Kosovo, è l’economia la vera sfida

Arretrata, improduttiva e con forti squilibri: l’economia del Kosovo rimane una sfida aperta, nonostante dieci anni di assistenza offerta a Pristina dalla comunità internazionale. Ne abbiamo parlato con Andrea Capussela, direttore del dipartimento Affari economici e fiscali dell’International Civilian Office (ICO) 

11/03/2011, Francesco Martino -

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Per le strade di Pristina, Kosovo - David Bailey MBE/flickr

Quali sono le attività principali dell’Ufficio per gli affari economici e fiscali dell’ICO?

L’ufficio economico dell’International Civilian Office ha il compito di assicurare che la politica economica del Kosovo si allinei ai principi del piano Ahtisaari: mercati aperti alla libera concorrenza, politica di bilancio mirata ad una crescita sostenibile, riforme strutturali, politica fiscale prudente, riduzione dell’intervento diretto dello stato in economia. Ad esempio, l’Ufficio ha consigliato e aiutato il governo a disegnare e attuare un vasto programma di privatizzazioni. Svolgiamo questo lavoro attraverso un dialogo quotidiano con il governo e le istituzioni che operano sull’economia (banca centrale, regolatori dei mercati), e in stretto coordinamento con la Commissione Europea, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale.

Il problema centrale dell’economia kosovara è legato alla debolezza del settore privato. Quali sono le cause principali di questo fenomeno?

Nonostante l’assistenza offerta da dieci anni dalla comunità internazionale, l’economia del Kosovo resta arretrata, improduttiva e gravata da notevoli squilibri: il deficit della bilancia commerciale è circa il 45% del PIL, la disoccupazione è poco inferiore al 50%. La causa principale di questi squilibri risiede, appunto, nella debolezza del settore privato, che non riesce a fornire lavoro e reddito alla popolazione, né a esportare i propri prodotti.

Le cause della debolezza del settore privato sono note. Sulla scarsa produttività delle imprese kosovare pesano l’insufficiente e inaffidabile fornitura di energia elettrica (che provoca alle imprese perdite pari al 17% del fatturato annuo), la corruzione, l’inefficienza della pubblica amministrazione, l’inadeguata preparazione della forza lavoro. Le imprese del Kosovo, poi, ricorrono poco al credito, che è molto costoso.

Il settore privato è dominato da micro-imprese, che operano principalmente nel settore dei servizi destinati al consumo interno. Sono aziende improduttive e poco competitive, apparentemente incapaci di crescere. Questo vale sia per le imprese regolari che per quelle che operano nell’economia informale, che è estesissima.

Quali provvedimenti potrebbero migliorare la situazione?

Molti degli ostacoli allo sviluppo del settore privato possono essere affrontati e risolti, anche nel medio termine, attraverso un’azione politica determinata. Sono stati elaborati vari programmi di politica economica diretti a questo scopo. Negli ultimi tre anni, però, i maggiori squilibri che minano l’economia del Kosovo si sono aggravati, inclusa la disoccupazione; non è un caso, a mio avviso, che nello stesso arco di tempo la preoccupazione della popolazione per l’occupazione e i propri redditi sia cresciuta, mentre la soddisfazione per l’operato del governo sia diminuita. Auspichiamo che il nuovo governo affronti questo dossier con rinnovata determinazione.

Le donazioni internazionali verso il Kosovo sono in diminuzione, ma rappresentano ancora una voce importante del budget. La conferenza dei donatori del luglio 2008 stanziò 1,2 miliardi di euro di aiuti da spendere in tre anni. E’ possibile fare un bilancio dell’impatto di questi fondi?

Gli aiuti allo sviluppo offerti al Kosovo dai donatori internazionali (principalmente dalla Commissione Europea) sono ingenti, ma legati a specifici progetti. Non sono in grado di valutarne l’efficacia rispetto agli obiettivi che le hanno giustificate, e lascerei questo compito ai donatori. Posso dire, però, che ci sono esempi positivi e negativi. Il comitato parlamentare per il controllo dei conti pubblici, creato con il sostegno dei donatori, ha avviato il proprio lavoro in modo promettente, mentre una splendida scuola costruita da un Paese scandinavo è rimasta vuota per più di un anno perché non era stata allacciata alle reti idrica ed elettrica.

Se guardiamo al quadro macroeconomico non vi è dubbio che la realizzazione di questi investimenti abbia spinto la crescita economica, sostenendo occupazione, redditi e consumi, ed abbia allentato la tensione dei conti con l’estero, che dimostrano gravi squilibi.

