Gli interessi in gioco
L’attacco georgiano, il velleitarismo occidentale, la furibonda reazione russa. Nostra intervista a Paolo Calzini, studioso di relazioni internazionali e esperto dell’area post-sovietica
Paolo Calzini è docente di Politica Internazionale presso l’Università Statale di Milano e di Russian Studies presso la Johns Hopkins University, Bologna Center. Studioso di Relazioni internazionali, ha analizzato in particolare i caratteri relativi all’evoluzione della Russia e dell’Europa Orientale, sovietica e post sovietica, nel loro rapporto con l’Occidente. Con il crollo del comunismo dell’89/90, il suo interesse si è rivolto al fenomeno dell’etno-nazionalismo nell’area post sovietica
Era prevedibile quanto sta avvenendo in questi giorni?
Sì, ma non con queste dimensioni. La reazione russa è stata furibonda, e non si è fermata di fronte a quello che ormai sembra essere il completo ritiro delle forze georgiane dall’Ossezia del Sud.
È possibile un’ulteriore estensione del conflitto?
Nonostante quanto sta avvenendo in queste ore, non credo la Russia abbia alcun interesse a invadere la Georgia.
Quali sono gli interessi di Mosca?
Riaffermare e far valere la propria presenza nella regione, e la sua posizione di garante sulle due repubbliche separatiste, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud.
Quali iniziative possono prendere Europa e Stati Uniti?
L’Occidente, a parte iniziative diplomatiche, non può fare nulla. La Russia ha una posizione preponderante, il rapporto di forze è chiaramente a favore russo, gli Stati Uniti non sono andati al di là di qualche dichiarazione.
Di chi sono le responsabilità della crisi in corso?
Le responsabilità sono reciproche. C’è una situazione di fondo irrisolta, quella dei numerosi conflitti rimasti congelati nello spazio post-sovietico. Nella fattispecie il diritto internazionale dà ragione alla Georgia, Abkhazia e Ossezia del Sud fanno parte della repubblica georgiana in base a quella che era la divisione amministrativa nell’ex Unione Sovietica. Le leadership separatiste hanno approfittato della situazione creatasi dopo il 1991, e hanno goduto dell’appoggio russo mantenendo una situazione di indipendenza de facto. L’avvio di questa ultima crisi è tuttavia dovuto all’attacco georgiano di giovedì notte.
La Russia potrebbe approfittare dello scenario di guerra per annettere le repubbliche secessioniste?
Non credo. La Russia ha sempre preferito una situazione di stallo che permettesse di mantenere una posizione di influenza e ricatto nei confronti della Georgia, alleato degli Stati Uniti e snodo fondamentale per il passaggio dei flussi energetici tra Mar Caspio e Turchia.
Perché dunque una reazione così dura?
I russi approfittano di questa situazione per rendere chiaro che colpi di forza e iniziative militari non possono spostare gli equilibri esistenti né risolvere nulla. Non si tratta solo della questione osseta. Ci sono naturalmente anche l’Abkhazia, oltre alla Transnistria e al Nagorno Karabakh. Questa guerra ha permesso ai russi di dare una dimostrazione di forza, ribadire che sono la grande potenza regionale senza il cui accordo non possono essere alterati i confini o in generale gli equilibri attuali. L’esito di questa crisi sembra essere un rafforzamento delle posizioni e dell’influenza militare russa nella regione a fronte dell’impotenza occidentale.
E gli Stati Uniti?
La politica occidentale appare velleitaria. Da un lato si mantiene una stretta alleanza con la Georgia, esperti militari americani preparano i reparti di sicurezza georgiani e le forze di Tbilisi partecipano alla guerra in Iraq. D’altro canto tuttavia la situazione è bloccata dai rapporti di forza esistenti sul terreno, che sono chiaramente a favore della Russia per ragioni geostrategiche. A Bucarest del resto la Nato ha reso chiaro che non intende forzare la situazione spingendo per una rapida adesione di Tbilisi all’Alleanza. Inoltre, come veniva notato anche sull’Herald Tribune questa mattina ieri, ndr, gli Stati Uniti hanno bisogno della Russia nei rapporti globali, per fare fronte a dossier complessi quali ad esempio quello iraniano, e non possono cedere alle intenzioni di un alleato minore, che peraltro è anche scomodo.
In che senso?
Saakashvili ha messo in imbarazzo l’Occidente e in particolare gli Stati Uniti. Da Washington erano arrivati al presidente georgiano chiari consigli sul non far precipitare la situazione. Ora i georgiani restano da soli e si allontana ancor di più la prospettiva di un ingresso del Paese nella Nato.
Qual è il suo giudizio sul politico Saakashvili?
L’attuale presidente è un politico dalle chiare inclinazioni autoritarie, che tuttavia gode di una certa popolarità e ha ottenuto buoni risultati nel ristabilire l’ordine e la stabilità nel Paese dopo il periodo Shevardnaze. La Georgia è una democrazia che sotto diversi aspetti si può considerare incompleta, si può certamente discutere su quanto siano state libere le recenti elezioni, ma il dibattito nel Paese è aperto.
Perché questo attacco in Ossezia del Sud?
Si può ritenere che Saakashvili, facendo entrare le truppe georgiane a Tskhinvali, abbia pensato di forzare la situazione con un colpo di mano. Ha però fatto male i suoi conti. I russi possono accettare l’esito di elezioni che siano in qualche modo a loro sfavorevoli, come è accaduto in Georgia ma anche ad esempio in Ucraina, ma non soluzioni di tipo militare.
Quanto conta il precedente del Kosovo nella crisi attuale?
Mosca ha sempre sostenuto che la soluzione adottata in Kosovo rappresenta un precedente, non un caso particolare.
E il fattore etnico?
La dimensione etnica è giocata e sfruttata da tutte le parti in causa. Dopo il ’91 nelle repubbliche secessioniste, ma specialmente in Abkhazia, è avvenuta una pulizia etnica a danno della popolazione georgiana. In Ossezia inoltre il leader della autoproclamata repubblica, Kokojty, ha sempre agitato la carta etnica della ricongiunzione con gli osseti del Nord. Gli osseti, che sono di religione ortodossa, hanno sempre rappresentato una popolazione tradizionalmente filo russa. La Russia del resto, oltre ad appoggiare economicamente le leadership secessioniste, ha anche concesso il passaporto ai cittadini osseti e abkhazi. Molti in questi anni hanno dunque acquisito la cittadinanza russa.
Quale può essere la posizione dell’Unione Europea in questa crisi?
Bruxelles esprime la posizione di maggiore debolezza. Non c’è una posizione unitaria, la Francia e in parte la Germania sembrano più vicine alla Georgia, ma se gli americani non possono nulla questo discorso vale ancora di più per gli europei.
Quali prospettive per uscirne?
In tutta l’area post sovietica il mantenimento di uno status quo precario può degenerare prima o poi in scontri violenti e conflitti aperti. Serve una politica lungimirante, non posizioni attendiste. Questa è un’area a ridosso dell’Unione, decisiva per i rapporti tra Mosca e Bruxelles, dove non è sufficiente gestire l’esistente. E’ necessario un accordo tra Occidente e Russia nella direzione della stabilizzazione, ma alla luce di quanto sta accadendo questa è forse una visione utopistica.