Tba l’elettronica post sovietica
Da Tbilisi, l’irresistibile ascesa di Natalie "Tusia" Beridze, aka Tba. Già membro del laboratorio artistico-visivo Goslab, la dolce fanciulla dell’Est ha irretito tutti con la sua originale visione elettronica, in cui minimal techno e glitch-pop si colorano di sfumature avant
Di Alessandro Biancalana da Onda Rock
Un talento che non è sfuggito al guru tedesco Thomas Brinkmann, suo partner nel lavoro e nella vita.
Nata (nel gennaio del 1979) e cresciuta a Tbilisi in Georgia, Natalie Beridze esordisce molto presto come artista figurativa. Dopo gli studi accademici nella sua città, infatti, inizia una fervente attività come produttrice di opere visuali, collaborando al movimento GosLab, gruppo di artisti il cui scopo è approfondire il rapporto fra musica e immagini, fra occhio e orecchio. Il suo impegno, di grande fantasia, viene premiato con l’Oberhausen Film Festival.
La passione per l’arte, però, la porta a "sconfinare" nella musica: la sua prima apparizione come musicista avviene nel 2002, quando viene pubblicato uno fra i tantissimi gioielli nascosti di una tendenza che stava nascendo in quegli anni: la mutuazione pop dell’elettronica più colta e angolare. La band in questione è Nikakoi è il disco si intitola "Sestrichka". Natalie appare nei credits come co-compositrice di tre pezzi dall’aspetto suffuso e marcio, sublimazione splendente di certe inquietudini acid-electro presenti in artisti miliari come i Pan Sonic.
Da lì a poco nascerà l’ispirazione per comporre qualcosa di proprio, gelosamente creato fra le mura di una città amata quanto la propria anima. Georgia Is Like Spiritual Tokyo, oltre a possedere fascino già dallo splendido titolo, segna un esordio raro per intensità, fantasia e spessore concettuale. In bilico fra pop elettronico raffinato e increspature glitch, l’opera presenta qualità compositive incredibilmente mature. La brevità dei singoli episodi riassume in maniera congrua il mare di idee che affollano la testa di un’artista appena esordiente.
Nelle prime cinque tracce siamo al cospetto di altrettanti generi differenti. Se l’iniziale "Boot" riprende certa musica a 8 bit dei videogiochi d’annata, "Wind" (nella versione con Nikakoi) eccelle per la perfezione formale glitch-pop. E ancora, astrattismi minimal in "Tempo For Mama" e sperimentazioni vocali nella notturna "Turtle", per finire con effusioni digitali e una drum-machine in sapore di minimal-techno su "Train".
Di fronte a cinque pezzi praticamente perfetti come quelli citati, si è già autorizzati ad accontentarsi. Ma è ancora impressionante la continuità con la quale Natalie si avvia verso la fine. Saltando la bella riproposizione della versione originale di "Wind", infatti, il disco va avanti con i buffi impasti voce/drone/synth di "Geo Dna" e finisce con vocoderismi virtuosi e divertenti ("Mute"), che confermano un talento debordante.
Disomogeneo e spiazzante, Georgia Is Like Spiritual Tokyo costringe l’ascoltatore a tanti cambi di marcia, ma offre una quantità di spunti e idee già ragguardevole per un debutto.
L’incontenibile voglia di esprimersi, di dar voce ad anni di silenzio la portano a pubblicare nello stesso anno un immediato seguito.
L’omonimo TBA, nonostante la quasi contemporanea uscita rispetto al suo predecessore, mostra fin dall’inizio una compattezza decisamente più consona a un’opera di grande spessore. Si scovano fin da ora le forti influenze a cui Natalie fa riferimento in maniera diretta, da Björk a Stravinskij, passando per gli immortali Kraftwerk, Prokofiev e Aphex Twin. Il folk del suo paese prende piede in maniera distorta e contorta, lasciando per strada vaghi rimandi etnici fra i filamenti elettronici delle sue composizioni.
Si percepiscono, appena udibili, liriche forti e ispirate, con un carattere cosmopolita e mondano ("Mom []", la già citata "Wrestler"), complesse architetture digitali falcidiano anni di strutture consolidate ("Z_kluchik", "Animacia", "Emin"), si susseguono giochetti tipicamente minimal-techno ("Bios", "Iarmoka") e suggestioni ambient da film noir ("Intr.-detec.sys").