Un decimo dei fondi promessi alla conferenza dei donatori dovevano essere trasferiti direttamente al bilancio del governo, per finanziare le sue priorità. Questa è forse la forma più avanzata di aiuti allo sviluppo, perché è fondata sulla fiducia nell’adeguatezza delle politiche economiche volute dall’esecutivo e nella sua capacità di realizzarle. Purtroppo, pochi di questi fondi sono stati versati, perché il Kosovo non è stato in grado di soddisfare le condizioni alle quali essi sono legati.

Una percentuale rilevante della popolazione kosovara vive in condizioni di povertà, o povertà estrema. Quanto è efficace il sistema di protezione sociale dello stato kosovaro?

Il 45% della popolazione vive sotto la soglia di povertà (1,42 euro al giorno) e il 17% vive in povertà estrema. La maggior parte delle famiglie che vive in povertà estrema si colloca, però, nella fascia di reddito immediatamente inferiore alla soglia. Molte persone, quindi, potrebbero essere sollevate da questa condizione grazie a un aumento, anche modesto, della crescita economica.

Il Kosovo ha un debolissimo sistema di protezione sociale, composto da pensioni sociali per i disabili e per chi ha più di 65 anni (tra 45 e 85 euro al mese) e da programmi di assistenza per categorie deboli o considerate meritevoli (vittime del conflitto del 1999 e della repressione che l’ha preceduto, ex armati, ex lavoratori delle miniere di Trepča). Questo sistema è inefficace, poiché fornisce assistenza solo al 23% delle persone che vivono in povertà e al 34% di quelle che vivono in estrema povertà. La protezione sociale è spesso affidata alle famiglie e alle rimesse degli emigranti (che formano addirittura il 70% del reddito delle famiglie più povere), o alla famiglia allargata, che in Kosovo è un organismo sociale ancora vitale.

L’economia grigia rappresenta una quota importante del quadro economico del Kosovo. E’ possibile quantificala? Quali sono le conseguenze di questa realtà sulle prospettive di sviluppo del paese?

L’economia informale in Kosovo è molto estesa. Le stime disponibili non sono concordi, ma in genere riteniamo che a essa si debba circa la metà dell’attività economica che si svolge nel paese.

Essere informale presenta ovvi vantaggi per un’impresa – ad esempio, il non dover pagare le tasse – ma anche svantaggi: questa deve ricorrere a metodi altrettanto informali per raccogliere capitale di rischio, ricevere credito e regolare i rapporti tra soci e con clienti e fornitori. Ciò limita le sue opportunità di sviluppo. Riteniamo che le imprese informali siano, come quelle regolari, mediamente piccole, improduttive e rivolte alla domanda interna. Specularmente, crediamo che molti degli ostacoli allo sviluppo del settore privato siano anche le principali ragioni per le quali molte imprese hanno scelto di essere informali.

L’economia informale contribuisce ad assorbire parte della disoccupazione e ad alleviare la povertà, ma la sua diffusione è un serio problema per lo sviluppo economico poiché mantiene un’ampia quota dei fattori di produzione chiusi in un sistema improduttivo. Un sistema che non alimenta le entrate pubbliche né contribuisce a riequilibrare la bilancia dei pagamenti (con la possibile eccezione delle attività del tutto illecite, come il traffico di droga), e perpetua un modello di sviluppo fondato su rapporti informali e non su regole e, quindi, relativamente inefficiente.

Perché la politica di bilancio è particolarmente importante nel caso del Kosovo?

La politica di bilancio in Kosovo deve tener conto di due vincoli speciali. Il primo deriva dal fatto che l’euro è usato come moneta legale. In questo modo, il Kosovo ha ancorato la propria politica monetaria a quella dell’area Euro. Questa scelta ha prodotto benefici importanti, ma lo ha sostanzialmente privato della possibilità di manovrare la base monetaria e operare sul tasso di cambio. In secondo luogo, il Kosovo deve tener conto del fatto che nel prevedibile futuro non potrà finanziarsi sul mercato finanziario internazionale (esso non ha ancora un rating che ne misuri il merito di credito, e non si è mai affacciato sul quel mercato). Il governo potrebbe raccogliere risorse indebitandosi sul mercato interno, ma se lo facesse ridurrebbe la finanza disponibile per lo sviluppo delle imprese e potrebbe deprimere la crescita economica. Quindi, la via dell’indebitamento gli è sostanzialmente preclusa.

Di conseguenza, la politica di bilancio è l’unico strumento flessibile a disposizione del governo per garantire la stabilità del quadro macroeconomico e del settore finanziario: le riserve di cassa del governo, in particolare, sono l’unica protezione di fronte a una diminuzione imprevista delle entrate o a una crisi di liquidità nel settore finanziario.

Come è evoluta questa politica da quando Pristina ha dichiarato la propria indipendenza?

