Kosovo, gli USA chiudono Camp Bondsteel?

Un’intervista dell’ambasciatore USA Christopher Dell lascia presagire la possibile chiusura della base di "Camp Bondsteel", simbolo e pilastro dell’assetto emerso in Kosovo dalla guerra del 1999. Una mossa in linea col disimpegno americano dai Balcani, ma ancora in grado di provocare scossoni a livello regionale

19/04/2011, Francesco Martino -

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Camp Bondsteel, Kosovo

Gli Stati Uniti si apprestano ad abbandonare la base militare di “Camp Bondsteel”, simbolo e pilastro dell’assetto emerso in Kosovo dalla fine della guerra del 1999?

A prospettare un possibile abbandono USA è stato lo stesso ambasciatore americano Christopher Dell, nelle scorse settimane al centro dei riflettori per il ruolo centrale giocato nel pilotare la lunga crisi politica a Pristina e dintorni, sfociata nell’elezione a sorpresa della sconosciuta Atifete Jahjaga alla presidenza della Repubblica.

In una recente intervista alla rivista britannica Jane’s Intelligence Review, poi ripresa dal portale Balkan Insight, Dell ha definito Bondsteel “un’enorme responsabilità, una proprietà molto costosa”. Per poi aggiungere: “Non intendiamo mantenere la base più a lungo di quanto non sia strettamente necessario per supportare la nostra presenza qui [in Kosovo]…Si può anche pensare che gli USA continuino ad esercitare il proprio ruolo senza Camp Bondsteel”.

Le parole di Dell non sono passate inosservate, anche se hanno avuto eco limitata nel flusso di notizie dei media internazionali. Molti soggetti interessati si sono affrettati a smentire, dal comandante della Kfor, il tedesco Erhard Bühler, al ministro kosovaro per le Forze di sicurezza Agim Çeku.

Anche da Belgrado è arrivata qualche alzata di sopracciglia. Goran Bodganović, ministro serbo per il Kosovo e Metohija ha dichiarato che, pur non avendo nulla in contrario alla chiusura della base, al momento questa decisione creerebbe seri problemi di sicurezza.

A una lettura superficiale, la possibile chiusura di Bondsteel sembra in contrasto con la centralità del ruolo degli Stati Uniti in Kosovo, ribadita proprio dalla crescente iperattività di Dell sulla scena politica locale (tanto che l’opposizione kosovara ha denunciato l’instaurazione di una vera e propria “Dell-ocrazia”).

I Balcani non sono una priorità per gli Stati Uniti

A un’analisi più approfondita, però, un futuro disimpegno americano da Bondsteel non sembra poi una mossa particolarmente sorprendente. Sul lungo periodo, infatti, la sovraesposizione del ruolo americano appare più una conseguenza dell’incapacità europea di parlare con una sola voce, che  un rinnovato impegno strategico di Washington nella regione.

“I Balcani saranno assenti dalle priorità strategiche degli USA nel decennio a venire”, aveva dichiarato ad OBC il noto politologo bulgaro Ivan Krastev, del Centre for liberal strategies di Sofia, all’indomani dell’insediamento dell’amministrazione Obama. “Con la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, l’impegno americano nella regione può dirsi chiuso”. A più di due anni di distanza, la sostanziale accuratezza dell’analisi di Krastev viene ribadita dalle parole dall’ambasciatore Dell.

Nel suo “Global trends 2025”, pubblicato a fine 2008, il National Intelligence Council (l’organo a cui spetta definire la strategia americana a medio e lungo termine) non faceva alcun cenno né ai Balcani né al Kosovo. Oggi è ancora più evidente che gli Stati Uniti, stretti tra crisi economica e riposizionamento geostrategico (Afghanistan, Medio Oriente, Pacifico), non considerano il Sud-est Europa come una loro priorità.

Le lamentazioni di Dell sul peso economico di Bondsteel, tra l’altro, arrivano alla vigilia di un passaggio fondamentale non solo per la presidenza Obama, ma per una generale riformulazione della capacità americana di influire a livello mondiale: la battaglia che infuria in questi giorni a Washington sul piano di riduzione del debito pubblico (secondo proiezioni, quest’anno il deficit USA toccherà i 1.400 miliardi di dollari).

Per i prossimi 12 anni, Barack Obama ha proposto tagli di spesa per “solo” 4mila miliardi di dollari (contro i 5,8 voluti dai repubblicani). Per salvare le riforme fatte in campo sociale, però, il presidente americano ha già promesso di tagliare in modo sostanzioso il budget del Pentagono. Date le circostanze, è lecito chiedersi: Camp Bondsteel è entrato nella lista delle spese ritenute ormai superflue e insostenibili?