TBA è l’importante snodo di un percorso appena iniziato, a tratti solo abbozzato, ma sempre coerente e saldamente legato a un’attenta perizia produttiva. La frammentarietà (non si va mai sopra i tre minuti per ben 21 episodi) non inficia la piacevolezza dell’ascolto. E la corposità non trascurabile dell’opera (quasi 40 minuti) diviene facilmente metabolizzabile, al cospetto di episodi ad alta intensità emozionale, che consentono di cogliere ogni singolo particolare, sfaccettatura e singulto del suono.
Il disco rivela un’artista già matura e fantasiosa, capace di confezionare soluzioni di ricerca non certo convenzionali, fra etereo lirismo elettronico e pop.
Sempre nel 2003, il cortocircuito "Z_Cluckhik" viene incluso nella compilation "The Chill Of Colette" di grande pregio e coerenza stilistica. Fra gli altri artisti presenti, figurano personaggi del calibro di Odd Nosdam, Martin Rev e Daedelus.
Trascorso un anno colmo di sorprese e indicazioni utili per il futuro, il 2004 di Natalie si riduce ad alcune apparizioni mirate ma molto significative.
Un suo pezzo ("Trepa_N") viene incluso nell’esclusiva e celebre "Clicks & Cuts" della MillePlateaux, serie di compilation che ha fatto la storia di un’etica elettronica capace di generare decine di proseliti. Ma il passo più importante dell’anno in questione è l’inizio della collaborazione con quell’autentica autorità della minimal techno che risponde al nome di Thomas Brinkmann. Voci di corridoio narrano anche di un rapporto sentimentale fra i due, ma ciò che più importa è la forza di un sodalizio musicale che porterà a grandi risultati.
Il brano "Smattack" (presente nel suo esordio) viene inserito nella compilation di remix dello stesso Brinkmann intitolata "Tour De Traum". Anche se può sembrare un’inezia da completisti, il confronto fra la purezza originale del pezzo e il perfetto stravolgimento del remix evidenzia una sintonia d’idee davvero encomiabile. Stringere rapporti con personaggi importanti, magari possessori di un’etichetta (la benemerita Max Ernst), può aiutare a raggiungere obiettivi insperati. Arriva così la collaborazione con la band Post Industrial Boys, nata proprio sotto la guida di Brinkmann, che conquista ottimi riscontri con l’album omonimo (ovviamente su Max Ernst). Natalie partecipa alla scrittura dei testi e al canto in tre pezzi, incastonati in un reticolo digitale fatto di sbuffi e ritorsioni ritmiche.
Predestinata a fare scalpore, Tba ottiene la consacrazione definitiva nel 2005, quando Annulé (il titolo è riferito alla scadenza del visto di soggiorno per gli extracomunitari in Europa) arriva nei negozi.
Annulé è il risultato di una minuziosa opera di raccordo: un disco lungo e composito (oltre 70 minuti), che richiede paziente dedizione, ma che ripaga con altrettanta generosità, aggirandosi fra i variegati linguaggi dell’elettronica, spaziando fra sottogeneri pur non perdendo coerenza. Senza voler nulla togliere alla graziosa e talentuosa georgiana, è verosimile pensare che per il raggiungimento dell’obiettivo abbia pesato non poco il ruolo di Brinkmann, qui anche in veste di produttore.
Alla luce di queste considerazioni, non possiamo sorprenderci se l’apertura è affidata a uno strumentale progressive elettronico, "Beba Plays", in cui la virtuosa reiterazione del pianoforte richiama direttamente i maestri dell’avanguardia minimalista classica, ma se subito dopo assistiamo a una repentina svolta nella recitazione techno-ambient con "I", nella quale TBA mette in mostra una calda sensualità vocale: due atmosfere così lontane, eppure emananti profumi di molto simili. Sensualità al contrario volutamente assente nel trip-hop di "B>lan" che proprio nel rifuggire dal clichè della cassa in battere e del vocalizzo ammaliante, optando piuttosto per un sussurrato distacco, riesce a far risaltare tutta la sua peculiarità.
Un altro elemento che contribuisce a mantenere l’omogeneità stilistica è la misura con cui è distribuito l’utilizzo del glitch, spesso presente, ma mai invasivo: è il caso della scarna techno-trance di "Tuesd", del crepuscolarismo per cuori tecnologici di "Okean K", nonché del robotico melodismo hip-hop della title track. La notte ricorre e ci rincorre, palesandosi lungo tutto il tragitto: ora cupa, metropolitana e claustofobica, la cavalcata affanosa evocata da "Walk", ora algida e ferma come osservata da una finestra buia ("Airoports"), quando non pacata e malinconica ("Smashed").
