Kosovo | | Unione europea
Critiche sulla transizione
L’Onu ancora a lungo in Kosovo? Eulex poteva essere implementata all’interno dell’Unmik? L’Ue spende senza risultati concreti? Il portoghese Raul Cunha, militare di massimo grado nella struttura Unmik, non risparmia le critiche verso la transizione gestita dall’Ue
Il generale di brigata Raul Cunha, portoghese, classe 1952, da tre anni è Chief Military Liaison Officer dell’Unmik e consigliere militare del capo-missione Joachim Rücker. Dal 1991 ha operato in diversi conflitti nella regione balcanica. Oggi, militare di grado più alto all’interno della struttura dell’Unmik, Cunha non risparmia critiche verso "l’incoerenza della comunità internazionale occidentale". In questa intervista per l’Osservatorio sui Balcani, il generale di divisione parla del suo scetticismo sulle modalità con cui la missione europea Eulex si prepara ad essere implementata, e della sua convinzione che il processo di transizione andava sviluppato in modo diverso. Secondo Cunha, l’Onu dovrebbe rimanere ancora in Kosovo, in quanto unica autorità riconosciuta come legittima, almeno nelle aree popolate dai serbi.
Recentemente il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt ha dichiarato: "L’Onu dovrà rimanere in Kosovo come struttura ‘cuscinetto’ tra le nazioni che ne riconoscono l’indipendenza e quelle che si rifiutano di farlo". Cosa pensa al riguardo?
Io non parlerei tanto del ruolo di "cuscinetto", quanto del fatto che l’Unmik è l’unica autorità riconosciuta dalla minoranza serba, almeno nelle aree in cui questa minoranza detiene quasi in toto il potere esecutivo, di quelle municipalità, cioè, rette da un amministratore serbo che non riconosce l’autorità di Pristina.
In queste aree, l’Unmik deve funzionare come cornice legale all’investitura di questi amministratori, e provvedere al controllo delle loro attività. Senza l’Unmik, questi diverrebbero di fatto i presidenti di piccoli territori autonomi all’interno del Kosovo, cosa che a me sembra illogica. Credo, quindi, che Bildt abbia probabilmente ragione.
L’Onu potrebbe dover restare, almeno in alcune parti del territorio kosovaro, fino a quando la transizione verrà accettata dai serbi, cosa che a me pare piuttosto improbabile se non impossibile, oppure l’Eldorado promesso dall’Unione Europea non diverrà una realtà. Solo allora, forse, la comunità serba potrebbe finalmente accettare la presenza dell’Ue. Ma per realizzare questo Eldorado, se mai sarà realizzato, ci vorrà parecchio tempo.
La situazione sul campo è tutt’altro che rosea, e credo che noi, la "comunità internazionale occidentale", abbiamo molte cose da rimproverarci. Credo che in Kosovo si sia investito nel peggior modo possibile, senza troppa attenzione ai soldi spesi. Se guardiamo alle cifre, salta agli occhi il fatto che l’80% delle risorse sono state investite in consulenze e capacity building, senza conseguire alcun risultato tangibile.
Quei soldi sono stati spesi male. Se li avessimo usati per costruire una centrale elettrica, scuole e buone università, forse avremmo potuto gettare le basi per una struttura produttiva funzionante.
Il settore (pillar) della ricostruzione e dello sviluppo economico all’interno dell’Unmik è sempre stato responsabilità degli europei, ed è inutile nascondersi che oggi in Kosovo non esiste alcuna struttura produttiva.
Cosa ha fatto in tutti questi anni l’Unione Europea in questo settore, se non privatizzare alcune aziende e metterle nelle mani di persone dal curriculum non sempre limpido? Nulla! L’Ue ha speso in tutto in Kosovo quattro miliardi di euro. Di questi, come dicevo, l’80% è stato speso in consulenze e capacity building: questo significa che 3,2 miliardi sono tornati direttamente da dove erano venuti.
O meglio, nelle tasche di due o tre paesi. E’ l’Ue nel suo complesso a pagare il conto, ma sono solo due o tre i paesi europei che traggono profitto dal Kosovo. Fare in modo che le cose restino così, quindi, forse è nei loro interessi.