Coerentemente a questi vincoli, sino al 2008 la politica fiscale seguita da Unmik ha mirato a tenere sotto controllo la crescita della spesa corrente e a creare spazio per gli investimenti. Questa non ha dato forte impulso alla crescita, ma ha consegnato alle istituzioni che dichiararono l’indipendenza una considerevole riserva di cassa, pari a circa il 12,5% del PIL.

A partire dalla dichiarazione d’indipendenza, la politica fiscale ha cambiato direzione, sul lato della spesa: basti dire che tra il 2007 e il 2009, il saldo primario del bilancio pubblico è passato da un avanzo pari al 7% del PIL a un disavanzo di pari misura. E la progressione è continuata: ad esempio, tra il 2007 e il 2010 la spesa complessiva per i salari dell’amministrazione pubblica è cresciuta a una velocità doppia rispetto all’economia e ai salari del settore privato.

La direzione presa dalla politica fiscale negli ultimi tre anni pare insostenibile. Purtroppo anche la qualità della spesa pubblica sembra essersi deteriorata. La crescita della spesa corrente è stata spinta più da esigenze politiche che da un programma coerente di politica economica e sociale. E l’’impennata della spesa in conto capitale ha finanziato investimenti condivisibili (soprattutto nei settori dei trasporti e dell’educazione), ma neppure questa è stata condotta in base a una politica chiara e coerente.

Nel 2009 il FMI ha concluso che la politica fiscale del Kosovo era ‘alla deriva’. Questa deriva potrebbe essere corretta e arrestata grazie ad un programma di assistenza finanziaria concordato con il Fondo nel luglio 2010. Ma è ancora presto per valutarne gli effetti, anche perché la recente intenzione del governo di aumentare sensibilmente i salari dei dipendenti pubblici potrebbe provocare la violazione del programma, se non saranno individuate adeguate forme di finanziamento a questo aumento di spesa.

Da dove provengono le entrate del budget kosovaro? Che tipo di politiche fiscali vengono attuate, e con quali effetti su sviluppo economico e equità sociale?

Le entrate sono oggi poco superiori al 25% del PIL, e circa i due terzi derivano da imposte riscosse alla frontiera, principalmente sulle importazioni. Furono le condizioni del Kosovo alla fine del conflitto del 1999 a suggerire all’amministrazione delle Nazioni Unite di adottare questo sistema di tassazione, che è di più semplice gestione ma espone le entrate alla volatilità delle importazioni. Il tentativo, in seguito, di estendere la base imponibile delle imposte sui redditi ed includervi quote crescenti dell’economia informale ha avuto scarso successo. Anzi, nel 2009 il governo dimezzò l’imposta sui redditi delle persone giuridiche (dal 20% al 10%) e ridusse l’imposta sui redditi delle persone fisiche, elevando contemporaneamente alcune accise e l’imposta sul valore aggiunto (dal 15% al 16%). Questa riforma fiscale aveva lo scopo di stimolare lo sviluppo delle imprese e favorire l’emersione dell’economia informale; gli effetti sperati non sono ancora visibili, e per ora questa riforma ha aumentato la dipendenza delle entrate dalle imposte riscosse alla frontiera.

Un sistema impositivo di questo tipo, sbilanciato sulle imposte indirette, può avere effetti regressivi, in quanto grava in modo sproporzionato sui redditi delle fasce meno abbienti della popolazione. In un Paese afflitto dai livelli di povertà ricordati sopra, ciò non appare politicamente sostenibile nel lungo termine.

Il governo di Pristina ha puntato ad un ambizioso programma di investimenti, simboleggiato dall’autostrada di collegamento tra Albania e Serbia. Questo programma risponde alle esigenze primarie del Kosovo? E’ sostenibile dal punto di vista economico?

L’autostrada, il cui costo stimato è pari circa il 25% del PIL del 2010, andrà da Pristina alla frontiera con l’Albania, dove si collegherà con la nuova autostrada che arriva al porto di Durazzo. In seguito, potrebbe collegarsi alla Serbia e ai corridoi che dall’Europa centro-orientale passano per Belgrado e giungono a Salonicco o Istanbul.

Oggi, il traffico commerciale più intenso si registra verso Serbia e Macedonia. Tuttavia, collegare il Kosovo all’Albania è sicuramente una buona idea, perché favorirà l’integrazione di queste due economie, paradossalmente non molto profonda, e aprirà al Kosovo una via al commercio internazionale meno esposta a rischi geopolitici, come invece lo sono i collegamenti con Serbia e Macedonia.