In mezzo a toni acquatici in nerogrigio, e per questo valgono le escursioni in territori kraftwerkiani di "Soshi", la cui tastiera pare l’emanazione di "The Hall Of Mirrors", vengono ricamati altri spazi buoni per l’avanguardia e per l’improvvisazione: così, se da un lato ritroviamo in "Dread" una sorta di reprise di "Beba Plays", dall’altro un incerto cuore pulsante abbozza la trance sotterranea e strumentale di "Zinavs". Il ringraziamento-commiato ce lo regalano le note della cascata melodica di "Urs" e Natalie che ci sussurra in un orecchio, in un filo di voce, tutta la dolcezza di cui è capace.
Il grande riscontro ottenuto con il suo terzo disco frutta a Natalie un crescente numero di richieste. Tralasciando le numerosi inclusioni in diverse compilation di musica elettronica, si segnalano innumerevoli presenze come turnista, sempre durante il 2005. Ancora in coppia con Brinkmann, seguono: un remix di un pezzo di T. Raumschmiere ("Blitzkrieg Pop") che finirà nel singolo dello stesso e il contributo alla voce in "Lucky Hands" di Thomas (precisamente in tre canzoni, "Lucky Hands", "Margins", "C Black R"), con un registro interpretativo ombroso e crepuscolare.
Un altro progetto molto interessante è il primo capitolo della compilation 4 Women No Cry (il secondo episodio uscirà nel 2006): quattro donne per 20 tracce: oltre a Natalie, ci sono Rosario Bléfari (argentina), Èglantine Gouzy (francese) e Catarina Pratter (austriaca).
Bléfari, fra sprazzi di chitarrismo pop e ritmi convulsi, infila le prime quattro canzoni con grande personalità. Natalie propone invece cinque pezzi cantati in georgiano, in cui emerge in maniera più forte l’influenza ricevuta dalla musica del suo paese, sempre colorata e vivace. Composizioni più scheletriche, fraseggi di chitarra ridotti all’osso, beat elettronici meno funereei e più giocosi, disposti a gigioneggiare, come su "Hextension" e "Late". Folk-tronica brillante e intensa quella di Èglantine Gouzy, melodie astratte e post-moderne quelle di Catarina Pratter.
L’anno successivo, continuano le collaborazioni e si infittisce il campionario di soluzioni compositive proposte dall’artista di Tbilisi.
Nel febbraio del 2006, Natalie canta in due pezzi ("Walzer", "Mutes") di "Easy", a nome Wechsel Garland, confermando grandi capacità anche in veste di performer. Dietro questo moniker si nasconde il poliedrico e istrionico Jörg Follert, già autore di dischi con diversi nomi, fra cui Wunder, Moter e Saucer.
La bella "Smashed" (da Annulé) viene inclusa nella compilation "Folk But Not Folk!", pregevole raccolta di sperimentazioni elettroniche più o meno acustiche. E nel frattempo Natalie fa il bis con i Post Industrial Boys, nel loro secondo disco, "Trauma".
Il dato più rilevante, però, è il cambio di pseudonimo e la pubblicazione di Stupid Rotation a nome TBA Empty. Scritta a quattro mani con il fido Thomas Brinkmann, l’opera prende corpo fra le tendenze techno degli esordi targati Tba e l’apporto tipicamente minimal del compositore tedesco.
Fin dall’iniziale "Tour", i due sfoggiano un groove molto corposo e opulento, ma mai grossolano o ingombrante, contorniato da synth e colmo di ritmo technoide. Una musica sostanzialmente lontana dalla carriera solista di Natalie, sebbene sempre presente nelle sue esibizioni live.
Cesellatore di battiti assassini, Brinkmann marca in modo palese e altisonante la sua presenza: episodi come "Briday" e "Kit Landing", ad esempio, riportano alla mente il sound del suo album "Rosa". E non sempre la simbiosi con l’ex-Tba appare naturale: del resto, se i dischi solisti di Natalie sono arte "cosmopolita", questa musica è invece adatta a un certo tipo di mondo, di menti e situazioni.
Ma nonostante la "stazza" di certi pezzi (si viaggia a una media di 5 minuti), la vivacità e soprattutto le caratteristiche mutanti dei due artisti permettono all’album di non sprofondare nell’anonimato. La voce di Natalie, quando appare, dona luce cristallina ("33 Pharell", "Readers R Fools", la title track) e dinamismo. Strascichi electro-clash in "Kit Landing" sono "delicati" quanto un’abrasione da cartavetrata, staffilate monotematiche da crisi cardiaca, nella più percussiva "Infectious", increspano l’aria circostante.
