Isole Tremiti: in kayak da San Nicola a Capraia
"Esco dal ridosso del molo meridionale, e metto la prua a sud est per fare il periplo antiorario di San Nicola. La scogliera è alta e selvaggia. Grandi agavi e fichi d’india sui precipizi evocano antiche figure guerriere". Alla scoperta delle Isole Tremiti, un arcipelago che ci stiamo esplorando grazie agli "Sguardi adriatici" di Fabio Fiori
Finalmente il Maestrale s’acquieta! Dopo tre giorni di tempesta secca e luminosa, oggi pomeriggio il vento sta calando. Rafficava ancora a oltre venti nodi al mattino, mentre già nel primo pomeriggio le ochette erano rare. Schiume bianche, non più vive di vento, ma morte di onde stanche che s’incrociavano.
Adesso il vento è una brezza incerta da nord. Decido quindi di varare alla Marina di San Nicola, per fare una pagaiata nel sottovento meridionale. Pomeriggio feriale, acque tranquille e deserte. Un incanto, da pagaiare; un incanto per centauri acquatici, con un corpo per metà umano e per metà kayaico.
Kayak meraviglioso palindromo, incredibile perfezione, insuperabile semplicità. Ma anche arcaica armonia, orginaria delle latitudini polari, diffusasi e rinnovatasi in tutte le acque del globo. Ieri, indispensabile mezzo di trasporto e di caccia degli Inuit. Oggi, perfetto mezzo di scoperta e di relazione per chi vuole vivere a pelo d’acqua, in silenziosa e armonica comunione con l’ambiente marino, fluviale o lacustre. Il kayak diventa comune e ludico in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, di pari passo con il diffondersi delle attività sportive e del viaggio popolare. Un pioniere fu John MacGregor, noto con il soprannome di Rob Roy che divenne poi il nome di un piccolo kayak a vela con cui fece lunghi viaggi, raccontati in un libro di successo: A Thousand Miles in the Rob Roy Canoe. Qualche anno dopo anche il più noto scrittore scozzese Robert Louis Stevenson viaggiò con lo stesso tipo di kayak a vela per canali e fiumi, tra il Belgio e la Francia. Non ci sarebbe stata “Isola del tesoro se non fossero nati prima tutti quei libri di viaggi intorno al mondo, fino alle Isole Samoa dove trovò la morte, primo dei quali è il presente: Viaggio in canoa sui fiumi del Belgio e della Francia”, ha scritto Goffredo Parise. Quindi, sintetizzando, possiamo dire che il racconto delle mirabolanti avventure di Jim Hawkins sul veliero Walrus sono anche il frutto delle semplici, appassionati disavventure di Stevenson a bordo del suo piccolo kayak Aretusa.
Il mio è plastico e arancione, lungo poco più di tre metri e di forme piene, perciò l’ho battezzato Ondina, anche per ingraziarmi le dee capricciose del mare. Un mare grande e temibile, affascinante e divino, tutte le volte che lo si affronta da soli, a remi, su una piccolissima barca.
Esco dal ridosso del molo meridionale, e metto la prua a sud est per fare il periplo antiorario di San Nicola. La scogliera è alta e selvaggia. Grandi agavi e fichi d’india sui precipizi evocano antiche figure guerriere. Sull’orizzonte meridionale, nel controluce, il Gargano è un gigante ombroso. Dopo pochi minuti di fronte a me si apre uno dei luoghi più affascinanti dell’isola: l’antro di Diomede, più noto come Grotta del Teschio. Vista da qui, nell’ancestrale silenzio che regala la solitudine dell’acqua, la ribattezzo la Grotta dell’Elmo, quello di Diomede e di tutti i suoi marinai che portarono la cultura greca in Adriatico. Ci entro dentro, con un misto di reverenza sprirituale e curiosità fanciullesca. Un mondo insieme ctonio e nettunio, regno d’ombre e di rumori, di terra e d’acqua. Lì il tempo perde il primato sullo spazio. Chiudo gli occhi, musiche e suoni m’attraversano regalandomi effimere eternità.
Esco, metto la prua a nordest e pagaio lentamente su un mare quieto in superficie, in un saliscendi memore della trascorsa, lunga maestralata. Poco più di un miglio, due chilometri di scogliera praticamente inaccessibile. In alto le mura e l’abazzia-fortezza, appaiono in tutta la loro originaria forza. A Punta del Cimitero, estremità settentrionale, constato che il Maestrale è bonacciato e che il mare lungo è affrontabile anche dalla mia Ondina. Avanzo comunque ancor più lentamente in un saliscendi che mi ricorda le parole del grande poeta russo Iosif Brodskij: “Viaggiare sull’acqua, anche per brevi distanze, ha sempre qualcosa di primordiale”.
Doppiata la punta appare in tutta la sua selvaggia bellezza l’isola di Capraia. Da qui l’immagine è ancor più romantica, nell’accezione ottocentesca, perché ho la prua in direzione nord, esattamente sulle rovine del faro. In questi primissimi giorni di giugno l’isola, disabitata completamente dall’uomo da diversi decenni, è il regno incotrastato dei gabbiani reali. Centinaia di migliaia di gabbiani urlanti e roteanti, un’invasione praticamente incotrastata che diventa metaforica anche del difficile, spesso conflittuale, rapporto tra e con i viventi. Oggi comunque l’isola è, nel bene e nel male, in mano loro. Qui nidificano ovunque, per ripartire poi ancor più numerosi alla conquista di coste e di terre, ma anche di ambienti urbani a cui hanno saputo perfettamente adattarsi. M’avvicino così un po’ timoroso al loro regno, ospite intruso per una volta di una Natura meravigliosa e matrigna, mentre un gabbiano continua a ruotare sulla mia testa. Dapprima mi sembra urlare versi incomprensibili, poi m’inquieta ancora di più perché capisco il suo grido: “Chi sei? Che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?”.
Sguardi adriatici
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