Grecia: giustizia per un femminicidio
Il brutale omicidio di Eleni Topaloudi, recentemente sfociato nella condanna dei suoi due assassini, ha messo per la prima volta il concetto di “femminicidio” al centro del dibattito in Grecia, portando anche ad una riforma legale sulla definizione di stupro. Un approfondimento OBCT
Eleni Topaloudi era una studentessa di 21 anni che è stata brutalmente violentata e uccisa nell’isola greca di Rodi nel novembre 2018. In un processo simbolo conclusosi lo scorso maggio i due imputati, Alexandros Lutsai e Manolis Koukouras, entrambi ventenni, sono stati condannati all’ergastolo per l’omicidio più 15 anni per lo stupro. Eleni è diventata un simbolo per coloro che chiedono giustizia per i crimini commessi contro le donne a causa del loro genere, e il suo caso ha creato spazio nel discorso pubblico greco per l’uso di un linguaggio preciso che incarni la dimensione politica e sociale della violenza contro le donne.
Non solo un omicidio
"Al tempo del suo omicidio, nel 2018, la parola ‘femminicidio’ era sconosciuta (in Grecia)", spiega a OBCT Natasha Kefallinou, portavoce del Centre for Research on Women’s Issues (CRWI) “Diotima”, una ONG greca fondata nel 1989. "Il suo caso ha dato spazio alle organizzazioni femminili per consolidare il termine e chiedere il riconoscimento legale del femminicidio, vale a dire il riconoscimento dei motivi sessisti e misogini nei crimini".
Il termine, coniato per la prima volta nel 1976 dalla criminologa Diana Russel e successivamente adottato da organizzazioni globali come l’OMS , indica gli omicidi motivati da mascolinità tossica e norme patriarcali: i casi in cui le donne vengono uccise quando non soddisfano le aspettative di genere che gli uomini hanno posto su di loro. Spesso i femminicidi vengono compiuti da familiari o uomini in relazione con la vittima. Kefallinou ricorda il vecchio motto femminista "i nostri assassini hanno le chiavi delle nostre case". Gli assassini di Eleni Topaloudi erano suoi amici: la giovane aveva raggiunto uno di loro per una cena street food.
Eleni Topaloudi è stata portata a casa di uno dei due, dove entrambi l’hanno violentata. Ha resistito con tutte le sue forze mentre veniva brutalmente picchiata con le mani e un oggetto di ferro. Il suo sangue è arrivato persino al soffitto, ma la giovane donna era ancora cosciente quando gli uomini l’hanno portata sulla scogliera. Secondo i media, è riuscita a sussurrare "mio padre vi troverà", prima di essere gettata in mare. Il suo corpo, con indosso solo il reggiseno, è stato trovato dai passanti e dalla guardia costiera. La sua famiglia, che vive in una piccola città ai confini nord-orientali della Grecia e aveva denunciato la sua scomparsa, è stata contattata dalla polizia per identificare il suo cadavere.
Un processo senza precedenti
"Non ho visto stupri qui. Non riesco a immaginare uno stupro con il reggiseno (della vittima) indosso", ha detto uno degli avvocati della difesa, ha riferito la giornalista Maria Louka che ha seguito da vicino il processo. "La cultura dello stupro si è manifestata pienamente durante il processo. Gli avvocati degli imputati hanno voluto dimostrare che la colpa era della donna. Hanno cercato di etichettarla. Hanno detto che si drogava, che era psicologicamente instabile, perché le mancava una relazione fissa", ha dichiarato Kefallinou a OBCT.
Tuttavia, le molte contraddizioni degli imputati, la tentata diffamazione della vittima e i legami politici della famiglia di uno dei due – che sarebbero stati usati per nascondere la verità – non sono bastati a insabbiare il caso. Il potente discorso della procuratrice Aristotelia Thogka ha colpito il pubblico, ma ha avuto anche una significativa rilevanza giuridica.