Le finali "Masa" e "Rocks" rincarano la dose di minimalismo, risultando fra le più incisive del lotto.
In ogni caso, fra difetti di genere e picchi mastodontici, il disco merita un giudizio più che positivo, sulla strada di una sempre più felice integrazione tra i rispettivi "mondi" del duo Beridze-Brinkmann.
Il 2007 vede il rilascio di due opere che mischiano ancora le carte, presentando una mente che ripudia ogni segno di standardizzazione, alla ricerca di ricette capaci di spaziare fra la musica classica contemporanea, il glitch-pop e frangenti tipicamente techno.
A nome TBA, esce il doppio, lunghissimo, Size And Tears: Alice In Wonderland, vera e propria epopea musicale ispirata all’Alice di Lewis Carroll.
Come il film disneyano scorre fra cambi di ritmo, sorprese e magie di colore, con contagiosa magneticità nel suo essere vorticoso e straniante – un vero e proprio viaggio nella mente e nei sogni di una bambina – allo stesso modo, l’interpretazione di Natalie Beridze brilla con continuità imbarazzante in 48 composizioni, che variano fra i 4 e i 5 minuti. La durata può apparire eccessiva, ma la fantasia fuga ogni rischio di noia: si susseguono generi differenti, sterzate di ritmo e atmosfere, idee fra le più bizzarre, fiumi di straniante flusso audio-sonoro.
La parte iniziale (i primi 7 pezzi) si incentra su una serie di sperimentazioni al piano che richiamano certa musica classica contemporanea, commutata e stravolta da un approccio allucinato. Siamo lontani da alcune prove di modern classical pianistiche tanto in voga negli ultimi anni; qui c’è qualcosa di più (o di meno, a seconda dei punti di vista), dato che l’elettronica è praticamente assente. Scale forsennate ("Exercise (Wanna Leave)"), note ardite ("Teacher") e una grande esposizione di capacità esecutiva si vanno ad aggiungere a una eccentricità di rara dolcezza e incisività. Punto di non ritorno di questa parte introduttiva è la splendida "Itaka Farewell March", una pazzoide partitura di piano sottomessa a un battito di drum-machine cupo e tenebroso, quasi come se il cuore dell’esecutrice fosse amplificato in maniera spropositata.
Conclusosi questo primo frangente, si passa alla parte più orrorifica, sferzata da episodi di elettronica decisamente cupa, a tratti molto vicina a esempi di dark-ambient proveniente dal calderone Cold Meat Industry. In "BRIDGE/Post Itaka, Waiting For Yulaya" siamo al cospetto di sussurri, sbuffi digitali, strani cigolii metallici, pattern ambientali da film horror di prima classe. Il cambio del tenore generale è lampante nella successiva "Song Of Yulaya (U Lier)": nonostante il piano sia sempre presente, la sua cassa di risonanza è esageramene lunga e genera un effetto-eco deliziosamente tombale; il cantato, inoltre, fra piani di esecuzione sovrapposti e incrociati, sfocia in un flusso di parole perfettamente calato negli anfratti della composizione.
Da "March In Snow", vero e proprio peregrinaggio "gelido", alla funerea "Meta Winter In Her Eyes" (sembra quasi di ascoltare Dernière Volonté), si passa attraverso il techno-pop in odore di scuri presagi di "Flag Conv. In Her Eye". Da segnalare, poi, un altro possibile singolo, la pimpante "Her Jewels", con un cantato come al solito inappuntabile e flessibile rispetto al contesto musicale.
Il primo cd arriva alla conclusione con qualche episodio un po’ differente, come il lounge-pop di "Over The Wrist – ForeTelling In The Bar" o la maliarda "BRIDGE – Towards Herby".
La title track apre il secondo cd che, a conti fatti, risulta meno omogeneo, aperto a melodie docili e decisamente accessibile nel suo incedere calmo e pacato in alcuni casi, spaccato fra ritmi impossibili in altri. La scelta di mischiare nettamente le carte è stata una decisione azzardata; la durata consistente dell’opera complessiva è già un punto a sfavore della fruibilità, e quest’altra scelta ha decisamente reso il tutto più complesso da seguire.
I due cd sono due pugni di canzoni a compartimenti stagni, quasi come due opere differenti, da ascoltare in momenti diversi. TBA mette alla prova i propri estimatori, sottoponendoli a un ascolto impegnativo e articolato, molto affascinante, ma altrettanto tortuoso: chi ha apprezzato le qualità di sintesi di Annulé, forse, rimarrà deluso. D’altronde, questo è l’unico lato negativo dell’opera; se riusciamo a concederci due orette di tempo, si godrà di un folto campionario di emozioni uditive, canzoni mai banali o insulse.
