Grecia, ora gli immigrati se ne vanno
La Grecia in crisi assiste ad un nuovo fenomeno, l’esodo dei lavoratori stranieri. Un’uscita in massa, causata dalla crisi occupazionale. Il Paese fa i conti: a breve calo demografico, gap di sviluppo ed entrate in rosso per le casse dello Stato
Prima mandavano in patria, ai parenti, 200-300 euro al mese.
Poi hanno cominciato a inviarne solo 20-50. Adesso più nulla: anzi, migliaia di immigrati albanesi, bulgari, rumeni, moldavi e ucraini, in Grecia da anni, quest’estate hanno fatto le valigie, sono saliti su uno dei tanti pullman che dai dintorni dell’ateniese piazza Omonia partono verso Tirana, Sofia o Bucarest con un biglietto di sola andata.
Chi non è legato da figli o mutuo casa è già partito
Sono uomini e donne che avevano realizzato il loro sogno occidentale raccogliendo pomodori e olive nei campi, rischiando la vita ogni giorno nei cantieri edilizi, facendo i turni più pesanti come infermieri negli ospedali o a domicilio, tenendo pulite le case dei greci o servendo moussaka ai tavoli nei ristoranti.
“Circa la metà dei miei compatrioti con cui ho parlato di recente mi hanno detto che pensano di andarsene dalla Grecia in crisi perché non trovano lavoro e non riescono più a pagare l’affitto” ha raccontato al quotidiano ellenico “Kathimerini” Zet Nicoli, rappresentante della locale comunità albanese.
“A rimanere sono gli immigrati che negli anni scorsi erano riusciti a comprare casa e quindi sono legati alle rate del mutuo, ed al fatto che i loro figli frequentano la scuola greca”.
Resistono quasi solo gli stagionali
Conferma il trend “fuga dalla terra degli dei”, sempre secondo la recente inchiesta di Kathimerini, il rumeno Zibrian Nikita, impiegato in un’agenzia di via Acharnon, che organizza viaggi verso Bucarest: “Ormai vedo tornare in Grecia solo i lavoratori stagionali: vengono per lavorare nei campi e poi rientrano in Romania.
Molti miei amici che vivono qui ad Atene da 10-12 anni partono insieme alle loro famiglie: gli uomini che erano impegnati nei cantieri, sono disoccupati da più di sei mesi. Quelli che erano riusciti a mettere da parte qualche risparmio hanno costruito casa in Romania. Altri pensano di cercare fortuna in altri Paesi dell’Unione europea”.
Gli uomini che erano impiegati nei cantieri
sono disoccupati da più di sei mesi
Zibrian Nikita, immigrato rumeno ad Atene
Naturalmente la situazione non è uguale per tutti: in genere gli ultimi a pensare di abbandonare la Grecia sono proprio i rumeni, perché 80 immigrati su cento di questa comunità sono qui da più di cinque anni, si sono integrati insieme alle loro famiglie, hanno imparato la lingua, pagano le tasse e sono in regola con i contributi.
Contributi Ue per il rimpatrio dei migranti dalla Grecia in crisi
Senza parlare del fatto che, ai loro occhi, la situazione che potrebbero trovare in patria è ancora peggiore di quella ellenica.
A partire sono soprattutto gli immigrati di fresca data, senza figli che frequentano la scuola locale: e sono loro a sognare di trasferirsi in un altro punto di mamma Ue, se non addirittura in Canada o in nuova Zelanda, come racconta Kostik Ivu, rappresentante della comunità rumena in Grecia, che forse ha una visione più ampia di quella di un’agenzia di viaggi.
Resta il fatto che i lavoratori stranieri che cercano di partire, appena riescono a coglierne l’occasione, sono in continuo aumento. Lo dicono i numeri snocciolati dalla sezione ellenica dell’International Organization for Migration (IOM), che gestisce un programma per il rimpatrio volontario degli immigrati in Grecia finanziato da Bruxelles.
