Punti di vista
Lo scorso agosto la guerra in Ossezia del Sud. Raccontato, in Russia, in Georgia e nei paesi Occidentali secondo chiavi interpretative del tutto opposte. E’ passato un anno, ma i punti di vista sembrano ancora distanziare, piuttosto che facilitare il superamento del conflitto
Pubblichiamo in anteprima una riduzione di un approfondimento che uscirà a breve su www.georgica.net
Sia la Russia che la Georgia hanno investito particolari sforzi nel promuovere il loro punto di vista sul conflitto dell’agosto dello scorso anno in Ossezia del Sud.
La Russia si è concentrata innanzitutto sull’opinione pubblica interna e, stando ai risultati di alcuni sondaggi, la grande maggioranza dei russi ha accettato la versione degli eventi fornita dalle proprie istituzioni. Secondo un sondaggio realizzato tra il 15 e il 18 agosto dello scorso anno dal Levada Center, con sede a Mosca, solo il 5% degli intervistati riteneva che fosse la Russia responsabile del conflitto mentre il 74% era convinto che "la Georgia e i georgiani sono divenuti ostaggi della leadership USA".
I notiziari sui principali canali televisivi nazionali, Pervyj Kanal e Vesti, che rappresentano per la maggior parte del pubblico russo l’unica fonte d’informazione, hanno fornito una versione semplice dell’accaduto: si è infatti più volte ribadito che la Georgia ha attaccato l’Ossezia del Sud con la chiara intenzione di ripulire etnicamente l’area e che l’intervento russo è stato determinante per sventare l’imminente genocidio. Punto di vista ribadito anche nel film "Olympus Inferno", recentemente trasmesso dal canale russo Pervyj Kanal in prima serata e dal documentario "Guerra 08.08.08" prodotto da Russia.tv.
Le argomentazioni più utilizzate a favore di questa chiave interpretativa degli eventi sono ad esempio che i georgiani avrebbero deliberatamente ucciso civili (le immagini di un soldato georgiano che sparava a casaccio da un carrarmato su edifici residenziali a Tskhinvali riprendendo il tutto con il proprio cellulare sono state più volte trasmesse dai programmi di notizie russi); che vi erano soldati di colore che combattevano al loro fianco, si suppone istruttori USA o mercenari; che i media occidentali non hanno raccontato il vero in merito alla guerra e non davano voce a chi non era dalla parte georgiana (i media russi hanno più volte trasmesso le immagini di una donna osseta che, in un’intervista in diretta per il canale statunitense Fox News, accusava Saakashvili di aver avviato la guerra e che per questo veniva brutalmente interrotta dal conduttore del talk show); che il presidente georgiano Saakashvili è semplicemente un pazzo (ad esempio il canale di notizie Vesti ha invitato in studio lo scorso 12 agosto uno psicologo per discutere della salute mentale del presidente georgiano) e infine che l’intervento russo non è stato altro che un’operazione di "imposizione della pace" e solo l’intervento russo ha impedito l’imminente genocidio (si veda ad esempio i titoli di due instant book pubblicati alla fine dell’agosto 2008 dalla casa editrice di Mosca Evropa: "La guerra dei 5 giorni: la Russia impone la pace" e "888 – Il giorno della catastrofe: il genocidio impedito in Ossezia del Sud").
Queste ultime sono argomentazioni ormai del tutto familiari e condivise dalla maggior parte dell’opinione pubblica russa ma questo non accade per quanto riguarda il pubblico europeo o degli Stati Uniti.
Per alcuni analisti questo va soprattutto a merito della strategia comunicativa delle autorità georgiane, che avrebbero perso la guerra sul campo ma vinto quella della comunicazione. Certo è che per il Presidente georgiano era di fondamentale importanza far arrivare il messaggio ai propri alleati occidentali nella speranza di riceverne il sostegno. Si può affermare che le autorità georgiane -a fronte di un’iniziativa politicamente fallimentare – siano però riuscite perlomeno in concomitanza del conflitto, quando quest’ultimo era sulle prime pagine dei quotidiani sia in Russia che nell’Europa intera a far passare la propria narrazione degli eventi.
Questo è legato a molteplici fattori. Innanzitutto alla predisposizione dei media Occidentali a prendere le parti di un piccolo stato in orbita NATO, piuttosto che del gigante russo di nuovo in espansione.
Inoltre la maggior parte dei princiali network internazionali non ha propri corrispondeti in Georgia e quindi i giornalisti inviati per l’occasione si sono basati inizialmente sulle fonti ufficiali. E il governo georgiano è stato particoalrmente efficace nel bombardarli di informazioni, spesso fornendo dati che in alcuni casi si sono rivelati vere e proprie esagerazioni, come quando è stato affermato che l’aviazione russa stava pesantemente bombardando Tbilisi, affermazione ripresa da molti media occidentali tra cui la Reuters e la CNN.
L’attenzione delle autorità georgiane rispetto al "raccontare" cosa sarebbe in realtà avvenuto è stata alta anche nei mesi successivi al conflitto. E’ stata ad esempio arruolata a Bruxelles un’agenzia di comunicazione, la Aspect Consulting. E se può sembrare strano trovare la bandiera georgiana al fianco dei loghi di "McDonalds" o della "Kraft" sul sito dell’agenzia è chiaro che è anche grazie all’aiuto di quest’ultima che la Georgia ha segnato alcuni punti a suo favore in merito alle informazioni passate sui media occidentali rispetto alla guerra in agosto.
E’ passato un anno dal conflitto. Da allora in Russia non ha subito particolari smottamenti la versione ufficiale fornita dal Cremlino. Non è avvenuto lo stesso in Georgia dove l’opposizione al presidente Saakashvili ha attribuito le responsabilità del conflitto, almeno in parte, a quest’ultimo.
A livello internazionale, la gran parte dell’opinione pubblica non si è mossa dalle iniziali impressioni e cioè quelle di "un’aggressione della Russia alla Georgia", anche perché la questione è stata relegata ben presto alle pagine interne dei quotidiani. Ciononostante, pochi mesi dopo la fine del conflitto, alcune organizzazioni internazionali e media occidentali hanno espresso pareri più critici nei confronti dell’atteggiamento georgiano. Ad esempio la BBC nell’ottobre 2008 ha trasmesso un documentario ed un programma radio nei quali si sosteneva che vi fossero prove che "la Georgia abbia commesso crimini di guerra nel suo attacco all’Ossezia del Sud".
Quanto evidenziato, poi ripreso in un’editoriale pubblicato dal The Guardian, era fortemente critico nei confronti della Georgia e chiaramente simpatetico rispetto al dolore subito dagli abitanti dell’Ossezia del Sud. Agli inizi di novembre è stata la volta del New York Times e di Human Rights Watch sostenere che la responsabilità delle violazioni dei diritti umani in Ossezia del Sud era da attribuire alla parte georgiana.
Attualmente in Occidente, sia per quanto riguarda i media che le posizioni di politici e diplomatici, si preferisce non entrare nei dettagli di quel conflitto. Alcuni ad esempio preferiscono attendere i risultati di un’inchiesta in merito promossa dall’Unione europea. Ma, a prescindere dalle conclusioni che verranno tratte da quest’ultima, è certo che versioni così contrastanti in merito alla guerra dello scorso agosto continuano ad allontanare le comunità che vivono lungo il confine – riconosciuto da alcuni, non riconosciuto da altri – che separa la Georgia dall’Ossezia del Sud.