Istruzione: una, nessuna, centomila

Tra i tanti problemi irrisolti, in Kosovo, c’è quello di un’istruzione di qualità ed accessibile a tutti, a prescindere da appartenenza etnica, genere, disabilità e possibilità economiche. Il governo tenta di correre ai ripari con una serie di piani a medio termine. La domanda è: sono realistici?

04/12/2007, Saša Stefanović - Pristina

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OSCE - Un bambino Rom in una scuola in Kossovo

In futuro, hanno promesso tutti i partiti politici kosovari durante la recente campagna elettorale, il Kosovo avrà uno status definito e diverrà una società moderna con standard di vita europei. Ma prima di arrivare così lontano, il governo del Kosovo dovrà lavorare parecchio, insieme ad i suoi cittadini, per risolvere numerose questioni che continuano a tenerlo molto indietro nello sviluppo. L’istruzione è sicuramente una delle priorità, anche se in questo momento non riceve tutta l’attenzione necessaria, visto che ci sono "questioni molto più importanti", e quindi, a quanto pare, dovrà ancora aspettare.

Al momento non ci sono dati sull’istruzione pre-elementare; come numero di bambini che frequentano gli asili pubblici e privati. Quello che invece si sa è che per mandare un bambino all’asilo bisogna pagare 50 euro al mese in un asilo pubblico, e tra gli 80 e i 100 euro in uno privato. In molti casi, però, le famiglie sono costrette a prendere una baby-sitter per 150 euro al mese, visto che i posti negli stessi asili sono molti meno di quelli necessari. A Decan/Decani, nonostante anni di proteste e di iniziative pubbliche, l’asilo pubblico è del tutto assente, così che i genitori devono organizzarsi alla meglio per poter affidare i propri figli. Considerando che un salario medio in Kosovo si aggira intorno ai 200 euro, è chiaro che l’istruzione per l’infanzia è un lusso che in pochi possono permettersi.

Le cose non sono più facili nemmeno per i bambini ed i ragazzi più grandi. Guerra, crescita della popolazione e forte urbanizzazione hanno avuto un enorme impatto sul sistema educativo. Su circa 1200 scuole attive in Kosovo, ben 71 operano ancora su due turni, mentre quattro scuole sono costrette ad effettuarne addirittura tre. Questo rende il lavoro di insegnanti e studenti estremamente difficile. Per non menzionare i locali spesso inadeguati, la mancanza di riscaldamento e le lunghe distanze che gli studenti devono spesso percorrere per recarsi a scuola. Inoltre, il Kosovo deve affrontare un altro serio problema: il forte abbandono scolastico nelle scuole superiori, soprattutto per quanto riguarda le ragazze. La povera economia rurale della regione non permette alle famiglie di poter mandare le proprie figlie nelle città vicine per poter proseguire gli studi.

In Kosovo, gli studenti albanesi, bosniaci, croati, rom, ashkali ed egiziani seguono le lezioni all’interno della cornice del sistema educativo kosovaro. Quelli serbi, invece, vanno in scuole legate al sistema educativo che segue il curriculum della Repubblica di Serbia. Non ci sono vere scuole multietniche albanesi-serbe, ed i ragazzi di queste comunità non studiano insieme né si incontrano a ricreazione. Ci sono al massimo scuole utilizzate in differenti turni da ragazzi albanesi e serbi, in municipalità più aperte ad una certa cooperazione inter-etnica, ma niente di più.

Gli studenti serbi, poi, non possono iscriversi all’Università del Kosovo nemmeno se lo volessero, visto che i curricula sono diversi, e quello serbo ancora aspetta di essere riformato a livello dell’istruzione primaria. Per dare un’idea, l’Università di Pristina, nel suo primo anno di attività dopo la guerra aveva 6253 studenti albanesi, 118 bosniaci, uno studente turco. I ragazzi serbi studiano in un’altra Università di Pristina, quella che, dopo il conflitto, è stata costretta a trasferirsi nella parte nord di Mitrovica. Si può facilmente capire quanto sia difficile studiare in quest’università per gli studenti che vengono dalle varie enclaves serbe del Kosovo guardando i minibus che arrivano in città la mattina presto e che ripartono prima che scenda la sera. Dopo la guerra, molti dei giovani che studiavano all’Università di Pristina sono divenuti IDP (Internally Displaced Persons) in Serbia e Montenegro, e sono costretti a viaggiare per chilometri per arrivare alle proprie facoltà. La situazione è difficile anche per chi ha deciso di vivere a Mitrovica, e che deve viaggiare molto per vedere la propria famiglia, spesso rifugiata lontano dal Kosovo.

Anche se secondo i dati del ministero dell’Istruzione e della Scienza oggi in Kosovo esistono un’università pubblica, 15 facoltà e sette suole speciali, oggi solo il 13% della popolazione kosovara tra i 25 e i 64 anni ha un diploma universitario, il 18% degli uomini e solo l’8% delle donne. Al momento attuale, il tasso di iscrizione all’università è di appena il 10-12%. Inoltre, negli ultimi anni una decina di università private sono spuntate come funghi. I costi sono però molto alti, e non sono molti gli studenti a poterselo permettere.

Con l’intenzione di affrontare la scottante questione, il ministero dell’Istruzione e della Scienza ha elaborato una "Strategia per l’istruzione pre-universitaria 2007-2017", insieme ad una "Strategia per lo Sviluppo dell’Istruzione Superiore in Kosovo 2005-2015", con l’obiettivo di fornire istruzione di qualità a tutti gli studenti e a tutti i livelli di istruzione, che significa costruzione di nuove scuole, modernizzazione degli attuali curricula, miglioramenti nella gestione delle sistema educativo e dell’insegnamento, garantendo la presenza competitiva del settore privato a tutti i livelli di istruzione. I piani prevedono inoltre l’accesso all’istruzione per tutte le comunità etniche, per le donne e i gruppi svantaggiati, oltre allo sviluppo di un sistema universitario competitivo orientato alle necessità occupazionali e di mercato.

Ma quanti soldi servono per centrare questi obiettivi? Gli economisti dicono che, solo nel periodo 2008-2010 saranno necessari 123 milioni di euro!

Nella visione del ministero, gli obiettivi di un Kosovo democratico, integrato nel sistema educativo europeo, con preparazione culturale e ricerca scientifica a giocare un ruolo di primaria importanza nel raggiungimento di uno sviluppo culturale, sociale ed economico duraturo dovrebbe divenire realtà intorno al 2015. La domanda è: sette anni per raggiungere questi obiettivi nel campo dell’istruzione sono una prospettiva realistica? Sul mercato del lavoro della regione, e dell’Europa nel suo complesso, un diploma kosovaro, nel 2015, avrà davvero valore, oppure sarà solo un pezzo di carta?

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