Georgia: sulla crisi politica l’Ue dice la sua

Perdura l’impasse politica in Georgia nonostante due tentativi di mediazione delle istituzioni Ue. Dal Parlamento europeo l’avvertimento: gli aiuti europei solo se le parti risolvono la crisi

13/04/2021, Marilisa Lorusso -

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Nella foto Marina Kaljurand, Ministro degli Affari Esteri dell'Estonia dal 2015 al 2016 è eurodeputata dal 2019, ricopre l'incarico di Presidente della Delegazione per le Relazioni con il Caucaso Meridionale del PE (foto: Wikimedia )

Dal novembre 2020 all’aprile del 2021: una crisi lunga sei mesi in Georgia, sei mesi coincisi con la seconda ondata di contagi del COVID19, con le ultime tragiche fasi della guerra in Karabakh e con gli effetti di un nuovo status quo regionale che appare tutto meno che promettente per la Georgia.

Nonostante le enormi sfide che il paese si trova ad affrontare, la classe politica georgiana non ha superato però l’animosità reciproca e sta trascinando nel baratro dell’incertezza un paese in crescente difficoltà e sempre più isolato.

Prima mediazione europea: fallita

Abbiamo lasciato a marzo la Georgia sulla soglia di una svolta dall’impasse politica che si trascinava dalle elezioni: l’opposizione che boicotta il parlamento insediatosi dopo le elezioni del 31 ottobre, Nika Melia, segretario del Movimento Nazionale Unito, in carcere, una serie di pressanti riforme da affrontare e la coesione sociale e politica da ricostruire dopo quasi un decennio di sistematica polarizzazione Sogno Georgiano-opposizioni più o meno unite.

L’Unione europea ha preso allora il timone della negoziazione mettendo in campo una figura appositamente creata, il Rappresentante Speciale Christian Danielsson che opera per conto del Presidente del Consiglio Charles Michel. Sul tavolo sono stati posti cinque punti che se concordati fra le parti potrebbero portare a una normalizzazione della vita istituzionale del paese. I punti erano e sono la soluzione alla questione degli arresti avvertiti come motivati politicamente – quello di Nika Melia e di Giorgi Rurua, della TV di opposizione Mtavari Arkhi – riforma elettorale, della giustizia, del parlamento, e le modalità di una nuova tornata elettorale.

Il primo e l’ultimo punto sono quelli che hanno affossato la negoziazione. Dopo uno sforzo di mediazione che si è protratto oltre al previsto, e con sessioni di anche 10 ore al tavolo con le parti, Danielsson è tornato a Bruxelles con le parti che si sono avvicinate su vari punti, ma sono a un muro contro muro sul rilascio di quelli che per l’opposizione sono prigionieri politici, e con la maggioranza che non ne vuole sapere di voto anticipato.

Seconda mediazione europea: fallimento bis

“Il contributo dell’Unione europea continua. Voglio reiterare un richiamo a tutti i leader dei partiti georgiani affinché mettano al primo posto gli interessi del popolo georgiano, giungano a necessari compromessi e volgano la loro attenzione ad altre questioni prioritarie”, così Charles Michel dopo il ritorno di Danielsson, e prima di rimandare il proprio rappresentante di nuovo a Tbilisi. Durante il secondo viaggio di mediazione, iniziato il 27 marzo, Danielsson ha incontrato oltre che le cariche istituzionali e politiche anche – di nuovo – membri della società civile, fra cui Transparency International Georgia, GYLA l’Associazione dei Giovani Avvocati Georgiani ed altre ONG attive nei settori del monitoraggio elettorale, della tutela dei diritti e dei processi di democratizzazione.

Il 29 marzo Danielsson ha avuto anche uno scambio in remoto con 7 europarlamentari che hanno incarichi chiave nel gestire i rapporti Unione europea–Georgia.

