Venezia, cercando Creta, seconda parte

Continuiamo nel nostro reportage "Lettere da Creta". Siamo ancora a Venezia tra fondamenta e strette calli, tra preziosi dipinti e antiche gesta, ad assaporare una storia di altri tempi, in lento e meticoloso avvicinamento alla grande isola del Mediterraneo

30/06/2022, Fabio Fiori -

Venezia-cercando-Creta-seconda-parte

Mappa indicante il Regno di Creta - Wikimedia Commons

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Esco dall’Accademia con gli occhi pieni di remi e di vele, con la testa piena di porti e isole. Mi viene una gran voglia di mare e così vado verso Punta della Dogana che è per me la prua della città, pronta a salpare verso Oriente. Lì per altro da qualche anno, sulla riva del canal Grande, è ormeggiato il Nuovo Trionfo, trabaccolo costruito nel 1927 a Cattolica, un simbolo dell’ultima, gloriosa età della vela adriatica. Trabaccoli con cui nei decenni successivi alla caduta della Serenissima si è continuato a svolgere quel cabotaggio costiero indispensabile alle economie adriatiche, con relazioni importanti anche con la Grecia continentale e le sue isole. Sui trabaccoli hanno navigato a vela i nostri nonni; sui trabaccoli continua a navigare la mia fantasia, s’al vele in corne, cioè con le vele aperte al vento in poppa, con Maestrale portante facendo rotta su Candia.

Ma prima di arrivare per fondamenta e strette calli a Punta della Dogana, mi fermo ad ascoltare un musicista di strada seduto e intabarrato come antico viandante a Campiello Barbano. Suona musica barocca con un liuto a collo lungo, anzi lunghissimo perché modificato con testa di moro che porta altre sei corde. Sarà idealmente un ponte sonoro con tutta la grande famiglia degli strumenti a corde dell’Oriente mediterraneo, che conoscerò e ascolterò durante il viaggio.

Trabaccolo, Canal Grande, Venezia (foto F. Fiori)

Trabaccolo, Canal Grande, Venezia (foto F. Fiori)

Vento, vento, c’è ancora tanto vento quando esco da Calle de l’Abazia ed entro in Campo della Salute. È un Maestrale gelido che rinforza e accende i colori del tramonto. I panneggi della Basilica in restauro fileggiano come vele che chiedono di essere cazzate per farle prendere il largo. Entro da una porta laterale, anche per cercare un po’ di tepore. La Basilica disegnata da Baldassare Longhena ha un interno vasto coperto da una imponente cupola. Nelle sei cappelle laterali ci sono grandi tele di Tiziano, Tintoretto, Giordano e Liberi. Ma la vera, indimenticabile scoperta è per me la piccola, potente icona della Mesopanditissa, conservata sopra all’altare maggiore. Venerata Madonna Nera con Bambino, portata a Venezia da Candia nel 1669.

Se la Basilica è un maestoso ex-voto pronunciato il 22 ottobre 1630 dalla Serenissima al cospetto della Vergine per celebrare la salvezza dal contagio della peste che aveva martoriato la città, la Mesopanditissa è un piccolo ma commovente ex-voto imbarcato il 29 settembre 1669 dai veneziani in fuga da Candia, ultima roccaforte cretese. Vergine odegitria, che deriva dal greco “indicare il cammino, la via”, Vergine mesopanditissa, cioè “mediatrice di pace”. La pace che secondo la leggenda nel 1264 i cretesi avevano sancito con gli occupanti veneziani, una pace che è per questi ultimi una resa ai turchi. Così la Mesopanditissa venne caricata su una bastarda generalizia e portata a Venezia da Francesco Morosini, capitano generale da mar poi doge, che trattò con i turchi la capitolazione e l’abbandono onorevole di Candia. L’Assedio di Candia, da parte del turco fu uno dei più lunghi e tragici accadimenti guerreschi del Seicento. Turchi che sbarcarono a Creta nel 1645 e dopo quattro anni diedero l’assalto alla capitale. Per vent’anni la città fu difesa eroicamente, fino a quando capitolò nel 1669. Decine di migliaia di morti su entrambi i fronti per arrivare alla Pace di Candia del 1671, con la quale la frontiera orientale veneta retrocesse sull’Adriatico. Malgrado tutto ciò le gesta e la gloria di Francesco Morosini, detto il Peloponnesiaco, lo imposero come uno dei più importanti uomini della Serenissima, tanto da vedersi dedicato un bronzo quando era ancora in vita. La sua fama a Candia è grande ancora ai giorni nostri, grazie anche all’omonima fontana al centro della città vecchia. Un monumento acqueo che vale di più di qualsiasi fortezza, acqua più preziosa di qualsiasi ricchezza.