La domanda, piuttosto, è se non sarebbe stato più prudente procedere in modo graduale, con successivi miglioramenti delle strade esistenti sincronizzati all’aumento del traffico, in modo da ripartire il costo su un periodo più lungo. Il fatto che l’autostrada sarà interamente finanziata dal tesoro, senza capitale privato, e la conseguente e crescente tensione dei conti pubblici sembrano suggerire una risposta positiva a questa domanda.

Per quali motivi un’impresa internazionale dovrebbe investire in Kosovo? Quali sono gli ostacoli che lo rendono un paese poco attraente per gli investimenti?

Il Kosovo ha alcuni vantaggi comparati che potrebbero attrarre investitori stranieri: la popolazione più giovane d’Europa, salari competitivi, terra fertile, cospicue riserve di lignite, piombo, zinco e nickel, tasse basse e una posizione geografica al centro di un mercato regionale di circa 31 milioni di abitanti. Tuttavia, il Kosovo è una destinazione relativamente rischiosa per gli investimenti rispetto al resto della regione, ed infatti è l’economia che negli ultimi anni ne ha ricevuti di meno, in proporzione al PIL. Secondo un recente studio, i principali deterrenti all’investimento sono instabilità politica, inadeguatezza del sistema giuridico, inadeguatezza delle infrastrutture, crimine e corruzione, insufficiente fornitura di energia elettrica.

Purtroppo, la sua capacità di attrarre capitali sembra in calo: gli investimenti stranieri sono scesi, in proporzione al PIL, dal 13% del 2007, al 9,5% del 2008, al 7,5% del 2009. Nel 2010 non sembrano aver superato il 6%. La diminuzione degli investimenti stranieri è dovuta sia a ragioni esterne o contingenti – la crisi e una temporanea stasi del programma di privatizzazione tra il 2008 e il 2009, dovuta a problemi politici – sia a una ragione interna e strutturale, ossia il recente deterioramento del cosiddetto “investment climate”. Non è forse un caso, ad esempio, che il declino degli investimenti abbia coinciso con l’aumento della corruzione.

Invertire questa tendenza è uno dei compiti più importanti e urgenti delle autorità politiche. Il ruolo degli investitori stranieri è cruciale per lo sviluppo del Kosovo, e non solo per via dei capitali che essi possono far affluire. Questi tipicamente portano saperi e tecnologie avanzati, modelli più efficaci e canali già sperimentati per accedere ai mercati d’esportazione, e possono anche formare, nei confronti delle autorità politiche, una comunità d’interessi determinata nel richiedere politiche economiche lungimiranti, migliori servizi dalla pubblica amministrazione e maggiore trasparenza.

Recentemente abbiamo visto un segnale positivo: a Dicembre una società quotata greca ha acquistato un cementificio con un investimento, ripartito su diversi anni, di quasi 90 milioni di Euro, che il è più grande investimento realizzato in Kosovo nel settore industriale dal termine del programma d’industrializzazione della Jugoslavia socialista.

Molta attenzione viene dedicata dai media a corruzione e inefficienza dell’amministrazione in Kosovo. Come si concretizzano tali fenomeni?

La corruzione è molto diffusa in Kosovo, per quanto sia difficile misurarla con precisione, ed ha effetti non trascurabili sulle prospettive di crescita dell’economia. Essa è agevolata dalla complicazione delle procedure amministrative e non è adeguatamente contrastata dalle autorità. Anzi, un recente studio empirico sostiene che la sua diffusione sia aumentata negli ultimi tre anni: nel 2009 il numero degli imprenditori che citavano la corruzione come un ostacolo alla loro attività è cresciuto del 46%. Il settore degli appalti, terreno d’elezione della corruzione amministrativa, neoffre un’indiretta conferma, poiché tra il 2008 e il 2009 il valore complessivo degli appalti concessi a trattativa privata (dove la corruzione è più facile) è più che triplicato. E siccome il volume complessivo della spesa pubblica eseguita mediante appalti è ora ben superiore a un quinto del PIL, il costo della corruzione probabilmente incide sui conti pubblici in misura non trascurabile.

L’inefficienza dell’amministrazione pubblica è un fenomeno altrettanto dannoso. Oltre che negli appalti pubblici, essa si manifesta nell’amministrazione della giustizia: lenta (420 giorni in media per l’esecuzione forzata di un credito), costosa, di scadente qualità ed essa stessa vulnerabile alla corruzione, è forse la peggiore della regione balcanica. E infatti l’amministrazione della giustizia è l’istituzione nella quale i cittadini hanno meno fiducia (15%, il livello più basso da quando questi dati sono raccolti), e il 48% della popolazione ritiene che nei tribunali regni la corruzione. Come in molti altri paesi in via di sviluppo, ciò rappresenta un altro serio e perdurante ostacolo allo sviluppo economico.

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