Grecia: in carcere per aver salvato vite?

Ventiquattro volontari impegnati nel salvataggio di migranti e rifugiati in mare sono sotto processo in Grecia. Un caso controverso, che colpisce a fondo quella parte di società civile greca ed europea impegnata a salvare vite nel Mediterraneo

11/02/2022, Mary Drosopoulos - Salonicco

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Rifugiati siriani sbarcano a Lesbo - © Nicolas Economou/Shutterstock

Negli ultimi mesi, molti media locali e internazionali hanno presentato crescenti prove del deliberato maltrattamento di rifugiati da parte delle autorità greche. Dalla grave negligenza alle deportazioni illegali e ai respingimenti violenti, non si ferma la marea di accuse contro la controversa politica migratoria del paese. Il governo greco nega però ardentemente ogni accusa.

Allo stesso tempo, il caso dei ventiquattro operatori umanitari che rischiano fino a 25 anni di carcere per aver aiutato chi sbarcava sull’isola di Lesbo nel 2016-2018 funge da importante deterrente per gli attori della società civile che lavorano con i rifugiati. Attivisti e assistenti sociali, una volta in prima linea nelle operazioni di salvataggio dei profughi, ora ci pensano due volte prima di commettere qualsiasi "atto di solidarietà umana" che potrebbe finire con l’essere messi sotto accusa da parte dello stato ellenico.

La criminalizzazione dei soccorritori a Lesbo ha scosso la società greca per due ragioni: in primo luogo, è il primo caso di questo genere, dato che mai prima d’ora attori della società civile erano stati accusati di reati così gravi; secondo, perché tra le persone ora bollate come "trafficanti" c’erano personaggi pubblici in passato salutati come "eroi".

Gli imputati, 17 dei quali sono cittadini stranieri, erano affiliati all’"Emergency Response Center International (ERCI)", un gruppo di ricerca e soccorso senza scopo di lucro che ha operato a Lesbo dal 2016 al 2018. La loro attività sull’isola ha procurato loro una serie di accuse, tra cui creazione ed adesione ad un’organizzazione criminale, riciclaggio di denaro, spionaggio, violazione del segreto di Stato e contraffazione, nonché violazioni del codice dell’immigrazione e della legislazione sulle comunicazioni elettroniche.

Ecco il paradosso: prima della pubblica umiliazione da parte dei media greci, il fondatore di ERCI, Panos Moraitis, era stato un personaggio pubblico rispettato, elogiato da attori di spicco sia per le sue iniziative per salvare vite che per lo straordinario coinvolgimento della sua organizzazione nel salvataggio di persone in mare. Tra il 2016 e il 2017 Moraitis ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui uno consegnato dal capo di Stato Maggiore della Difesa Nazionale ellenica; inoltre ha partecipato ad eventi di alto profilo, alcuni dei quali si dice fossero ospitati dallo stesso primo ministro greco.

Un’altra "imputata controversa" è Sarah Mardini, attivista per i diritti umani e nuotatrice agonista siriana. Nel 2015 Sarah, insieme alla sorella Yusra, ora nuotatrice olimpica, aveva salvato 18 compatrioti siriani dall’annegamento quando la loro barca iniziò ad affondare a causa di un motore rotto. Le ragazze di Damasco erano riuscite a trascinare in salvo la piccola barca con una fune, ottenendo apprezzamenti e riconoscimenti globali. Dopo il suo arresto, Sarah è stata accusata, tra le altre cose, di aver usato la propria reputazione per attirare sovvenzioni e donazioni che avrebbero permesso a ERCI di operare.

Il prestigio che circonda l’organizzazione e i suoi membri ha attirato non solo fondi, ma anche non pochi operatori umanitari. Tra gli imputati ci sono Sean Binder e Nassos Karakitsos, che affermano che la buona reputazione dell’organizzazione è stata uno dei fattori che li ha portati all’ERCI.

“Volevo lavorare con una ‘buona’ organizzazione. Avevo sentito dire che l’ERCI era molto rispettata sull’isola e aveva buoni rapporti con le autorità locali", racconta Sean a OBCT, aggiungendo che le persone della sua organizzazione spesso assistevano anche la Guardia Costiera fornendo primo soccorso e attrezzature.

Le cose sono cambiate il 9 febbraio 2018, alle prime luci dell’alba, quando le autorità greche hanno fermato un fuoristrada di ERCI per "ingresso in un’area vietata". Il veicolo poi avrebbe avuto una targa rubata. I due passeggeri, Sean e Sarah, sono stati arrestati. Secondo il rapporto della polizia locale, trasportavano una radio navale che ascoltava le conversazioni della Guardia Costiera, un binocolo notturno e telefoni cellulari che li aiutavano a comunicare con i colleghi tramite un gruppo WhatsApp chiuso, dove si scambiavano informazioni sensibili. A seguito di un’ordinanza del pubblico ministero, è stata avviata un’indagine che ha portato inizialmente all’arresto di cinque persone e all’emissione di mandati di cattura per altre 25, tutte membri dell’ERCI.

Pensando a quella notte, Sean non riesce a scrollarsi di dosso la frustrazione.

