Grecia: la libertà dei media si limita anche rendendo reato le “fake news”
Come evidenziato dall’ultimo report di Reporter senza frontiere, in Grecia la libertà di stampa è oggi in grande sofferenza. Una situazione che affonda le radici anche nell’irrisolto quadro normativo
Quando, durante una conferenza stampa nel novembre 2021, una giornalista straniera ha invitato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a "smetterla di mentire sulla brutalità dei respingimenti" e a "non insultare l’intelligenza di tutti i giornalisti del mondo", tutti i presenti sono rimasti senza parole.
Si trattava di un evento senza precedenti: è estremamente raro in Grecia vedere giornalisti rivolgere pubblicamente domande così dirette ad un alto funzionario del governo, tanto meno in tono energico. Prima di bollare le accuse come insulto collettivo contro il popolo greco, il primo ministro ha infatti sottolineato la nazionalità della giornalista: "Capisco che nei Paesi Bassi è normale porre domande dirette ai politici", sottintendendo che questa pratica è estranea alla cultura greca. Pochi giorni dopo l’incidente e nel mezzo di una campagna diffamatoria sui social media che la dipingeva come una "spia", la giornalista olandese ha lasciato la Grecia, citando minacce contro la sua vita e persino un’aggressione fisica.
Questo incidente, uno dei tanti segnalati negli ultimi anni in Grecia, si aggiunge alle prove già esistenti di un’asfissiante pressione sociale contro giornalisti investigativi e informatori. Il World Press Freedom Index pubblicato all’inizio di marzo 2022 colloca la Grecia all’ultimo posto nell’UE per la libertà di stampa. I risultati ribadiscono molti dei problemi individuati nel rapporto Media Freedom Rapid Response (MFRR) pubblicato un paio di mesi prima, compresi i casi in aumento di cause SLAPP contro giornalisti, prove di manipolazione dei media locali da parte di oligarchi vicini al partito di governo e l’intimidazione pubblica dei giornalisti che sfidano la narrazione dominante promossa dallo stato.
Particolarmente preoccupanti le aggressioni contro operatori dei media che hanno sconvolto la società locale, ma rimangono impunite, generando una cultura di impunità e tolleranza al crimine. Un esempio sconcertante è l’omicidio a sangue freddo del giornalista Giorgos Karaivaz nell’aprile 2021, che rimane irrisolto nonostante l’impegno del governo di trattare il caso come "una priorità assoluta".
L’ultima goccia è stata la disposizione del codice penale adottata dal parlamento greco l’11 novembre 2021, che rende reato la diffusione di "fake news". Ai sensi dell’articolo 191 del codice penale modificato, la condivisione in pubblico o in rete di qualsiasi informazione che "suscita preoccupazione o paura tra i cittadini" o "turba la fiducia del pubblico nell’economia, nella difesa o nella salute pubblica dello Stato" è punita con la reclusione da tre mesi a cinque anni. La punizione si applica non solo al soggetto che riporta l’informazione, ma anche al direttore o titolare dell’emittente che la pubblica. Prima che la Grecia introducesse questo controverso emendamento, l’Ungheria era l’unico paese dell’Unione europea a criminalizzare "fake news" o "allarmismo" come parte della sua controversa politica di repressione delle voci critiche verso le misure Covid-19. Si teme, ora, che la nuova legge possa essere utilizzata in modo improprio come strumento per minare ulteriormente la libertà di stampa nel paese.
Autocensura e sfiducia del pubblico
Tra gli esperti intervistati ai fini di questo articolo ci sono attori della società civile e ricercatori, ma anche giornalisti che hanno descritto la situazione della libertà dei media in Grecia come "preoccupante". Molti hanno confessato di ricorrere spesso all’autocensura per paura di conseguenze a livello sociale, professionale o accademico. Altri hanno riferito di essere stati più di una volta obbligati, direttamente o indirettamente, a seguire linee guida basate sugli interessi dei donatori o dei datori di lavoro. Questi intervistati hanno scelto di rimanere anonimi.
Alcuni anni fa, uno studio sulla libertà di stampa e le leggi sulla diffamazione in Grecia della dott.ssa Eleni Polymenopoulou aveva tracciato le radici di questa ambiguità nella formulazione e nell’interpretazione della Costituzione greca. Secondo il documento entrato in vigore nel 1975, dopo la caduta della giunta militare e il ripristino della democrazia, è diritto costituzionale «esprimere e propagare il proprio pensiero», purché ciò avvenga «nel rispetto delle leggi dello Stato» (art. 14, comma 1). Ad esempio, sollevare critiche o divulgare determinate informazioni relative alla Religione, alle Forze armate o al Presidente della Repubblica (art.14, comma 3) può essere considerato offensivo o addirittura pericoloso, rientrando così in una delle categorie per cui è previsto il sequestro eccezionale della pubblicazione.
