loris Malaguzzi, e una delle sue citazioni dice: "Una scuola deve essere un luogo per tutti i bambini, non basato sull’idea che sono tutti uguali, ma che sono tutti diversi".
Voglio collegare questa frase alla domanda posta: non credo che lavorare con una comunità vulnerabile sia più difficile. Semmai le difficoltà risiedono in te come persona, come educatore e non dipende certo dai bambini di fronte a te. Il percorso come educatori di "Shpresa e Jetës" si basa sui valori fondamentali dell’organizzazione: ogni persona, ogni comunità, rappresenta una potenziale risorsa, non importa quanto sia vulnerabile.
Ci racconta il quartiere “Lagjja e Sefes” a Gjakova?
"Lagjja e Sefes" è situato nell’area urbana di Gjakova, il quartiere è molto povero e abitato da comunità rom, ashkali ed egiziane. Non vi sono spazi pubblici. Il nostro centro multietnico-scuola è situato proprio lì in un edificio che venne costruito dopo l’ultima guerra in Kosovo da "Medecins sans Frontières". Dopo che questi ultimi hanno chiuso il loro ufficio a Gjakova, il centro è rimasto inutilizzato a causa della mancanza di motivazioni e fondi da parte del comune.
Nel 2007 questo centro chiamato Centro Multietnico "Ganimete Terbeshi" ha riaperto grazie al nostro impegno e ai nostri donatori, e da allora il continua a lavorare come scuola dell’infanzia, unica luce per i bambini in età prescolare di questa periferia.
"Lagjja e Sefes" è un quartiere che conta 1450 abitanti appartenenti alla comunità Rom Ashkali e Egiziana e di tutti questi circa 650 hanno meno di 18 anni. Sono circa 250 i bambini che frequentano le scuole elementari. E, in tutto il quartiere, sono solo una trentina le persone che hanno un lavoro regolare.
I residenti di questo quartiere, delle comunità rom, ashkali e egiziana, non danno la priorità alla scolarizzazione dei bambini e tanto meno sostengono i loro figli durante il loro percorso scolastico. Un gran numero di bambini abbandona la scuola senza completare l’istruzione elementare. Un ruolo importante nell’abbandono scolastico lo hanno anche i genitori che impegnano i loro figli in lavori come la raccolta di lattine o materiali riciclati, o li fanno sposare in giovane età.
In cosa siete stati sostenuti dal progetto PEDAKOS?
Attraverso il progetto PEDAKOS siamo intervenuti sull’infrastruttura dell’asilo. Inoltre abbiamo introdotto nuovi materiali e nuovi modi di lavorare all’asilo. Gli educatori sono stati formati con l’Approccio Reggio Emilia e abbiamo iniziato a lavorare con un nuovo spirito creativo in combinazione con i curricula del nostro Piano Strategico di Educazione nazionale.
Guardando al presente e al futuro della scuola per l’infanzia “Ganimete Terbeshi” cosa la rende soddisfatta di ciò che siete riusciti a fare e cosa desidera per il futuro?
Nella scuola materna "Ganimete Terbeshi" è stato fatto un grande lavoro di integrazione dei bambini e di sensibilizzazione dei genitori per l’educazione dei loro figli, soprattutto in questa fase della prima educazione. Il sostegno attraverso il progetto Pedakos ci ha sostenuto nel nostro obiettivo che è la crescita di questo asilo e la maggiore frequenza a scuola da parte di questi bambini. In futuro vogliamo che l’asilo diventi un centro che includa anche bambini di altre comunità per una migliore integrazione.