Dopo una nuova lunga sessione con le parti, il 31 marzo Danielsson ha però preso nuovamente atto del mancato accordo : “Ritorno a Bruxelles con la fiducia che con una società civile così viva, la Georgia un giorno riuscirà a voltare pagina e ad avanzare verso un futuro ambizioso”. Ma quel giorno non pare essere nelle mani delle attuali dirigenze politiche. E questo sta determinando un nuovo scenario.

Gli europarlamentari e la crisi

Davanti a questa débâcle negoziale per cui le istituzioni europee non hanno nascosto la frustrazione verso la classe dirigente politica georgiana, e di fronte a una apparente incapacità di quest’ultima di comprendere che la corda è tesa al massimo e si potrebbe spezzare, il testimone dell’ammonimento quanto più serio possibile è passato all’Europarlamento.

I primi a esporsi sono stati i sette europarlamentari che erano stati resi partecipi della seconda negoziazione. Sono il presidente della Commissione affari esteri David McAllister, la Presidente della Delegazione per le Relazioni con il Caucaso Meridionale Marina Kaljurand, il popolare Andrius Kibilius, per i Verdi Viola von Cramon-Taubadel, il social democratico Sven Mikser, il popolare Michael Gahler, e per Renew Europe Petras Auštrevičius. Tanto manca l’unità di intenti nel parlamento georgiano, quanto invece c’è nell’Europarlamento per mandare un segnale chiaro e inequivocabile al paese. Il messaggio viene recapitato con una dichiarazione congiunta dai sette che notifica che si intende legare l’aiuto europeo alla Georgia – inclusa l’assistenza economica – al superamento di questa crisi politica. La misura dovrebbe riguardare i pacchetti già approvati per la Georgia e applicare il principio della condizionalità al piano di supporto macro-finanziario UE-Georgia. Un messaggio molto chiaro, ed espresso in termini che mai si erano letti nei rapporti Europa-Georgia.

Nonostante questo le reazioni soprattutto della maggioranza a Tbilisi sono rimaste tiepide. Il vice presidente del Parlamento georgiano ha liquidato il fatto come l’opinione di “sei, sette o anche otto europarlamentari che possono avere una influenza limitata su una direzione strategica che è importante non solo per la Georgia ma per ogni paese dell’Unione Europea”.

Il confronto fra i due diversi modi di comunicare, e le diverse valutazioni che ne emergono porta a percepire che la classe politica georgiana viva in una bolla autoreferenziale e che abbia perso il polso di cosa stia succedendo intorno a questa crisi, inclusa l’eventualità di diventare un partner con diverso trattamento rispetto a quello attuale.

Vanno esattamente in questo senso le parole pronunciate da Marina Kaljurand che in un intervento ha chiarito che dietro ai sette firmatari vi è tutto il peso dell’Europarlamento e che o la Georgia dà segno di essere un paese con un percorso civile e democratico, o “questo è solo l’inizio”, precisando che il principio della condizionalità negli esborsi ha il precedente moldavo, e che “L’Europa non offrirà in eterno le proprie visite di alto livello, la propria mediazione”.

Le parole della Presidente

Il 9 aprile la Georgia ha commemorato le ricorrenze della repressione sovietica nel 1989 e dell’indipendenza nel 1991. La Presidente Salomè Zurabishvili nel suo discorso in Parlamento si è espressa senza mezzi termini sulla fallita mediazione e sulla posizione espressa dall’Unione europea, puntando il dito contro la classe dirigente dentro e fuori il parlamento: “Il governo non ha avuto il coraggio di anteporre a questioni individuali la stabilità, il processo democratico del paese e l’attiva cooperazione con l’Europa […]. L’opposizione non ha il coraggio di liberarsi da pressioni esterne e di scegliere un percorso politico che la porti a sedere in un parlamento multipartitico”.

Nessuna crisi può durare per sempre senza produrre grandi fallimenti. La sveglia per la Georgia è suonata da un po’.

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