Alludendo ad un ordine di stampo orwelliano, la Costituzione autorizza lo Stato a definire le categorie da tutelare e adottare misure di conseguenza. È qui che sta l’incoerenza: un quadro giuridico inizialmente basato sull’idea di proteggere i diritti civili fondamentali, ma anche i principi e gli ideali alla base della società greca tradizionale, potrebbe essere manipolato per mettere a tacere opinioni diverse.
Non è un caso che quasi tutti i casi denunciati di diffamazione sistematica, intimidazione o addirittura assassinio di professionisti dei media in Grecia siano stati contro persone che avevano tentato di fare luce su scandali all’interno di potenti istituzioni, come la polizia, l’esercito e la Chiesa. Si può vedere una spaccatura morale nei casi in cui i valori e le norme stereotipicamente associati alla società greca "tradizionale" sono messi in discussione dai valori dell’UE o dall’immagine contemporanea della società greca di oggi, molto più eterogenea e resiliente rispetto al suo passato.
L’impatto della recessione prolungata sui media greci
Un’altra falla nel sistema può essere rintracciata nelle ambiguità costituzionali sul profilo di persone che potrebbero apparire come "proprietari" e "rappresentanti legali" di stazioni televisive o radiofoniche e giornali, ma essere indirettamente collegati con i politici. Negli ultimi anni, i fenomeni di cattiva condotta giornalistica e le relazioni clientelari tra i media e i ricchi oligarchi hanno portato a controversi interventi del governo e ad un’immagine pubblica negativa dei media mainstream, descritti come deboli, prevenuti e controllati da potenti élite.
Molti greci ricordano ancora i disordini del 2016, quando il governo lanciò un controverso intervento mediatico riducendo a quattro il numero delle licenze televisive nazionali. La logica ufficiale di questa decisione era la ricerca della trasparenza: il partito al governo era determinato a riordinare il travagliato panorama dei media, in cui i canali TV guidati dai donatori, molti dei quali in gravi difficoltà finanziarie, avrebbero servito gli interessi e l’ideologia di politici e ricchi affaristi. La tesi principale del governo era che la corruzione doveva essere fermata. Il mercato locale non poteva sostenere così tanti media che operavano e accumulavano debiti: l’unica soluzione economicamente valida era la limitazione delle licenze alle società che potevano esibire conti in ordine, patrimoni trasparenti e un piano finanziario sostenibile.
In un’intervista a OBCT Nikolaos Panagiotou, professore associato presso la Scuola di giornalismo e comunicazione di massa dell’Università Aristotele, identifica l’autonomia e l’indipendenza finanziaria dei media locali come sfide strettamente intrecciate con il crescente declino della credibilità dei giornalisti negli ultimi anni.
"I giornalisti erano ‘difensori del popolo’. I cittadini si fidavano di loro per parlare dei loro problemi ed esporre i difetti del sistema. Non è più così. Il vaso di Pandora si è aperto contro i giornalisti e, in generale, i professionisti dei media; l’opinione pubblica non si fida più di loro e allo stesso tempo esiste un contesto che legalizza gli attacchi contro di loro.
Dieci anni di crisi economica in corso hanno avuto un impatto drammatico sulle condizioni di lavoro prevalenti nei media. Il loro modus operandi economico è stato messo alla prova. Questo, in combinazione con la mancanza di fiducia del pubblico nei confronti del giornalismo e dei giornalisti, ha creato un quadro negativo. È qui che risiede il problema più grande: la prolungata mancanza di redditività finanziaria fornisce un terreno fertile per l’emergere di regole commerciali di monopolio, portando a condizioni che riducono la libertà di parola. Ovviamente, la formazione di un tale ambiente non favorisce la libertà dei media”.
Maria Tsioutani, consulente legale attivamente presente nella vita civile greca, parla a OBCT dell’omogeneizzazione dei media greci e della necessità di affrontare le notizie con occhio critico:
“Sebbene non concordi sul fatto che la Grecia meriti un posto così basso per quanto riguarda la libertà dei media, credo che la qualità dell’informazione sia diminuita negli ultimi anni. L’informazione si è omogeneizzata; su ogni canale vedi la stessa notizia. Al giorno d’oggi, gran parte della popolazione greca si rivolge spesso a fonti diverse dai canali TV locali e tradizionali per leggere o ascoltare un altro punto di vista”.
Tutti gli esperti intervistati per questo articolo sembrano concordare sul fatto che esistono molte buone pratiche provenienti da portali indipendenti che operano online. I greci passano dai media tradizionali a fonti di informazione alternative, aprendo la strada a iniziative digitali di alta qualità per un nuovo futuro della libertà dei media in Grecia.