Le storie di guerra di Aleksandar Zograf

Pubblichiamo la prefazione al volume “Il quaderno di Radoslav e altre storie della Seconda guerra mondiale” di Aleksandar Zograf, edito dalla casa editrice 001 di Torino, dallo scorso novembre disponibile in libreria

21/01/2022, Marco Abram -

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“Il quaderno di Radoslav e altre storie della Seconda guerra mondiale” di Aleksandar Zograf

Era il 1999 quando il nome di Aleksandar Zograf, pseudonimo di Saša Rakezić, divenne noto al grande pubblico italiano con le sue email, le sue storie e le sue Lettere dalla Serbia. Zograf era già conosciuto come fumettista in Europa e negli Stati Uniti. In Italia aveva ricevuto un premio al Lucca Comics, ma furono quei lavori a sancirne la popolarità. Le sue pagine risposero al bisogno di rintracciare voci dissonanti tra quelle che arrivavano dall’ennesimo capitolo della dissoluzione jugoslava. Conflitti che tanto avevano colpito l’opinione pubblica e che vedevano in quel momento l’Italia direttamente coinvolta, in supporto alle operazioni della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia, nel corso della guerra del Kosovo. Zograf raccontava con grande profondità l’attualità e le vicende di un paese che – per via del proprio ruolo nei conflitti degli anni Novanta – aveva subito una forte stigmatizzazione, contribuendo a farne scoprire la complessità e le contraddizioni.

Consolidandosi come narratore di storie dense ed eclettiche, Zograf ha continuato a pubblicare in Italia, divenendo ospite fisso di Internazionale e Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. Con questa raccolta ritorna a parlarci di una guerra. Ma si tratta questa volta del drugi rat, dell’altra guerra o della seconda guerra, ovvero il Secondo conflitto mondiale, come evoca il titolo originale con un gioco di parole dalla traduzione impossibile. È un conflitto che Zograf non ha vissuto in prima persona come quello degli anni Novanta, ma verso il quale è tornato con grande assiduità, come dimostrato da questa raccolta di tavole realizzate nell’arco di più di un quindicennio. È «La Guerra»: sempre più lontana nel tempo ma sempre presente nelle nostre memorie, in Serbia, nel Sud Est Europa e nel resto del continente. Una guerra che ancora oggi viene studiata con interesse, che è al contempo inesauribile fonte di riflessione e set tra i più fortunati per l’industria dell’intrattenimento. Inoltre, a settantacinque anni dalla sua fine, è un passato che non smette di essere materia di confronto politico.

Il quaderno di Radoslav e altre storie della Seconda guerra mondiale

Autore: Aleksandar Zograf
Curatela: Eugenio Berra, Alessio Trabacchini, Confluenze. Nel sud-est Europa con lentezza
Traduttore: Ivana Telebak, Luca Zanoni, Andrea Plazzi
Prefazione: Marco Abram
Editore: 001 Edizioni
Anno edizione: 2021