Prima di uscire dalla basilica, faccio una piccola offerta e prendo una cartolina che diventerà per me una icona laica di buon augurio che mi accompagnerà nel mio vagabondaggio cretese, il segnalibro della mia unica guida, l’Odissea di Nikos Kazantzakis. Esco che il sole è tramontato già da un po’ e, dopo essere andato a riempire i polmoni di aria salsa a Punta della Dogana, m’incammino velocemente verso la stazione per non perdere l’ultimo treno. Trovo comunque il tempo per fare una breve sosta al campiello Ai Incurabili, dove seduto su un gradino di quella che era forse una porta di servizio dell’omonimo ospedale, al cospetto di una sottilissima falce di luna crescente, rileggo qualche pagina di Iosif Brodskij dedicata a Venezia, “un opera d’arte, il capolavoro più grande che la nostra specie abbia prodotto”.

 

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Sono tante le guide letterarie di Venezia. Personalmente più di ogni altra preferisco quella scritta da un poeta, da uno straniero, da un esule: Iosif Brodskij. “Fondamenta degli Incurabili” è stato pubblicato nel 1989 e raccoglie pagine di diari e appunti scritti a e per Venezia a partire dal 1972. Una guida che rileggo quasi tutte le volte che torno a Venezia e che in questa occasione mi ha rivelato anche due piccole, ma significative relazioni con Creta. Brodskij che come un Minotauro viene pericolosamente baciato dalla sua Arianna, al suo primo arrivo a Venezia. E “i vagabondaggi per le vie di questa città – che per quasi tre secoli ebbe nell’isola di Creta la sua colonia più vasta – [hanno] un sapore tautologico, specialmente quando la luce si attenua, cioè quando vengono meno le sue proprietà pasifaiche, arianniche e fedriche. In altre parole, specialmente la sera, quando uno si abbandona a riflessioni poco consolanti su se stesso”.

ps#2

Per chi come me nutre una irrefrenabile passione per le mappe e nello specifico per quelle di Creta, imperdibile è l’allestimento della mostra ancora visibile al Museo Correr: Francesco Morosini: ultimo eroe della Serenissima tra storia e mito. Inaugurata nel giugno 2019, a 400 anni dalla nascita di Francesco Morosini “il Peloponnesiaco” (1619-1694), oltre ad essere un approfondito excursus sulla vita e le avventure di questo straordinario, nel bene e nel male, capitano generale da mar e doge, offre anche la possibilità di vedere carte e documenti d’epoca, molto interessanti e bellissimi. Su tutte si impone per dimensioni, colori e forza narrativa il “codice membranaceo con coperta in cuoio”: Regno di Candia. Realizzato nel 1618 da Francesco Basilicata, militare e cartografo della Serenissima che esplorò e rappresentò l’isola con precisione e grande abilità artistica.

ps#3

Ma insuperabile fonte di conoscenza sull’isola di Creta, anche per un viaggio alla maniera di Xavier de Maistre, è la Biblioteca Marciana che conserva preziosissime carte, libri e manoscritti, tra cui Liber Insularum Archipelagi, scritto nel 1422 da Cristoforo Buodelmonti, autore anche di Descriptio Insulae Cretae, di qualche anno precedente.

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