La procuratrice ha dichiarato: "Mi vengono assegnati 1500 casi al mese. Questo mi ha sconvolta. (…) Ho sentito la voce della signora Koula (la madre di Eleni) che chiedeva di sapere la verità. Anche io volevo la stessa cosa. La verità grida. Lasciamo che la giustizia prevalga a costo di far crollare il mondo intero. (…) Se posso alleviare il vostro dolore (ai genitori) vi dirò che questa ragazza è un simbolo (…) Posso vedere che nel 2020 la donna è trattata, in molti casi, come se fosse nulla".
Il discorso della procuratrice è stato accolto come coraggioso e iconico da chi solidarizza con la vittima, ma anche criticato da altri, fra cui il vice ministro greco responsabile del coordinamento del lavoro governativo, Akis Skertsos, e il presidente dell’Ordine degli avvocati di Atene, Dimitris Vervesos.
"Le reazioni sono state senza precedenti, già mentre il processo era ancora in corso. Questo non è mai accaduto prima", racconta Kefallinou. Centinaia di avvocati hanno firmato una dichiarazione per dissociarsi dal presidente dell’Ordine, mentre Skertsos (che aveva espresso le sue opinioni in un post di Facebook) ha dovuto smorzare la sua dichiarazione iniziale.
In seguito, in un’intervista con il quotidiano greco Ethnos, la stessa procuratrice ha espresso la propria indignazione per le critiche ricevute, soprattutto perché nessuno dei suoi critici era presente al processo. Il pubblico ministero ha inoltre esaminato attentamente il caso e presentato alla giuria tutte le prove necessarie per sostenere la sua richiesta di pena senza circostanze attenuanti. "È stato un discorso storico perché ha fatto riferimento alla legge sullo stupro e ha sottolineato, probabilmente per la prima volta in un tribunale greco, che qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro", sottolinea Kefallinou.
L’anno scorso è stata approvata una nuova legge sullo stupro e, grazie alla tenacia del movimento femminista in Grecia, il concetto di consenso è diventato parte integrante della nuova definizione legale di stupro, facendo della Grecia il nono paese dell’UE dove il sesso senza consenso è considerato stupro.
A chi importa dei femminicidi?
Secondo un recente studio globale sull’omicidio e in particolare sull’uccisione di donne e ragazze da parte dell’Ufficio delle Nazioni Unite in materia di droga e criminalità, nel 2017 sono state uccise intenzionalmente 87.000 donne, il 58% delle quali è stato ucciso da partner o familiari. In Europa, secondo un rapporto dati pubblicato da OBCT nel 2017, nel 2012 43.600 donne sono state uccise da un partner, un ex partner o un familiare.
In Grecia, come in molti altri paesi, mancano statistiche ufficiali sui femminicidi. Un registro informale sulla violenza sessista/di genere esiste sotto forma di una mappa , parte di un’iniziativa di gruppi femministi.
"L’assenza di un meccanismo per la registrazione e la documentazione dei dati, che comprenda la rete di supporto del Segretariato generale per l’uguaglianza di genere, la polizia greca, i servizi forensi, le ONG e le organizzazioni femminili, causa delle difficoltà nella pianificazione di politiche per impedire, contenere e affrontare questi fenomeni”, sottolinea la portavoce di Diotima.
Vista la scarsa sensibilizzazione a livello centrale e istituzionale, non c’è da stupirsi che i femminicidi siano spesso ancora presentati in modo romantico al grande pubblico. In molti casi, i media di tutto il mondo presentano gli omicidi delle donne come crimini passionali e "d’amore". Nel caso di Eleni Topaloudi ciò è stato impedito, in gran parte a causa della presenza incessante delle giornaliste che hanno trattato la sua storia in modo non sensazionalistico.
Queste giornaliste fanno parte di una grande folla di femministe e sostenitrici dei diritti delle donne, sempre presenti in tribunale a chiedere giustizia. La loro presenza è stata un sollievo per la famiglia della vittima, che ha dovuto ascoltare i raccapriccianti dettagli del crimine, ma ha anche portato la richiesta sociale di diritti delle donne dalle strade al tribunale.
Il giorno del verdetto, all’uscita dall’aula di tribunale, i genitori di Eleni sono stati accolti da una folla riunita che gridava più forte che mai. Sua madre si è unita a queste voci per gridare: “Non dimenticheremo mai quello che hanno fatto a Eleni. Non un’altra donna assassinata”.