Il mito di Bondsteel

Di certo a livello globale Camp Bondsteel non è altro che un singolo tassello all’interno di un quadro molto più complesso. A livello locale e regionale, però, un’eventuale chiusura della base rappresenterebbe di certo un piccolo terremoto, in grado di scuotere convinzioni profonde e radicate.

Fin dalla sua costruzione, iniziata subito dopo la fine dei bombardamenti sulla Jugoslavia e l’ingresso delle truppe Nato in Kosovo, Camp Bondsteel (la maggiore base statunitense nella regione, in grado di alloggiare fino a settemila soldati), ha suscitato polemiche ed emozioni arroventate. Per molti, più che una conseguenza dell’intervento in Kosovo, Bondsteel ne sarebbe stata una delle motivazioni segrete e inconfessabili.

Posizionata vicino al confine con la Macedonia, poco fuori la città di Ferizaj/Uroševac, secondo una delle teorie più diffuse Camp Bondsteel avrebbe dovuto garantire, più che il controllo del Kosovo e della regione circostante, quello delle connessioni energetiche, (già esistenti o futuribili) tra il mar Caspio e l’Europa occidentale, destinate dalla geografia a transitare nella penisola balcanica.

Esempio spesso citato è quello del progetto AMBO, oleodotto sponsorizzato dagli Stati Uniti che dovrebbe un giorno collegare il porto bulgaro di Burgas con quello albanese di Valona, passando per la Macedonia (ma di cui, nel frattempo, sembrano essersi perse le tracce).

Gli americani, da parte loro, all’epoca in piena ebbrezza da “iperpotenza”, hanno fatto poco per stornare dubbi e maldicenze. E’ vero che tutti o quasi i contingenti schierati in Kosovo hanno costruito basi, anche molto grandi (come ad esempio il “Villaggio Italia” alle porte di Peja/Peć), ma Camp Bondsteel è stata fin da subito un’altra cosa.

Per costruirla non si è badato a spese. Lavorando notte e giorno, in pochi mesi i genieri americani hanno addirittura spianato due colline ed interrato un burrone, recintando poi il campo (che occupa quasi 4 km quadrati) con un terrapieno alto due metri e mezzo e lungo 11 chilometri.

All’interno, oltre alle strutture prettamente militari, vennero costruiti tra l’altro un cinema, tre palestre, una cappella, una stazione dei pompieri, un centro educativo intitolato a Laura Bush, negozi di ogni tipo, pizzerie, due centri massaggio, un campo da softball e uno da football. Insomma, tutto lasciava pensare che la base sia stata allora pensata e realizzata con l’idea di restare a lungo.

Il decennio che ci separa dalla costruzione di Bondsteel, però, è stato attraversato da una serie di profondi scossoni geopolitici, in grado di cambiare profondamente il mondo in cui viviamo: l’11 settembre, le guerre di Afghanistan e Iraq, la crescita impetuosa della Cina, la crisi economica mondiale partita da Wall Street. Il 1999, anno in cui la base venne progettata e costruita, sembra davvero risalire ad un’altra era geologica.

Oggi il mondo non appare più unipolare, le priorità americane sono cambiate e con queste i piani e le strategie. Le truppe USA di stanza in Kosovo sono velocemente diminuite, e attualmente a Camp Bondsteel sono presenti non più di 800 militari Usa, quasi tutti della riserva e della Guardia nazionale.

Nell’intervista alla Jane’s Intelligence Review l’ambasciatore Dell sostiene ora che la percezione di Bondsteel come strumento di proiezione della potenza statunitense nell’area è soltanto “un mito”. Quali che fossero i piani originali, e a prescindere dall’effettiva chiusura della base, sembra però assodato che nel prossimo futuro gli Stati Uniti saranno sempre meno impegnati sullo scacchiere balcanico.

Gli europei, che oggi schierano la stragrande maggioranza delle truppe in Kosovo e forniscono la stragrande maggioranza dei fondi destinati alla regione, sono pronti a raccogliere il testimone, e ad affrontare in modo autonomo le sfide di sicurezza e integrazione di questo angolo di Europa?

La scarsa incisività mostrata nell’affrontare la recente crisi politica in Kosovo, così come i numerosi nodi irrisolti della missione missione Eulex, non suscitano speranze immediate. Se Bondsteel chiude i battenti, però, l’UE non potrà più evitare il dibattito su cosa vuole fare da grande. Almeno nel proprio giardino di casa.

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