Isole Tremiti: San Nicola, l’arrivo

San Nicola dal mare appare come una nave di pietra. Fabio Fiori ritorna su quest’isola dopo esserci già stato, più di vent’anni fa, provenendo da Lissa, dove non da molto erano stati fatti esplodere dall’esercito jugoslavo in ritirata i pezzi di artiglieria

13/07/2021, Fabio Fiori -

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L'isola di San Nicola vista dal traghetto - foto di Fabio Fiori

(Vai alla prima puntata di questo viaggio alle isole Tremiti)

“Attenzione prego! Avviso per i signori passeggeri. Causa avverse condizioni meteorologiche, la nave ormeggerà a San Nicola”, gracchiano gli autoparlanti del traghetto Isola di Capraia, in servizio sulla rotta Termoli-San Domino.

“No!!!”, “Non è possibile!”, “Ma come si fa adesso con le auto?”, “Io devo scendere! Ho la macchina stracarica”, commentano spazientiti gli ospiti.

“Ripeto! Causa avverse condizioni meteorologiche, la nave ormeggerà a San Nicola. Grazie”, ribadisce con fare sbrigativo il comandante, sempre attraverso gli autoparlanti rugginosi di bordo.

In Kayak attorno all'isola di San Nicola - foto di Fabio Fiori

In Kayak attorno all’isola di San Nicola – foto di Fabio Fiori

Così è andato il mio ritorno nelle isole care all’eroe acheo, a Diomede che tanto vagò come il compagno d’armi più noto: Odisseo. Il traghetto ha ritardato la partenza di mezz’ora da Termoli, perché il tempo era molto incerto. Poi ha mollato gli ormeggi sotto una fitta pioggerella, cielo grigio e mare plumbeo. Appena fuori dal porto il Maestrale ha preso la scena e il traghetto ha cominciato a rollare.

Un piccolo vascello nel mare in tempesta, malgrado lo scafo in ferro e i potenti motori, che disegnavano una maestosa scia bianca. Effimera comunque, come tutte le scie, fin dalla notte dei tempi. Atmosfere boreali su un Adriatico umorale e bizzarro, anche a fine primavera. Purtroppo questo, come molti dei nuovi traghetti per le isole italiane sono “navi veloci” o aliscafi che non permettono più di godersi all’aria aperta il viaggio per mare, i suoi odori e colori, mentre i suoni purtroppo erano già spariti con la fine dell’età della vela! Non si vive appieno neanche il trepidante avvicinarsi all’isola. Si è costretti a rimanere al chiuso: poltrone d’areo, aria condizionata, televisioni sedative, oggi potenziate da smartphone narcotici. Che nostalgia di quelle panche all’ombra nel sottovento, in cui sedersi a guardare l’orizzonte marino oltre le battagliole verniciate e riverniciate cento volte, testimoni dell’inesausta lotta dei marinai con le ruggini. Poi apparivano le isole o un bambino che felice informava la madre che dall’altra parte della nave c’era terra in vista.

Ma, malgrado tutto, il mare continua a metterci davanti all’imprevisto, magari non quello epico narrato da Melville o Conrad, ma piccoli o grandi contrattempi che impongono cambiamenti di programma, situazioni insolite, insomma gli accidenti del viaggio, quelli che lo rendono sempre originale, degno d’essere vissuto.

Non sempre negativi, anzi in questo caso per me le “avverse condizioni meteorologiche” semplificano il mio arrivo a San Nicola, dove farò base per qualche giorno. Mentre la maggior parte degli ospiti lamenta l’imprevisto e qualcuno maledice il comandante, questo fuori programma imposto dal Maestrale fa sì che io possa sbarcare, con il mio piccolo kayak al seguito, direttamente a San Nicola e non a San Domino, come previsto.

Il traghetto ormeggia così di poppa sul piccolo molo meridionale che protegge la marina di San Nicola, una spiaggetta di ciottoli bianchi, lunga 50 metri, da sempre l’unico approdo dell’isola. Riorganizzato e rafforzato, ma pur sempre fragile. Nella prima metà del Novecento all’arcipelago si arrivava in piroscafo da Manfredonia, porto peschereccio sul versante meridionale del Gargano. Struggente la descrizione che si legge sulla Guida Rossa del Touring, del 1926. All’uscita dal porto lo sguardo si perdeva a ovest sul Tavoliere e i lontani Monti della Daunia e il Vulture, a sudest la costa bassa con le saline di Santa Margherita e le città costiere che precedono Bari, a nordest la spiaggia ricoperta di fichi d’India, ulivi e pini che sale al piede della bastionata del Gargano sulla quale si vedeva la “vecchia carrozzabile” di Monte Sant’Angelo. La descrizione continua puntigliosa, come la vista dal piroscafo permetteva in un viaggio che durava ore. Sfilavano a sinistra grandiosi paesaggi geologici, odorosi scorci botanici, interessanti borghi pescherecci: Mattinata, Vieste, Peschici e Rodi. Poi “il piroscafo lascia la costa garganica” per calare l’ancora dopo più di due ore nei bassifondi tra le isole di san Domino e San Nicola. Gli approdi si fanno con barchette che accostano al piroscafo, si legge sulla guida. Quindi possiamo dirci fortunati comunque, per aver messo piede a terra senza necessità di pericolosi trasbordi! Provo a raccontarlo a una distinta signora che mi chiede ragione di quello che sta accadendo, mentre i marinai sono intenti a tesare le gomene d’ormeggio. Mi guarda perplessa e s’allontana prima che io finisca, con il pretesto di una telefonata in arrivo. Viviamo tempi distratti e frettolosi.

Sono tornato a San Nicola dopo più di vent’anni, quando arrivai a vela in un pallido mattino d’autunno. Si era da pochi mesi conclusa una delle guerre fratricide iugoslave, tra croati e serbi. Anche sulle isole semi deserte l’atmosfera era pesante, i giornali scrivevano di enormi problemi e precarietà della pace, qualche segno del passaggio del fronte visibile. Così a Lissa, dove i pezzi d’artiglieria erano stati fatti esplodere dall’esercito jugoslavo in ritirata. O almeno così ci raccontò un vecchio pastore incontrato sul versante occidentale dell’isola. Lissa non la chiamava più nessuno, era Vis e ovunque sventolavano bandiere croate. Ancor più sconosciuto il nome precedente: Issa, fondamentale scalo greco di cui non trovai testimonianza, se non nella luce riflessa da un Adriatico mediterraneo, nell’ombra leggera di ulivi plurisecolari.

Da Vis le Tremiti sono a sessanta miglia per 210°. Fu una notte di navigazione con un felice Scirocco al traverso e il tranquillizzante lampeggio del faro di Pelagosa, un’altra microisola mitica, esattamente al centro dell’Adriatico. Allora arrivai su queste isole quasi per caso, in un itinerario adriatico costruito dal vento e da voglie marinaresche mutevoli. Rimasi però subito ammaliato dalla grandiosità geologica e architettonica di San Nicola che dal mare appare come una nave di pietra, con la prua rivolta a oriente e l’abazzia/fortezza che s’alza imperiosa sul cassero di poppa. Conoscevo pochissimo la storia dell’arcipelago, ma rimasi stregato dalle sue maestose rovine. Oggi torno invece avendo letto tanto, ma con la stessa curiosità fanciullesca di camminarla per ogni sentiero, di nuotarla e remarla lungo ogni riva.

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