La Seconda guerra mondiale ha rappresentato un momento storico di importanza cruciale e di profondi stravolgimenti per la penisola balcanica. La prima Jugoslavia, creata dopo la Grande Guerra come Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e guidata dalla dinastia dei Karađorđević, venne attaccata dalle forze dell’Asse nell’aprile del 1941, fu sconfitta e rapidamente occupata. Il suo territorio venne in parte annesso ai paesi vincitori, in parte suddiviso in stati collaborazionisti. La Serbia, considerata il centro del potere della prima Jugoslavia, venne sottoposta a un duro regime di occupazione da parte dell’esercito di Hitler, volto a mantenerne il controllo e a sfruttarne le risorse a disposizione. Si instaurò un regime collaborazionista guidato dal generale Milan Nedić, mentre gruppi locali di ispirazione fascista, come quelli guidati da Dimitrije Ljotić, affiancavano le truppe della Wermacht. La Serbia, come il resto dei territori jugoslavi, venne attraversata dai solchi più profondi della Seconda guerra mondiale. Fu, ad esempio, uno dei primi territori in Europa a essere proclamato dai gerarchi nazisti locali Judenfrei, “liberato” dalla presenza ebraica. Al contempo fu teatro di alcuni tra i primi successi della resistenza contro il nazifascismo in Europa. Nella Serbia occidentale, a Užice, si istituì nel 1941 una delle prime repubbliche indipendenti all’interno dei territori occupati dalle forze dell’Asse. Era controllata dai partigiani, guidati dal Partito Comunista della Jugoslavia di Josip Broz, conosciuto come Tito, che sarebbe diventato il leader della nuova Jugoslavia socialista dopo la guerra. Negli stessi mesi in Serbia si consolidavano altre formazioni militari dal destino più controverso. I cetnici, che riconoscevano la propria guida in Draža Mihailović, rappresentano indubbiamente le milizie di ispirazione monarchica e nazionalista più note. Dopo una prima fase in cui si presentarono come movimento di resistenza passarono ad un atteggiamento di collaborazione con l’occupante in chiave anti-comunista. Se molti momenti decisivi dei tanti conflitti sovrapposti che presero piede nei territori jugoslavi occupati si verificarono lontano dalla Serbia – come le diverse battaglie combattute in Bosnia Erzegovina – la liberazione di Belgrado da parte delle forze partigiane e dell’Armata Rossa nell’ottobre del 1944 riportarono l’attenzione sulla vecchia capitale, dove si cominciarono a consolidare le strutture del nuovo stato.

Quella guerra – rinominata ufficialmente Lotta popolare di liberazione – divenne il principale pilastro della memoria pubblica nella Jugoslavia socialista. I partigiani erano celebrati come eroi e la resistenza fu raccontata come una grande epopea in libri, film, spettacoli. Non si trattava di una memoria del tutto pietrificata, vi furono evoluzioni nel rapporto con quel passato, ma determinati parametri ideologici rimasero indiscutibili e molti oblii obbligati. Ciò che è accaduto a partire dagli anni Novanta, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, è stato invece in diversi casi un ribaltamento interpretativo. In Serbia, negli ultimi due decenni, si sono registrati prima la riabilitazione del movimento cetnico – che è stato equiparato a quello partigiano come movimento serbo antifascista – quindi il tentativo di riabilitare anche il governo collaborazionista e la figura di Milan Nedić.

Il quaderno di Radoslav, raccogliendo testi in buona parte inediti, ci accompagna nella versione di Zograf di questa guerra. Si tratta di un conflitto con cui la generazione a cui appartiene l’autore ha avuto un rapporto complesso: cresciuta nella sua mitologia in gioventù, ha assistito alla sua revisione nazionalista in età matura. Oggi, spesso cerca di reinterpretarla in modo coerente con i propri valori, non di rado, recuperando anche il proprio vissuto familiare. La storia di nonno Petar, ricostruita da Zograf in maniera così attenta e precisa, ci accompagna in una dimensione personale e umana del conflitto che si incunea tra più piani. Ricapitola il più ampio universo della raccolta, elaborandone alcuni temi e richiamandone altri. È una riscoperta che in molti casi passa attraverso un necessario ritorno alle fonti originali. Zograf dimostra una passione filologica per la documentazione recuperata nei modi più diversi: tra vecchi giornali e fotografie, taccuini di personaggi sconosciuti, documenti d’archivio, racconti orali. Ma non si tratta di un approccio da antiquario, Zograf non si limita ad un’edizione di fonti, fa parlare i documenti, seleziona i passaggi con grande attenzione all’intreccio tra il politico e l’umano, offrendo l’apparato critico attraverso la sua matita e i suoi disegni.

