L’Accademia di Platone

Una piazzetta di Atene e i protagonisti di un film del regista greco Filippos Tsitos ad applaudire il cane Patriota che abbaia ogni qualvolta passi un albanese. Poi tutto cambia. Cannes, Locarno e i successi della Grecia al cinema

24/08/2009, Nicola Falcinella -

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È il momento della Grecia al cinema. Nell’ultimo decennio diversi paesi dell’Europa sud-orientale hanno avuto i loro periodi di gloria – Bosnia e Romania su tutti, ma anche Turchia, Serbia e Slovenia – ora tocca a una cinematografia che, nonostante i successi di registi come Theo Angelopoulos e le attrici Irene Papas e Melina Mercuri, non ha mai goduto di grande risonanza.

A maggio al Festival di Cannes "Kynodonthas – Canini" di Yorgos Lanthimos ha ricevuto il premio della sezione Un certain regard. Al Festival di Locarno concluso il giorno di Ferragosto, è stato l’attore Antonis Kafetzopoulos a ritirare il Pardo come migliore attore per l’interpretazione in "Akadimia Platonos" di Filippos Tsitos.

E se il premio francese era stato inatteso e sopra i meriti del film di Lanthimos, quello svizzero era prevedibile e anzi la commedia ambientata nel quartiere dell’Accademia di Platone avrebbe potuto aspirare a qualcosa in più (il Pardo d’oro è andato a "She, a Chinese" di Guo Xiaolu, film come quello di Lanthimos costruito per stordire le giurie).

L’opera seconda di Tsitos (dopo "My Sweet Home" del 2001 che ritraeva gli emigrati in Germania) è un quadretto di un gruppo di amici di mezz’età che vivono in una piazzetta. Un’atmosfera che potrebbe essere benissimo di un film inglese sugli operai alla Ken Loach.

Qui c’è Stavros cinquantenne tabaccaio lasciato dalla moglie (che regolarmente va a trovare per cercare di riconquistare) e che vive con l’anziana madre un po’ svampita. Ogni giorno l’uomo apre il suo negozio e poi trascorre le giornate seduto ai tavolini all’esterno insieme ai proprietari delle altre due tabaccherie della piazza. Insieme applaudono il cane Patriota, che abbaia ogni qualvolta passi un albanese, e cantano canzoni nazionaliste. Del resto il vicinato è sempre più popolato da stranieri: gli albanesi lavorano nei cantieri e i cinesi aprono i negozi, mentre Stavros e i suoi amici giocano a distinguerli e a contarli.

Le cose cambiano quando il protagonista vede la madre abbracciare un muratore albanese che da quel momento inizia a frequentare la loro casa. Piano piano il tabaccaio scopre la verità: la madre non era giunta ad Atene dal nord alla morte del padre quando lui era piccolo, ma dall’Albania e il fratello era rimasto oltre confine: ad imparare canzoni cinesi sotto il comunismo (molto comica l’esibizione) ma anche ad ascoltare rock clandestinamente, gli stessi gruppi – Doors e Status Quo – che avevano formato anche Stavros.

Due fratelli uniti dalle basi musicali anche se nella vita vera faticano a incontrarsi, pure alla morte della madre. Tsitos usa un’ironia sottile, smonta a colpi di commozione i pregiudizi e quando, nell’inquadratura finale, sembra ricomporre il piccolo mondo della piazzetta molto è cambiato. Il pregiudizio verso gli albanesi è molto forte nella società greca e il cinema, con la risata o la riflessione ("Correction" di Thanos Anastopoulos), si sta facendo carico del problema.

Kafetzopoulos sul palco della Piazza Grande, mentre ritirava il premio davanti a oltre 7.000 persone, ha ricordato i 65 tra produttori, registi e attori greci che hanno deciso di boicottare il Festival di Salonicco per protestare contro le politiche culturali del loro governo. Politiche di tagli "contro la nostra Costituzione e contro le direttive europee" che il mondo del cinema greco sta combattendo compatto, al contrario di quello italiano che vive una situazione analoga. Del resto la Grecia – le proteste del dicembre scorso insegnano – è forse il luogo in Europa dove è più chiaro che sono stati superati tutti i limiti di sopportazione.

Nella sezione "Cineasti del presente", dove il forte "Piombo fuso" di Stefano Savona sull’operazione militare israeliana a Gaza nel gennaio scorso ha meritatamente vinto il Premio speciale della giuria, era in lizza il turco "Koprudekiler – Men on the Bridge" di Asli Ozge. Uno strano intreccio di finzione e documentario, con due dei tre protagonisti che interpretano sè stessi (l’altro, un poliziotto, non ha potuto perché la legge turca vieta ai militari di recitare in un film).

Giovani uomini che si incrociano tutti i giorni senza notarsi attraversando il ponte sul Bosforo. Fikret è un diciassettenne che vive in periferia e vende rose nei locali: vorrebbe essere alla moda e starsene in giro con gli amici, ma fatica a trovare un lavoro stabile. Umut è un tassista che lavora senza sosta per soddisfare le richieste dela moglie Cemile che vuole un appartamento dotato di tutti i comfort come quelli delle sue amiche e vive sopra le sue possibilità. Infine Murat, da poco arrivato da una cittadina di provincia e addetto al traffico in un incrocio: soffoca per lo smog e patisce la solitudine, gli incontri con ragazze conosciute in internet non portano a nulla. Ozge, al primo film, cerca di fare ordine nella caoticità di Istanbul scegliendo storie emblematiche e utilizzandole per mostrare la confusione e le paure del futuro.

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