Le vere lesbiche siamo noi
Dall’isola di Lesbo è partita una battaglia finita in tribunale al grido "le uniche vere lesbiche siamo noi, abitanti di quest’isola". Dichiarano di non avere alcun intento omofobico ma solo di protezione del copyright sul nome. Per le attiviste omosessuali greche si tratta invece di un’assurdità
"Precisiamo subito che non abbiamo nulla contro gli omosessuali, maschi e femmine. E neppure contro i matrimoni gay. Tanto meno contro le coppie di turiste che ogni estate migrano, mano nella mano, verso la nostra isola. Siano le benvenute: purché non si approprino del nostro nome". Il nome in questione è "lesbiche", o "lesbie" (in greco "lesvìes"). E l’isola, va da sé, è quella dove è nata 2600 anni fa la poetessa greca Saffo, elevata dalle omosessuali di tutto il mondo a loro patrona.
Siamo a Lesbo, nell’Egeo a pochi chilometri dalla costa turca. Da qui è partita nella primavera di quest’anno una battaglia sfociata in Tribunale al grido di "Le uniche e vere lesbiche siamo noi, abitanti di questa isola. E non sopportiamo più che le gay di tutto il mondo, che non hanno nulla a che fare con la nostra patria, ci abbiano scippato l’appellativo. Al punto che quando andiamo all’estero ci vergogniamo di definirci "lesbians", siamo ridotte a dire "veniamo da Mitilene" il capoluogo".
I paladini di questa crociata non sono solo donne: accanto alle signore Maria Rodou e Kokkoni Kouvalaki, fra i leader di coloro che ora si accingono a sfilare di nuovo davanti alla Corte d’Appello di Atene con i cartelli "If you are not from Lesbos you are not a Lesbian", dopo un primo rigetto della loro istanza dai giudici di primo grado lo scorso luglio, è l’editore Dimitris Lambrou, direttore di una piccola rivista nostalgica del paganesimo e dei fasti della Grecia antica, il mensile "Davlos" (la Torcia). "Aspettiamo che sia fissata la data esatta dell’udienza che vede noi isolani contrapposti all’Olke (Organizzazione che riunisce le omosessuali elleniche ) e tramite loro a tutte le associazioni gay del mondo" spiega Lambrou all’Osservatorio sui Balcani.
"La nostra non è una battaglia omofobica, è una difesa di un diritto umano. Abbiamo ricevuto anche l’appoggio dei due deputati di Lesbo nel Parlamento greco, Leonidas Iannellis e P. Sifunakis, uno del centro destra e l’altro del centro sinistra. Se necessario, andremo fino in fondo: ci rivolgeremo al Tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo".
Una rivolta bipartisan per rivendicare il copyright su un nome: ormai sembra una specialità greca, dopo l’annosa disputa sul toponimo "Macedonia" fra Atene e Skopje.
La questione è spinosa: può l’appellativo "Lesbico, Lesbio" essere "blindato" come il marchio della feta doc? Può essere riservato giuridicamente ai 100mila isolani residenti nella bella isola di Saffo e ai suoi 250mila emigrati in giro per il mondo? Le attiviste omosessuali greche dell’Okke gridano all’assurdità: "Tutto questo è ridicolo, perché il termine lesbiche è usato da millenni per indicare le donne che amano le donne". In realtà, il prestigioso Oxford English dictionary ha incluso questo significato a sfumatura sessuale solo dal 1950.
Naturalmente il nodo è difficile da sciogliere, perché chiunque abbia studiato sui banchi di scuola le poesie di Saffo ne ricorda le infiammate odi alle ragazze del suo tiaso, consacrato ad Afrodite dea dell’amore. Una per tutte? "Sei arrivata: bene hai fatto. Hai rinfrescato la mia anima che bruciava di passione". Versi d’amore rivolti a fanciulle che secondo l’uso antico si preparavano al matrimonio con un uomo imparando a danzare, tessere, cantare e ad amare in una comunità chiusa e tutta femminile, come quella presieduta da Saffo (altre ce n’erano in giro per la Grecia), "sfruttando a fini psicopedagogici l’ambivalenza sessuale tipica dell’adolescenza" sostengono gli studiosi moderni.
La permanenza e poi il distacco dalla comunità e l’accompagnamento nella vita adulta si intravede nelle sue poesie che scandiscono queste fasi come altrettanti riti di passaggio. Tanto che molte sue odi sono "epitalami", o poesie nuziali per celebrare i regolarissimi matrimoni etero delle (ex) allieve. La stessa Saffo era sposata a un uomo e aveva una figlia, Cleide. Del resto nel mondo greco-romano la bisessualità era la norma (ricordate Socrate e Alcibiade nel "Simposio" di Platone?).
Ma lasciamo le questioni filologiche e antropologiche. Torniamo alla moderna isola, e ai suoi abitanti. Complice la crisi economica che ha colpito, inevitabilmente, anche il turismo, negli ultimi anni i lesbici, intesi come isolani, si sono decisi ad accogliere a braccia aperte le visitatrici gay in devoto pellegrinaggio a Eressos, cittadina sulla costa ovest che diede i natali a Saffo verso il 630 a.c.
Già dieci anni fa, per esempio, si era espresso positivamente anche Loukas Kouras, allora sindaco di Eressos: "Siamo molto felici di ricevere le omosessuali – ha dichiarato commosso – Purché non si bacino nei giardinetti. Qualche anziano residente potrebbe infastidirsi. Ma noi non abbiamo nessun problema nei loro confronti". Parole che hanno avuto addirittura la conferma della scienza: "La nuova generazione d’isolani – spiega la sociologa Marianthou Lianou, che ha svolto uno studio sull’impatto del turismo lesbico, pardon saffico, sulla cultura contadina e maschilista dell’isola – è cresciuta con queste visitatrici. Ormai le vede di buon occhio. Negli anni Ottanta, invece, c’erano casi di turiste picchiate, le scritte ‘Lesbiche, tornate a casa’ coprivano i muri dei paesi. E le omosessuali dovevano rimanere confinate nei campeggi".
Molti tour operator locali hanno benedetto la memoria di Saffo. Ciò non toglie che ora buona parte dei lesbici doc, intesi come abitanti, voglia mettere i puntini sulle i. Va bene il turismo, sia fatto salvo il politically e sexually correct, ma diamo a Cesare quello che è di Cesare. Sono decisi a rivendicare solo a chi è nato sulle sacre sponde dell’isola l’onore di definirsi Lesbio. E dal momento che la questione ha incuriosito le associazioni gay di tutto il mondo, il dibattito corre sul web.
La rivista on-line "The Register" suggerisce agli isolani di limitarsi a chiamarsi "Mitilenesi", mentre propone alle omosessuali greche e straniere l’appellativo "saffiste", per non scontentar nessuno. Chi la spunterà? A giorni, in tribunale, l’ardua sentenza.