Come immediatamente esplicitato dalla storia che presta il nome all’edizione italiana, le tavole di Zograf ci conducono attraverso alcune delle tappe fondamentali della guerra: dal bombardamento di Belgrado con cui il 6 aprile l’aviazione tedesca lanciò l’invasione della Jugoslavia, fino alla liberazione e alle sue conseguenze in Serbia e in Europa. Non è certo la guerra riscritta dalle istituzioni serbe negli ultimi anni, ma non rimane nemmeno ancorata alle ortodossie della versione promossa dagli organi del Partito in epoca jugoslava. Zograf ci restituisce una guerra popolata soprattutto di donne e uomini, di vite ordinarie vissute in tempi straordinari. Figure che in diversi casi esprimono lo slancio e gli ideali che nutrirono la resistenza contro l’occupante, ma che lasciano indubbiamente il Partito e il suo ruolo più di un passo indietro. Zograf recupera forme diverse di opposizione diversificate e quasi anonime: la lettera di un ragazzino, gli atti di coraggio di un giovane sconosciuto, episodi in cui «prendere parte» non volle dire soltanto imbracciare il fucile; fino a raccontare personaggi che anche grazie al suo lavoro hanno finalmente ottenuto riconoscimento pubblico: come Hilda Dajč, l’infermiera ebrea consegnatasi volontariamente al campo di concentramento di Staro Sajmište di Belgrado, dove perse la vita.

In generale i personaggi di Zograf sfuggono a incasellamenti troppo rigidi, rivendicando la propria complessità. La storia quando stringe l’obiettivo scombina le categorie, così che nelle vicende raccontate nel libro si trovano anche tedeschi «buoni» e ragazzini «ribelli», civili carnefici e partigiani preoccupati tanto dai pidocchi quanto dai nazisti. Zograf non evita nemmeno alcuni degli aspetti traumatici e più discussi in Serbia della «giustizia rivoluzionaria» imposta dai liberatori a fine conflitto, senza suggerire tuttavia l’equiparazione tra le forze in campo.

Un altro aspetto che tra i tanti emerge come tratto distintivo e l’attenzione alle vicende di coloro che condividono con l’autore la sensibilità per l’espressione artistica e per il linguaggio. Storie che raccontano l’incrocio tra le biografie di scrittori e artisti – conosciuti o anonimi – e un conflitto devastante, del loro rapporto con la repressione più violenta e con la resistenza, ma anche con il potere e con gli strumenti della propaganda utilizzata dalle fazioni in guerra. Ed è difficile scorrendo queste tavole non ritornare a pensare allo Zograf del 1999 e ai suoi dilemmi, tracciando parallelismi tra diversi conflitti e interrogandosi sul ruolo che ciascuno di noi è tenuto a svolgere, quando le discriminazioni, la violenza verbale e fisica arrivano a pervadere la nostra quotidianità.

La guerra raccontata nella raccolta non si limita infine al contesto serbo e si allarga ad una dimensione più ampia. I temi sono quelli trasversali a un conflitto che fu esperienza transnazionale ed europea. Alcune storie si spingono fino in Germania e in Italia, toccano la vita quotidiana lontano dai campi di battaglia, mostrando tuttavia l’impossibilità dell’astrazione dal contesto, sempre intrecciando l’ideologia e la politica responsabili della violenza.

Il consiglio è quello di gustare questa raccolta non come un libro di storia, ma come un libro di storie. Uno strumento per infilare il naso in pagine per noi spesso sconosciute di un conflitto che non si può ridurre alla sua dimensione nazionale o occidentale, ma che va compreso nella sua complessità, specialmente in tempi in cui è riportato sempre più a forza nella dimensione quotidiana del dibattito politico. Zograf ancora una volta offre nuove prospettive su una parte di Europa che spesso sfugge alla nostra attenzione e ci invita a maggiore curiosità e approfondimento, per comprendere non solo la Seconda guerra mondiale, ma anche tutta la nostra storia recente in una prospettiva più ampia e articolata.

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