European Stability Initiative: la crisi migratoria e le isole della Grecia

Un recente report dell’European Stability Initiative presenta una serie di dati che ben descrivono la drammatica situazione dei migranti sulle isole greche. Vengono poi proposte una serie di iniziative che a detta del centro studi con sede a Berlino andrebbero implementate

28/02/2020, Miriam Santoro -

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Sbarchi in Grecia © Nicolas Economou/Shutterstock

In un suo report del gennaio 2020 , lo European Stability Initiative (ESI) presenta in maniera dettagliata la tragica situazione dei migranti nelle isole greche nell’Egeo. Nella prima parte del report sono elencate azioni necessarie per scongiurare il perdurare della crisi. Tra gli obiettivi, mettere fine all’emergenza umanitaria nelle isole, evitare il rischio di una nuova crisi sulla terraferma greca, ridurre il numero di persone che attraversano la “rotta balcanica” e assicurare che non vi siano respingimenti alle frontiere nel sud-est Europa.

Per realizzare tali obiettivi l’ESI ritiene necessario ridurre i flussi migratori e migliorare le condizioni che permettano un rientro in Turchia, spostare sulla terraferma i migranti che si trovano sulle isole, migliorare i centri di accoglienza, migliorare la cooperazione tra gli stati coinvolti e le agenzie dell’UE per velocizzare le procedure per le richieste di asilo, ricollocare i migranti in altri stati membri dell’Unione europea, raggiungere un’intesa sulla seconda fase degli accordi tra UE e Turchia, che prevede ulteriori fondi per l’integrazione dei rifugiati siriani in Turchia e l’estensione degli accordi anche agli arrivi via terra. L’analisi dell’ESI per il raggiungimento di tali obiettivi prende come punto di riferimento le misure adottate nel 2016 a seguito degli accordi tra UE e Turchia.

Poiché dal 2017 il numero di migranti in arrivo è di nuovo in crescita, il report identifica la necessità di stabilire un "giorno x", una data in cui, come già avvenuto nel 2016, tutti o molti richiedenti asilo presenti nelle isole vengano trasferiti sulla terraferma. A seguito di questa data, il flusso di nuovi arrivi potrebbe essere ridimensionato dalla consapevolezza che dopo il "giorno x" chi dovesse sbarcare in Grecia dovrebbe con tutta probabilità dover tornare in Turchia. I rientri devono però, a detta del think tank di Berlino, seguire procedure specifiche. Per quanto riguarda i siriani, già riconosciuti come rifugiati, è necessario verificare in primis se in Turchia sussistono delle condizioni che garantiscano loro sicurezza e protezione: verifica che deve essere perseguita anche dopo il loro ritorno da parte delle autorità greche. Visto che la Turchia non garantisce una protezione temporanea per i non siriani e le possibilità di ottenere lo status di richiedente asilo sono limitate, solo quei migranti non siriani che non sono rifugiati e la cui domanda d’asilo è stata respinta possono essere fatti rientrare in Turchia.

È essenziale in questo senso che le procedure per determinare lo status di rifugiato siano velocizzate e completate in poche settimane. Il primo passo è che la decisione di primo grado venga raggiunta idealmente in circa 24 giorni. Il secondo è che il ricorso possa essere presentato direttamente a tribunali amministrativi. Infine, sono necessari dei sistemi attendibili che monitorino le condizioni di tutti coloro che tornano in Turchia, siriani e non, e che questi vengano trattati nel rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’ESI in tal senso sottolinea che il budget che l’Unione europea ha investito per garantire l’integrazione in Turchia, soprattutto dei siriani, è significativo.

La prima parte del report si conclude ribadendo i risultati ottenuti nel 2016 dopo gli accordi UE-Turchia e la necessità di adottare le stesse azioni: se infatti nei dodici mesi precedenti al primo aprile 2016, un milione di persone è sbarcato nelle isole e 1152 migranti sono morti in mare, nei dodici mesi successivi, "solo" 26mila migranti sono sbarcati e 81 sono morti. Ciò che non ha funzionato sono stati i ritorni in Turchia: tra il marzo ed il dicembre 2019, su 144mila migranti sbarcati, solo duemila sono tornati. Emerge inoltre l’impossibilità per la Grecia di gestire le domande di asilo (alla fine del 2019 queste ammontavano a 87.461) e la necessità degli stati membri di ricollocare i rifugiati e di accelerare la riunificazione familiare. Infine, viene evidenziato come la Turchia sia il primo paese al mondo ad ospitare rifugiati (3.6 milioni di rifugiati siriani registrati nel 2019) e che il 99.5% di questi resta in Turchia grazie alle politiche di integrazione e agli aiuti dall’UE, come la carta ESSN e il sostegno economico per l’educazione dei minori. Per l’ESI è necessario che questi aiuti continuino ad essere erogati, ma anche in questo caso la ricollocazione dei rifugiati e la riunificazione con la famiglia devono essere accelerate.

La seconda parte del lavoro presenta i dati sui flussi migratori nelle isole egee a conferma di quanto argomentato.

Si evidenzia la differenza del numero di arrivi per mare prima e dopo gli accordi UE-Turchia: il numero più alto di sbarchi dopo gli accordi si è registrato nel mese di settembre 2019 con 10.551, un dato che resta sensibilmente inferiore rispetto al mese di febbraio 2016, prima degli accordi, con 57.006 arrivi. Al momento, gli arrivi attraverso la frontiera di terra turca-greca non rientrano negli accordi e sono aumentati nel corso degli anni (da 2.280 nel 2014 a 14.887 nel 2019). Per quanto riguarda i ritorni in Turchia, dall’aprile 2016 – che registra il picco con 386 persone – il numero diminuisce significativamente: in generale, l’1.4% dei migranti ha ricevuto l’ordine di tornare in Turchia, di cui sia siriani che non siriani. Il numero più alto di quest’ultimi è rappresentato da pakistani. A partire dal 2016, il numero di casi annuali che dichiaravano la Turchia un paese sicuro è sceso da 1305 nel 2016 a 241 nel 2019.

Sulle procedure per la richiesta di asilo dei siriani arrivati sulle isole greche nel 2018, solo il 6% è stato dichiarato idoneo per ritornare in Turchia mentre i restanti sono stati dichiarati vulnerabili con la possibilità di lasciare le isole (68%) o con diritto di essere trasferiti in un altro stato europeo secondo gli accordi di Dublino (14%). Riguardo ai non siriani, al 2018, il maggior numero di esiti delle richieste di asilo è risultato negativo. L’80% ha presentato ricorso, e di questi ricorsi, il 95% è stato riconfermato con esito negativo. 

Vengono inoltre riportati i dati sul sovrappopolamento dei centri di accoglienza in Grecia. A gennaio 2020 i migranti nei centri di accoglienza delle isole greche – che hanno una capienza ufficiale di 9.036 persone – sono 41.736.

 

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