“La polizia si è comportata come se vedesse noi e la nostra jeep per la prima volta. Tutti nell’isola la conoscevano, perché spiccava; non era mimetizzata. La polizia sapeva esattamente dove andassimo ogni notte, non era un segreto. Era all’estremità di una scogliera, un punto che ci avrebbe permesso di localizzare e aiutare chiunque avesse bisogno di aiuto. Andavamo lì intorno alle 2-3 di notte, perché questo è il momento in cui si verificano la maggior parte degli sbarchi. Quando mi hanno arrestato ho detto, ‘è uno scherzo?’ Queste persone sanno chi siamo, sanno cosa facciamo”.

L’arresto degli operatori umanitari ha innescato un acceso dibattito nella società greca sul ruolo e la missione delle ONG coinvolte nel lavoro di solidarietà con i migranti. Le opinioni restano divise.

“Credo che questo fosse l’obiettivo del governo”, dice un ex attivista a Lesbo. “Sotto l’enorme pressione dell’opinione pubblica sul ‘fare qualcosa’ per affrontare i flussi illegali incontrollabili di rifugiati, il governo ha trovato un capro espiatorio nella società civile e ha demonizzato tutti i lavoratori che assistono i rifugiati”.

Le ricercatrici Laura Schack e Ashley Witcher, che hanno indagato su questo cambiamento nella politica nazionale greca, analizzano il fenomeno basandosi sul concetto di "ospitalità ostile" di Derrida. Lo schema è chiaro: la Grecia ha mostrato un’ospitalità esemplare durante la prima fase della crisi dei rifugiati, quando la situazione era ancora fluida e tutti pensavano che questa svolta drammatica sarebbe stata temporanea. Secondo lo studioso Oikonomakis, quello fu il momento in cui la Grecia fece un passo indietro e permise alla società civile locale e internazionale di "prendere il comando" per gestire la crisi.

A seguito dell’accordo UE-Turchia, tuttavia, il governo greco si è reso conto che la questione dei rifugiati era destinata a restare: da paese di "transito", la Grecia si è trasformata in un paese ospitante a lungo termine, ma senza le necessarie infrastrutture. La situazione si è presto aggravata: da un lato, i rifugiati si sono sentiti intrappolati in territorio greco e hanno reagito sfogandosi con atti vandalici, assalti e incendi nei campi; d’altra parte la popolazione locale, stremata dalle ripercussioni socioeconomiche della presenza a lungo termine dei rifugiati sulla propria vita e sulle proprie fonti di reddito, ha iniziato a vedere i rifugiati come intrusi che minacciavano la stabilità e l’identità etnica del paese. L’ospitalità greca è diventata ostile ed è cresciuto lo stigma contro la società civile.

In un’audizione sui difensori dei diritti dei migranti con Mary Lawlor, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani, pubblicata nell’ottobre 2021, le organizzazioni della società civile greca hanno accusato le autorità locali e gruppi di attivisti di estrema destra di continue intimidazioni con minacce e altre forme di molestie.

“Mi rattrista il fatto che le persone ora esitino ad aiutare gli altri per paura di finire nei guai”, riflette Sean. “In un mondo ideale, i civili non dovrebbero fare ricerca e salvataggio. Sono le autorità ad essere nella posizione migliore per farlo, è il loro ruolo. Purtroppo, però, non lo fanno e la gente continua ad annegare in mare”.

Dopo essere stati arrestati, Mardini e Binder hanno trascorso più di cento giorni in custodia cautelare prima di essere rilasciati su cauzione nel dicembre 2018. Mardini ha persino trascorso un periodo nel carcere di massima sicurezza di Korydallos ad Atene, prima di ottenere asilo in Germania, dove vive tuttora senza poter entrare in Grecia. Da allora i 24 imputati sono in attesa di processo.

"L’attesa è estremamente dolorosa e frustrante", afferma Sean.

“Vogliamo disperatamente andare sotto processo per provare la nostra innocenza”, aggiunge Nassos, il cui caso è ancora più singolare, poiché è stato accusato dopo aver lasciato l’ERCI per altri motivi.

Una parte significativa della comunità internazionale ha condannato la criminalizzazione di operatori umanitari come Sean, Sarah e Nassos. Grandi organizzazioni umanitarie come Amnesty International, ma anche membri del Parlamento europeo, hanno chiesto pubblicamente “una revisione approfondita e un cambiamento delle politiche degli stati membri” che hanno portato alla loro incriminazione.

In mezzo al suo calvario personale, alla domanda se si fosse pentito di essere andato in Grecia per aiutare i profughi, Sean ci pensa un momento.

“Aiutare è una cosa naturale. Non ho fatto altro che cercare di aiutare persone che ritenevo fossero in pericolo”.

La Grecia è ancora in fase di negoziazione sul nuovo Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, un pacchetto di riforme progettato per segnare "un nuovo inizio" per la politica UE in materia di asilo e migrazione, introdotto dalla Commissione europea nel settembre 2020. Mentre i paesi non si impegnano per un quadro politico più umano ed equo, il dibattito pubblico sulla gestione dei rifugiati in Europa si scalda. Nel frattempo decine di persone, tra cui bambini e neonati, continuano a morire in mare.

Pur risalendo al 2018, la vicenda degli operatori umanitari di ERCI è tornata di attualità nel novembre 2021, dopo l’aggiornamento del processo da parte della Procura per i reati minori di Mytilene, sull’isola di Lesbo. I giudici hanno rilevato la propria incompetenza sul caso per la presenza di un avvocato tra gli imputati e hanno rinviato il caso ad una corte d’appello. Non è chiara la nuova data del processo.

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