Non si può nascondere, poi, che all’interno dell’Unmik ci siano molti comportamenti scorretti. Quando si parla di corruzione in grande stile, credo che i casi più gravi accadano proprio nel settore economico, responsabilità dell’Ue.
Tornando alla transizione Unmik-Eulex, crede che la comunità serba possa mai accettare la presenza della missione Ue in Kosovo?
Credo che sarà molto difficile. Non so perché, ma tutti erano convinti che, la "carota" dell’Ue avrebbe convinto i serbi ad accettare qualsiasi cosa, anche a rinunciare al Kosovo. Solo questa convinzione può aver portato all’ottimismo esagerato che ora si dimostra infondato.
Ci vorranno molto tempo e molti risultati concreti dell’Ue sul campo per convincere i serbi ad accettare l’autorità europea. Forse saranno necessari anni, e forse non avverrà mai. O meglio, la presenza dell’Ue potrebbe essergli imposta in qualche modo con la forza.
Tempo addietro, il comandante della Kfor ha fatto una dichiarazione bollata come politically incorrect, e cioè che la questione kosovara sarà risolta solo dal fattore biologico. Forse intendeva dire che la maggior parte dei serbi rimasti a vivere in Kosovo sono anziani, e che la loro morte porterà alla scomparsa della questione posta dalla presenza della minoranza serba in Kosovo.
Chi lavora sul campo sa che il concetto di un Kosovo multietnico è bello sulla carta, ed in teoria rimane auspicabile, ma quello che accade oggi, con due gruppi etnici che vivono uno accanto all’altro, totalmente separati, non ha nulla a che fare con quel modello.
Recentemente lei ha affermato che Eulex avrebbe potuto essere integrata all’interno della struttura dell’Unmik, come responsabile del settore polizia e giustizia. Ne è ancora convinto?
Sì. Quando è divenuto chiaro che non ci sarebbe stato un accordo nel Consiglio di Sicurezza, né una nuova risoluzione, e che quindi la 1244 sarebbe rimasta in vigore, una delle strade per implementare l’Eulex poteva essere quella di realizzarla come struttura responsabile della polizia e della giustizia, che già esiste nell’Unmik. In fondo Eulex è proprio questo: polizia e giustizia. La figura che non avrebbe potuto essere integrata nell’Unmik è invece quella dell’International Civilian Representative (ICR) europeo. L’unico modo per risolvere questo ostacolo sarebbe stato quello di concentrare sulla stessa persona il ruolo di ICR e quello di Special Representative of the Secretary General (SRSG) dell’Unmik.
Ma questo non avrebbe rappresentato, di fatto, una formula per introdurre dalla porta di servizio il piano Ahtisaari all’interno delle strutture già esistenti dell’Onu in Kosovo?
Se non altro sarebbe stata una soluzione più rispettosa della legalità internazionale. Guardiamo ai fatti, l’SRSG è un europeo, e lo è sempre stato. Al tempo stesso una parte consistente dei dipendenti dell’Unmik è formata da europei.
Sicuramente, una delle conseguenze del processo attualmente in atto è il discredito e la debolezza del ruolo dell’Onu. Il discredito del Consiglio di Sicurezza e del Segretario Generale accumulato sulla questione kosovara, si rifletterà sull’Onu su scala globale.
Javier Solana insiste nell’affermare che stiamo creando stabilità nei Balcani. Io non polemizzo sull’indipendenza del Kosovo, ma la modalità con cui questo processo è stato pilotato non va nella direzione della stabilità, ma in quella opposta.
Quando diciamo che il Kosovo è un caso unico e che non rappresenta un precedente, sappiamo di mentire, o almeno di essere ipocriti. E’ lapalissiano affermare che non ci siano due casi identici, e che ogni caso sia unico in sé, ma tutti hanno un elemento in comune: la volontà di un gruppo di separarsi da un altro e di creare uno stato indipendente. Questo elemento è identico in tutti i casi a cui facciamo riferimento.