Da incorniciare il pop rallentato e colmo di pathos di "Topeka Exists", i motivi vorticosi di "Bea, Plaster", gli episodi più rumorosi (perfettamente intervallati da piccole pause pseudo-ambient) e buffissime pasticche di glitch-pop strumentale à-la Suck und Blumm. Spuntano tentativi di trip-hop primordiale coperto di t[]e ("Silent Flow (Ag. Cooper)", avete presente gli Antenne?) e commistioni fra glitch e techno ("She Would Run"). A chiudere il cerchio, persino un numero da pista, "Scull Disco Vs Bermuda".
Un’opera mastodontica, dunque, che offre all’ascoltatore una sola possibilità: entrarci e farsi completamente sommergere. La stessa Beridze ne parlerà come del lavoro che la rispecchia più fedelmente.
Passati pochi mesi, sbuca un’opera a nome Tusia Beridze, The Other, che cambia nuovamente rotta.
Si conferma la volontà di Natalie di sviluppare parallelamente idee, concezioni e progetti differenti e contrastanti. Tanto il kolossal su Alice era prolisso e frammentario, quanto The Other è organico, sviluppato su composizioni lunghe, con "solo" 13 pezzi. L’unica cosa che accomuna le due prove è la perenne atmosfera catacombale, accostabile a opere di techno-industrial virate su stilemi dark, da circo in mezzo a un cimitero. Un clima che qui si delinea in maniera ancor più netta e decisa.
Se "Afta Me In Soft Placet" riduce la materia techno a piccoli elementi pulsanti, la bellissima "Beam Plaster" incrocia una voce maschile con intarsiature e pattern vivaci. Marcus Schmickler, con il suo canto da crooner vissuto, dà il colpo di grazia, regalando momenti esaltanti. "Into The Lost Moments" è un techno-pop da applausi, fra pause e lirismo incantato, "Kid" spazia fra suoni cosmici con synth spumosi e battiti marziani, "Stay On Watch" complica la faccenda, ingarbugliando i tasselli del mosaico, con un risultato più che disturbante.
Ancora grande varietà nella prosecuzione della scaletta. "Weeksends" alza il tiro e la frequenza di battiti: scaglie di hardcore-beat sbattono contro virtuosismi pianistici modificati, molto ben congegnati.
Gli slanci più "pop", però, piombano spesso inaspettati, e nonostante il costante e immarcescibile senso di distorsione che pervade la musica, le canzoni infondono un senso di apertura, di speranza: "Waters From Ur Eyes" ne è un esempio lampante.
Come da titolo, "Break" rallenta, e di molto, il ritmo generale per staccare un attimo la spina, risultando un ottimo spartiacque fra prima e seconda parte del disco. Non molto ansiogena nemmeno "Love U", in odore di certe buffe interazioni fra scale pianistiche e dilatati digitalismi assortiti. Al contrario, "Hero" sperimenta una soluzione ulteriore, provando ad accostare strani concretismi materiali (oggetti metallici, si suppone) con spappolamenti digitali d’estrazione avanguardistica.
Episodi di glitch-pop fomentati da intuizioni sotterranee ("Somewhere There’s A Father", "X.It Snow", "Blue Shadows") formano un tris conclusivo fortemente introverso e coagulato con grande personalità, con piccoli tocchi di sapiente melodia ad incantare con garbo discreto.
Un disco ottimo, in definitiva, che conferma il talento prezioso di un’artista che, peraltro, lascia intravedere ancora potenzialità inespresse.
Nel 2008, va citata la partecipazione di Natalie al progetto "Chain Music" di Ryuichi Sakamoto, di cui fanno parte anche personaggi del calibro di Fennesz, Agf, Pan Sonic e Thomas Brinkmann.
La conferma della statura di questa artista, ancora giovanissima, giunge con le sue nuove performance dal vivo, spettacoli fuori dal comune che l’hanno vista protagonista anche in Italia.
Contributi di Marco Bercella ("Annulé")
N.B. A meno di specificazioni, tutte le apparizioni citate comprendono una serie di moniker che vengono utilizzati dall’artista nei vari casi, fra cui Tusia Beridze e altri come Beridze, Tusha e Tusia. Su discogs.com è possibile consultare la sua pagina personale in cui vengono elencate puntualmente tutte le apparizioni/collaborazioni citate più altre qui tralasciate.