Un programma che ha avuto un successo di gran lunga superiore alle previsioni: “Avevamo i fondi per 450 rimpatri al costo di 1.300 euro a persona -racconta Daniel Esdras direttore dell’Organizzazione umanitaria in Grecia- Più di 300 sono già partiti. Ma negli ultimi mesi riceviamo ogni giorno una massa di richieste.
Biglietto di sola andata
Dei 1.305 che hanno già inoltrato domanda, il gruppo maggiore è quello degli afgani (630), seguiti dai pakistani (299), dai siriani (89), dagli immigrati in Grecia dal Bangladesh (55) o dal Sudan (40)”.
Costretti alla via del ritorno in Paesi dove – aggiungiamo noi – le condizioni di vita e democrazia sono spesso a rischio continuo, perché non riescono più a trovare lavoro ad Atene e dintorni. “Spero di trovare un impiego in qualche fabbrica di Lahore – racconta Illiaz Mohammed, pakistano – Sarà una vita difficile, ma almeno sarò a casa mia”.
L’esodo sotto gli occhi dei greci
E i greci, come reagiscono davanti a questo esodo?
Certo, loro stessi vista la grave crisi economica del Paese pensano ad emigrare all’estero, come hanno fatto per secoli i loro nonni, bisnonni, antenati risalendo fino alla più remota antichità, quando era normale che dall’Ellade, povera di terra e risorse naturali, una parte dei cittadini di una polis lasciasse il patrio suolo e fondasse una apoikia, una colonia in terra straniera: dalle coste del Mare Nero alla Sicilia, fino alle più recenti mete americane o europee dove gli immigrati ellenici hanno condiviso la sorte delle comunità italiane espatriate.
Ma è curioso e indicativo leggere il fanta-reportage – basato però su rigorosi dati attinti dalla Banca di Grecia, dall’Istat greca e dalla Facoltà di Statistica dell’università di Atene – che il quotidiano Eleftherotypia ha dedicato pochi giorni fa al fenomeno “fuga dei lavoratori stranieri”.
Titolo: “E se partono tutti?”. Sottotitolo: "Come farà la media o benestante massaia greca che pagava in nero la propria colf, condividendo con lei per di più la stessa religione (vedi colf bulgare)?"
Nel fantareportage del quotidiano greco poi si enumerano una serie di dati e considerazioni: solo 20mila su 100mila badanti, baby sitter e collaboratrici domestiche sono in regola. Ed è difficile trovare una greca disposta a fare le pulizie in casa d’altri. Per non parlare del fatto che 8 immigrati stranieri su 10 sono in età lavorativa, fra i 15 e i 64 anni, contro al 68% dell’invecchiata popolazione autoctona.
Solo nel 2004 lo Stato ha incassato dagli immigrati ben 488 milioni di euro in tasse. Fanno comodo in tempi di crisi.
C’è anche il lato positivo: le carceri si svuoterebbero, visto che 45 “ospiti” su cento sono stranieri.
In compenso la Turchia farebbe i salti di gioia: solo dal 2004 al 2007 il 17% delle nascite (per un totale di 74mila) negli ospedali da Atene a Salonicco sono state di piccoli albanesi, bulgari, rumeni, afgani, moldavi.
I greci sono sempre più anziani in media, contro la rampante, e abile alle armi, gioventù anatolica. Per non dire dei 20mila matrimoni misti celebrati fra il 2004 e il 2008: ora, nell’ipotesi della “sparizione degli immigrati” si dovranno sciogliere. Poi altre considerazioni ironiche ma amare sui diritti del lavoro: nessuno lavorerebbe più nei campi a pochi euro al giorno. Nessuno pulirebbe più gli uffici o le stazioni del metrò come Konstantina Kuneva, la giovane bulgara che l’anno scorso ha osato organizzare un sindacato delle donne sfruttate (in maggioranza straniere).E in cambio ha avuto il corpo e il viso sfigurati da un anonimo gruppo di “teppisti” ateniesi (leggi manovali della criminalità organizzata, che controlla queste lavoratrici, a volte in combutta con politici locali).
Per mesi Konstantina ha lottato fra la vita e la morte. Eppure questo è il sogno di molti “nazionalisti” di casa nostra in Italia, ops! Padania. Vi ricorda qualcosa?