Georgia, l’uso strumentale della polizia

Le forze dell’ordine georgiane sono state riformate dai governi di Mikheil Saakashvili dopo la Rivoluzione delle rose nel 2003. Tuttavia è rimasto l’asservimento totale al governo di turno

04/11/2022, Marilisa Lorusso -

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Macchine della polizia georgiana Tbilisi, 2021 © Try_my_best/Shutterstock

Una sentenza e due arresti: a fine agosto sulle pagine dei giornali georgiani si è tornato a parlare di violenza della polizia.

Il 28 agosto sono stati condannati due poliziotti, uno per aggressione e l’altro per non aver impedito una violenza. L’episodio, accaduto lo scorso gennaio, aveva fatto scalpore e causato indignazione: ad una fermata della metropolitana di Tbilisi un ragazzo sordomuto era stato picchiato selvaggiamente e senza motivo dalla polizia. Fermato dagli agenti con il suo accompagnatore era stato strattonato, schernito con le parole “Ah, non sai parlare… adesso ti faccio parlare io” e picchiato.

Il 31 agosto invece sono stati resi noti due altri arresti, relativi a due episodi di percosse a persone in stato di fermo, una in una stazione di polizia, e l’altra in un’auto di pattuglia. L’avvocato difensore di una delle due vittime ha segnalato che questi episodi sono tutt’altro che in diminuzione e si rileva un crescente numero di casi di cittadini che accusano di brutalità le forze dell’ordine.

Sebbene i paesi post-sovietici abbiano una triste nomea per quanto riguarda il comportamento delle forze dell’ordine, la Georgia ha rappresentato a lungo una storia di successo. I risultati della Rivoluzione delle Rose nel combattere i mali delle forze dell’ordine – violazioni dei diritti umani, tortura, arresti illegali, estorsioni di denaro, taglieggiamento di automobilisti, corruzione, falsificazione dei risultati delle indagini, coinvolgimento in crimini e omicidi – è stato uno dei fiori all’occhiello dei governi Saakashvili, salvo poi cadere proprio a seguito di uno scandalo di torture in carcere. Che cosa non torna?

Il punto di partenza

Quando ha raggiunto l’indipendenza la Georgia era travagliata dalla guerra, ma anche da una terribile criminalità che proprio tramite la guerra era riuscita a prosperare e ad armarsi. Dal mondo dei gulag erano ritornati nel tessuto sociale i Ladri-per-Legge, la così detta mafia georgiana (e non solo), i cui affari si intrecciavamo con quelli dei signori della guerra e con tutte le dubbie figure che hanno percorso i sentieri impervi della caduta dell’Unione sovietica, emergendo come nuovi o riciclati signori con patrimoni ingenti e milizie.

Eduard Shevardnadze, ex ministro degli Affari esteri dell’Unione Sovietica, Presidente georgiano dal 1995 al 2003, aveva raggiunto un certo livello di stabilità cooptando vari gruppi di potere e individui. Il lato oscuro della cooptazione era che il governo di Shevardnadze chiudeva un occhio sui modi in cui questi gruppi controllavano e gestivano varie aree del settore pubblico. La corruzione e i legami informali fra vari potentati hanno pervaso quindi le istituzioni. La polizia sfruttava il potere discrezionale dell’uso della forza per l’arricchimento personale . Simbolo di questo periodo era la Stradale, che letteralmente taglieggiava gli automobilisti.

Il requisito di statualità del monopolio dell’uso della forza da parte dello stato non era minato solo dalla presenza di aree autodichiaratesi indipendenti come Abkhazia e Ossezia del Sud, oltre che della peculiare situazione dell’Agiara, ma anche da apparati istituzionali pervasi da elementi criminali.

La matrice delle riforme

In questo contesto di debole sovranità e di diffusa illegalità, ove molteplici attori – secessionisti, traditori, reti criminali ben radicate all’estero, mafie locali e signori della guerra, istituzioni incapaci e corrotte – contendevano allo stato il controllo del territorio, è nata la riforma delle forze dell’ordine. Il gruppo dirigente giunto al potere con la Rivoluzione delle Rose nel 2003 si è trovato davanti a un braccio armato dello stato su cui non poteva contare, e che non godeva della più elementare fiducia della cittadinanza, necessaria anche solo per denunciare un crimine subito. Dalle stazioni di polizia i cittadini giravano alla larga, temendo con una denuncia di peggiorare la propria situazione, invece di trovare giustizia e protezione.

Mikheil Saakashvili, credendo che il sistema fosse troppo corrotto per essere riformato passo dopo passo, ha optato per una cosiddetta terapia del Big Bang, attuando riforme drastiche e antidemocratiche per sradicare la  corruzione capillare. La polizia, soprattutto la Stradale, ha visto il licenziamento in massa di agenti.

I giudizi sulla riforma sono misti. Sono stati prevalentemente positivi all’inizio. La riforma ha centrato molti dei suoi obiettivi, e il corpo di polizia della Georgia oggi è in definitiva molto diverso della soldataglia corrotta, violenta, mal attrezzata e mal addestrata dei primi anni ’90. La fiducia della cittadinanza è stata largamente ripristinata, e forme di corruzione “da strada” sono enormemente ridotte. Girando per la Georgia non si incontrano più i posti di blocco della Stradale per estorcere mazzette.

Allo stesso tempo le modalità di applicazione della riforma hanno negato gli scopi ultimi della riforma: creare uno strumento di tutela democratica a servizio dei cittadini. Le forze di polizia hanno subito sì un grande svecchiamento, ma con un processo accentratore e verticalizzante non verso la Costituzione di tutti, ma verso il governo in carica. Nello sforzo riformatore sono stati progressivamente attribuiti maggiori poteri al ministero degli Interni che è diventato estremamente potente e in grado di muovere con notevole arbitrio, anche extra-costituzionale, le forze di polizia. Il ministero è divenuto sempre più proiezione dell’allora ministro Vano Merabishvili, poi finito in carcere al cambio di governo.

Un male che nessuno vuol curare

La caduta del governo Saakashvili non ha liberato le forze dell’ordine da questo lascito. L’eredità dell’asservimento delle forze dell’ordine alle finalità del governo è solo passato di mano, perpetrando le dinamiche che si osservano anche nel rapporto fra potere esecutivo e giudiziario, come dimostrano le recenti accuse relative al caso Gogashvili. Chi va al governo sa che dovrebbe garantire l’indipendenza degli organi di sicurezza e di giustizia, perché altrimenti la democrazia non funziona, ma una volta giunti al potere avere sotto il proprio controllo tanto gli uomini in divisa che le toghe sembra offrire un vantaggio troppo grande per potervi rinunciare.

Il Sogno georgiano – attuale maggioranza – dopo aver promesso di democratizzare le stato ha seguito l’esempio del Movimento Nazionale Unito. E questo nonostante la prova empirica di quanto sia rischioso questo meccanismo in primis per chi governa. Nei paesi liberi e democratici quando si perdono le elezioni semplicemente si va all’opposizione. Nei paesi non liberi e non democratici, si finisce almeno in carcere, come è successo a Vano Merabishvili, Mikheil Saakashvili e a tanti membri del partito che non sono scappati all’estero, con arresti e processi che hanno fatto storcere il naso per scelte e comportamenti e delle forze dell’ordine, e dei giudici.

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